domenica 28 settembre 2014

PARTIGIANI (1)

Il corpo di un partigiano ucciso scende galleggiando lungo il fiume in Paisà di Roberto Rossellini
Questo e i successivi tre post contengono un po' dei miei ragionamenti sul movimento di liberazione in Italia. Roba per chi è interessato o comunque ha una certa pazienza...

Quella volta che ho chiesto allo zio Toni se era stato fascista, lui mi ha risposto che certo, che loro ragazzi erano tutti fascisti, che come si faceva a non essere fascisti negli anni in cui era giovane lui.
Lo zio Toni era decisamente un italiano medio, mite di carattere e molto amante della vita tranquilla (1). Poi ha fatto il soldato di mestiere facendo pochissima carriera, quasi niente (è andato in pensione da maresciallo...), e senza dare mai segno, per quello che mi risulta, di avere qualche tendenza da militare incazzato e fanatico né tantomeno di avere nostalgie per l'armamentario ideologico o per la paccottiglia (propaganda e merchandising) del ventennio. Di tutta la faccenda della fine della guerra mi ha detto pressappoco una volta che se ci fosse stata un po' più di moderazione si sarebbero risparmiate parecchie vite, un pensiero in sé non sbagliato ma troppo ovvio e generico per risolvere qualcosa.
Lo sappiamo che il fascismo, per come ha occupato a lungo quasi tutti gli spazi di vita e di attività, ai più è sembrato per anni una realtà indiscutibile, un orizzonte naturale. Meneghello nella sua intervista a Paolini dice che in fin dei conti i fascisti alla gente comune parevano solo persone un po' eccessive, magari troppo attente a certe forme, ma tutto sommato innocue, e fa l'esempio delle persone molto de ciésa. Anche Giordano dice che suo padre, il nonno Giovanni, raccontava che ai tempi del fascismo la vita in paese era tranquilla e che non si stava male, anche se poi è diventato comunista al momento dell'invasione tedesca. Certamente c'è del vero in questa memoria: il fascismo era riuscito a entrare in profondità, si era mimetizzato bene con la società, ne sembrava la trama del tessuto: pareva abbastanza vero che il Duce aveva sempre ragione, e che i bimbi d'Italia eran tutti Balilla, eccetera. Anche Gabriele, qualche settimana fa a Vicenza, raccontava che suo nonno era fascista e diceva pressappoco che, stando alle memorie di quelli che lui ha conosciuto in Cile, che dagli anni '70 hanno vissuto sotto la dittatura, il confronto con la durezza della macelleria sudamericana gli sembrava ridurre il fascismo a qualcosa di quasi sopportabile. Quella sera a Vicenza, anche se sapevo bene che Gabriele non si sognava di negare il carattere criminale del fascismo e voleva solo mettere il Cile in una posizione più estrema, ho pensato che per i regimi e le loro violenze farebbe comodo uno strumento come le scale di valutazione della forza dei terremoti o della durezza dei minerali. Senza un riferimento del genere non è facile una comparazione sensata tra i diversi gruppi di assassini: a scuola per provare a dare un'idea dico abbastanza spesso che secondo me, a livello di durezza della repressione forse (forse...) si possono mettere vicini da un lato il fascismo e dall'altro i regimi comunisti dell'Europa orientale (DDR, Polonia...) nel secondo dopoguerra (ci ho ragionato un po' sopra qui). In ogni caso nessun confronto permette di assolvere il fascismo (né la DDR). Poi a scuola di solito uso Emilio Lussu: faccio leggere pezzi di quel libro bellissimo, drammatico ma tanto intelligente e ironico da essere quasi divertente da leggere, che è Marcia su Roma e dintorni (2). E ancora, una sintesi quasi perfetta sulla vita ai tempi del fascismo, su come era possibile considerare tutto normale e manco sentire il bisogno di reagire in qualche modo, me l'ha data l'altro giorno con la sua voce quel grande esempio e testimone che è stato Nuto Revelli: “Sarebbe da parlare un po' di cosa succedeva nelle famiglie. Anche nelle famiglie c'era prudenza: temi scabrosi, politici, di critica, in tante famiglie non erano ammessi, perchè i ragazzini parlano a casa, così, poi van fuori, ripetono e rischiano. La mia famiglia era così: mio padre poi ha avuto occasione di dirmi a un certo momento, quando ormai ero nella situazione della guerra, che non mi aveva spiegato niente perchè aveva temuto che diventassi diverso dagli altri, da tutti gli altri, quindi diventando diverso poi avrei rischiato. Ed era vero. Non m'aveva detto niente per troppo affetto. Quando io son tornato dalla Russia ero disperato: la sera del 25 luglio, quando è caduto il fascismo, ho avuto l'occasione di dirgli a mio padre: “Perchè non m'hai spiegato, tu che sapevi?”