domenica 5 marzo 2017

LA “BALA CATIVA” o: Tromba contro i mulini a vento

Tromba in prima linea ai bei tempi
Tempo fa, sentendo raccontare abbastanza spesso dai vecchi rugbisti di epiche (e spesso parecchio alcooliche) imprese sportive ed extra sportive, alle quali per una parte della mia passatissima giovinezza avevo anche partecipato di striscio, mi era venuta l'idea di buttarle giù e metterle insieme a futura memoria in una raccolta alla quale avevo trovato anche un titolo che non mi pareva male: La vita è ovale – Storie del Rugby Oderzo, e che avrebbe potuto secondo me avere una circolazione limitata ma soddisfacente sia per i protagonisti che per i lettori.
Poi l'intenzione - strascinata dal milione di normali impegni che pressano me come chiunque (e forse indebolita da una sua intrinseca debolezza) - ha partorito pochissimo di compiuto: un racconto e qualche abbozzo.
Comunque ho ripescato abbastanza per caso l'altro giorno tra le cartelle l'unica storia che avevo finito di sistemare. A suo tempo l'avevo fatta leggere al suo protagonista, che mi aveva informalmente autorizzato a farla circolare, trovandola, se non encomiastica e celebrativa, quantomeno non diffamatoria. Oggi probabilmente la scriverei in modo un po' diverso, ma non ho tempo né voglia di rimetterci le mani. La metto qui: qualcuno potrebbe trovarla divertente.
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Integratori alimentari - Si suda, a giocare a rugby, e bisogna bere. Così i giocatori bevono. E dopo che per tutta la partita si sono ciucciati acqua di rubinetto da bottiglie di plastica, si può capire che quei poveri disgraziati, che si sono pestati come bistecche per ottanta minuti, abbiano voglia di qualcos'altro. Oggi ci sono integratori raffinati, di tutti i colori e sapori, che restituiscono all'atleta il corretto apporto di sali, zuccheri e tutto quel che serve. Ma è chiaro che una volta che non c’erano queste cose i giocatori si arrangiavano lo stesso, con integratori liquidi più casalinghi, in genere di colore biondo o rosso con varie sfumature. Si tratta naturalmente di sostanze perfettamente lecite, che circolano molto largamente anche adesso, forse meno efficaci nel ricostituire la dotazione di sostanze di cui l’organismo ha bisogno dopo lo sforzo, ma sicuramente di gusto migliore e oltre a tutto capaci, vantaggio non indifferente, di produrre effetti collaterali positivi: impediscono la depressione psichica in caso di sconfitta, contribuiscono a ristabilire l’amicizia dopo la tensione della partita e favoriscono in genere la socializzazione e l’allegria. Sono cose che succedono anche negli altri sport, ma che nel rugby forse sono diffuse in modo più omogeneo anche per via della tradizione del terzo tempo, durante il quale può capitare che a causa di queste pratiche l’atleta vada incontro a un certo scadimento delle proprie condizioni: minore lucidità, piccoli sbalzi d’umore, reazioni fisiche e mentali un po’ diverse dal solito.
Il placido Tromba - Questa premessa è piuttosto scontata, quindi in parte superflua. Serve solo a ricordare ai più moralisti che se si raccontano episodi in cui un giocatore di rugby dopo la partita viene descritto in condizioni di particolare “stanchezza”, la cosa non deve destare scandalo né far pensare che la persona di cui si parla sia gravemente dedita al vizio. È una cosa abbastanza normale e non troppo pericolosa per la salute, anche perché i soggetti che consideriamo sono in genere energumeni di dimensioni ragguardevoli e capaci di una certa tenuta sul piano dell’assimilazione.
Dunque, sembrerebbe che in sé non ci fosse neanche chissà che di interessante nel dire che ai bei tempi poteva accadere a volte di vedere Tromba, storico pilone del Rugby Oderzo negli anni ‘70-’80, in queste condizioni, diciamo, di “stanchezza”. Ma la cosa può diventare curiosa se si aggiunge che Tromba, universalmente noto per essere un uomo aperto e gioviale come pochi altri, aveva la “bala cativa”. Certo, “cattiva” è una parola grossa, che può dare un’impressione sbagliata, che sicuramente non pare credibile a chi conosce Tromba di persona. Perché Tromba è una persona gentile e umana, che si tende a immaginare sempre con un bel sorriso largo e sereno stampato sulla faccia. Uno che, anche quando giocava, più che a una furia della natura faceva pensare al “pio bove” di Carducci e al suo “sentimento di vigore e di pace”, anche per il ritmo diesel e la capacità di trazione da macchina agricola. Naturalmente Dio conosceva fin dall'inizio il carattere di Tromba, tanto che ha fatto in modo che i suoi genitori, che già di cognome facevano “Tranquilli”, gli imponessero il nome di Angelo. Dunque ancora più strano: come è possibile che Angelo Tranquilli, detto Tromba (pare per la voce tonante, su altre capacità non ci sono pervenute testimonianze attendibili) avesse la “bala cativa”?