. Mio padre era sufficientemente preparato per capire cos'era quel sistema, quel regime... “Perchè non m'hai spiegato?”. Mi ha proprio detto, con le lacrime agli occhi: “Non te l'ho detto perchè temevo di influenzarti e che scegliessi la strada della contestazione...”, che poi voleva dire essere diverso e quindi rischiare e pagare. Però si viveva, però la vita tirava... Se uno non disturbava non gli succedeva niente: se uno era servile, si piegava, aveva dei benefici, faceva carriera anche. C'era... tutte queste scappatoie, queste possibilità. Però il regime era quello, il regime era di lasciar crescere nell'ignoranza”. (3)
Quindi poi la Resistenza per me si può anche discutere, ma nel senso che la si studia e se ne capiscono le faccende, non nel senso che alla fine la somma e la valutazione danno un risultato diverso da quello per cui i partigiani avevano ragione, sostanzialmente, e i fascisti torto, specialmente dopo che avevano lasciato venir giù i tedeschi e li avevano anche coperti e legittimati con quella bella invenzione che è stata la Repubblica di Salò. Questo non è un dogma, un pregiudizio: è il risultato di tanti anni di letture e ragionamenti lungo i quali ho cercato di mettere in discussione un po' tutto e di vedere le cose un po' da tutti i punti di vista. E la conclusione resta che è chiaro che i partigiani avevano ragione e i fascisti torto. O almeno dovrebbe essere chiaro: tra le tante rivalutazioni a cui la storia (quella che si studia) ci porta sempre necessariamente, ci sono certo delle ottime ragioni per raccontare bene tutti gli aspetti e le sfumature della Resistenza, naturalmente anche quelle più buie e ignobili, come si è fatto negli ultimi decenni. Ma ho visto raramente fare quello che mi sembra più necessario sia per rispettare la verità di quello che è successo sia per rendere un po' più solida la possibilità di vivere insieme in Italia raccontando una storia su cui tutti o quasi possano essere d'accordo.
A me sembra che l'ostacolo più grosso sulla strada per raggiungere questi due obiettivi, la verità storica e la storia condivisa (4), sia quella specie di generica e irriflessa adesione postuma al fascismo che ancora adesso corre sottotraccia nei pensieri e nelle scelte di parecchia gente e che viene espressa a mezza voce o con allusioni e battute, di solito in contesti privati ritenuti sicuri, salvo poi smentire con falso sdegno tirandosi indietro in modo ipocrita. E' un aspetto del costume di cui si potrebbero fare facilmente diversi esempi (5) e la cui diffusione varia secondo aree geografiche e gruppi sociali, ma che mi sembra un fenomeno significativo. Ecco: può essere stato un errore cercare di costruire per la Resistenza una storia ufficiale monumentale tutta di un pezzo e senza ombre, operazione che aveva delle ragioni (le considero un po' nel post successivo) ma che non poteva funzionare perchè lasciava fuori troppe cose, alcune delle quali piuttosto pesanti. Pavone (6) ha spiegato benissimo che le ragioni di tutto quello che si è scelto di fare e che è accaduto in quegli anni erano molte e intrecciate tra loro in modo spesso contraddittorio, e prima di lui tutto sommato già leggendo Fenoglio (7) si capiva bene che era necessario entrare nelle singole storie e far reagire insieme tra loro punti di vista diversi e anche opposti. Ma penso che quelli da cui (soprattutto) oggi sarebbe ragionevole e sano attendersi ripensamenti (se non, a volte, pentimenti) siano quelli che ancora alimentano la vulgata nostalgica parafascista, quelli che non hanno ancora accettato di ammettere che il fascismo aveva torto perchè comunque dall'altra parte c'erano il liberalismo, la democrazia, l'occidente, la libertà eccetera. L'obiezione principale, la scusa per non accettare, è che dall'altra parte c'era anche il comunismo, ma secondo me è un discorso che non sta bene in piedi, come adesso, penultimo dopo parecchi altri, cerco di dire anch'io meglio che posso.

(1) Lo zio Toni ricordava come un periodo molto felice e quasi mitico quello trascorso a Sabaudia dove l'esercito lo aveva mandato e dove aveva trascorso i primi anni di vita delle sue figlie vivendo con poco in un posto di mare appena all'inizio dell'epoca delle vacanze di massa. Non c'entra niente ma è un ricordo che mi è venuto e che approfitto per appendere qui a margine
(2) Edito da Einaudi. Metto in allegato qui l'antologia che passo ai fioi, ma consiglio a chiunque di spendere i 7-8 euri necessari e di prendersi il libro intero, che si legge in tre-quattro ore. Per l'oppressione comunista di solito uso Imperium di Kapuscinski: magari altrove.
(3) E' la puntata di Wikiradio dello scorso 21 luglio. Qui c'è il link per ascoltare in streaming e qui la pagina del podcast. La parte trascritta è verso il sesto minuto
(4) Va da sé che la verità storica ha sempre la v minuscola e che è una verità sempre da ridiscutere e reinterpretare ma che pure c'è, e ha più o meno la forma, direbbe Gadamer, dell'intendersi sulla cosa stessa, quindi è un obiettivo perseguibile. Come lo è la storia condivisa: la memoria se è diversa e opposta non si può condividere, perchè se mio nonno è stato ucciso dai fascisti e tuo zio è stato ucciso dai partigiani, allora io e te non avremo mai gli stessi sentimenti. Ma se studiamo e prendiamo atto dei dati e discutiamo razionalmente, alla fine dovremmo riuscire ad arrivare a un racconto e a una sintesi di cui entrambi possiamo accettare i passaggi fondamentali (al di là dei sentimenti personali per gli zii e i nonni): non per mediare a tutti i costi e per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ma perchè si tratta di una possibilità che è nelle cose. Quindi naturalmente anche la storia condivisa ha la s minuscola, ma va bene perchè sappiamo che è tutto quello che ci possiamo permettere.
(5) Mi limito a ricordare per esempio che quando insegnavo dai preti (fine anni '80) avevo in una stessa classe un genitore che mi esortava a reprimere con durezza l'indisciplina affermando che per lui l'insegnante doveva essere come il duce, e una genitrice che alle cene di classe ci salutava con citazioni mussoliniane esplicite. Ma è un po' il discorso che facevo parlando degli apoti, qui e qui.
(6) Il riferimento è al notissimo Una guerra civile (Boringhieri 19911: è un libro di storia molto serio e impegnativo e costa anche 25-30 euri...) dello storico Claudio Pavone, che non a caso lo sottotitola Saggio storico sulla moralità nella Resistenza.
(7) Tutti conoscono i romanzi e i racconti di Fenoglio sulla Resistenza che sono una delle testimonianze più limpide e articolate di tutta la faccenda. Al Partigiano Johnny, il romanzo più ampio e sistematico, io preferisco il folgorante Una questione privata, che tra l'altro mette anche meglio l'accento sulle ragioni personali e sugli intrecci della moralità di cui discute Pavone. Tutti i romanzi di Fenoglio sono notoriamente editi da Einaudi.

2 commenti:

  1. http://www.internazionale.it/opinione/christian-raimo/2014/11/29/parlare-di-antifascismo-a-scuola-per-fermare-casa-pound
    Leggo questo e mi viene in mente il tuo bellissimo trittico di post sulla Resistenza. Un saluto e un abbraccio.

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  2. Ciao Maria. Sentirti è sempre un piacere. Fa ricordare che si è meno soli di quanto a volte si pensa. Come la lotta del prof. Christian contro i post razzisti su facebook, che si spera sia meno inutile di quella contro i mulini a vento anche se un po' ci somiglia. Buone cose a te e a Giovanni. E che il solito Dio o se non lui qualche supereroe vi protegga e vi permetta magari di essere persino felici, almeno qualche volta. In fondo siete due sposi, no? Ricambio l'abbraccio con vero trasporto.

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