Le “Sìmie” antipatiche - La “bala cativa”. Appunto: si dice così di quelli che, quando hanno preso un bel po’ di “integratori”, reagiscono male. Ma anche in questo “male” ci sono tante sfumature possibili: si può essere assaliti dalla tristezza e piangere, si può diventare violenti e spaccare tutto… ci sono mille varianti legate a fattori difficili da valutare. E Tromba non diventava veramente cattivo. Sembrava piuttosto che gli montasse dentro una specie di ostilità sorda nei confronti del mondo, che tutto gli desse fastidio, che niente andasse come voleva lui e ogni cosa fosse invece guastata da un’ingiustizia e da un disordine contro il quale si sentiva in dovere di protestare e di combattere. Era un po’ come se le “sìmie” che Tromba si tirava su e accoglieva sulle proprie larghe spalle fossero particolarmente antipatiche e dispettose e lo facessero combàter oltre misura. Dunque un cambiamento avveniva, ma non era una trasformazione mostruosa in un essere brutale e violento, da Jekyll a Hyde. Piuttosto sembrava un momento di esaltazione, una folgorazione mistica, un invasamento pagano, come se Tromba proprio in quei momenti vedesse davanti a sé con la massima evidenza i propri mulini a vento, dei fantasmi come quelli che ciascuno di noi ospita o nasconde da qualche parte, e che si manifestano come e quando pare a loro.

L’aria della notte - Detta così può sembrare grossa: in sostanza Tromba diventava piuttosto fastidioso, un po’ intrattabile, alzava la voce, risultava difficile da gestire. Compagni di squadra e amici avevano il problema di portarlo a casa, cosa in sé non difficile. Il punto è che non bastava caricarlo in macchina e depositarlo di fronte al portone del condominio. Intanto era meglio che gli passasse un po’ prima di rientrare, per evitare di creare qualche problema ai suoi. E poi lui stesso non era sempre disposto, così semplicemente, a ritornare. E’ capitato che la “squadra di intervento” lo accompagnasse in ascensore fin sul pianerottolo per lasciarlo davanti alla porta di casa, e lo vedesse poco dopo, prima di allontanarsi definitivamente, ridiscendere le scale e piazzarsi in strada, seduto sul muretto dall'altro lato della via, a guardare in alto e parlare con l’aria della notte.

Il giorno che piovve caldo - Quando ci si trova in quelle condizioni accade spesso di combinare qualche guaio, magari involontariamente; Tromba non faceva eccezione. Ricordiamo solo un episodio: per una trasferta piuttosto lunga la squadra aveva noleggiato un autobus a due piani. Durante il viaggio di ritorno dopo la partita, l’intenso consumo di “integratori” aveva provocato in alcuni giocatori una situazione di evidente “stanchezza”. La giornata era così così, il cielo era parzialmente coperto, e il compianto Primo Dall’Acqua, storico custode del campo di Oderzo, si sporgeva da uno dei finestrini del livello inferiore della corriera per dare un occhio alle condizioni del tempo, oppure per prendere un po’ d’aria. Disgraziatamente, proprio in quel momento, più o meno sopra di lui, da uno dei finestrini in alto si stava sporgendo Tromba, a cui le oscillazioni e le scosse del mezzo di trasporto avevano provocato come un senso di disgusto e di rifiuto di ciò che in quel momento aveva dentro di sé, non tanto nell'animo quanto nello stomaco. Così Tromba si lasciò andare e buttò fuori tutto quello che aveva dentro, e una piccola parte di quello che aveva dentro finì sul coppino proteso di Primo che, pieno di stupore, venne fuori con una sua caratteristica espressione e disse pressappoco: “Zio Lambro! Piove caldo!!”. Le testimonianze non specificano cosa disse Primo quando si rese conto di non essere precisamente umido di pioggia…

Condizioni critiche - C’è poi un famoso terzo tempo al termine del quale Tromba finisce per trovarsi in condizioni veramente problematiche a causa dell’assunzione di “integratori”. E’ una sera in cui i componenti della “squadra di intervento”, costituita come sempre dai compagni che casualmente hanno tenuto botta più a lungo e non sono ancora rientrati, cominciano a scambiarsi occhiate tra il perplesso e il preoccupato: Tromba è più infuiscà del solito e non dà segno di riprendersi neanche col passare del tempo. E’ tardi (ore piccole) e tutti ormai hanno voglia di prendere la strada di casa, ma prima bisogna rimuovere quel macigno che sta ancora in mezzo e che non sembra tanto disponibile a facilitare le operazioni. Il piano “A” sarebbe relativamente semplice, se qualcuno abitasse da solo: ci si porta a casa Tromba, lo si sistema per una notte nel letto degli ospiti o, al massimo, sul divano, con sopra una coperta e sotto un asciugamano (per il caso in cui gli venga da rifiutare quello che ha dentro di sé). Così la notte passa e la mattina dopo è un’altra storia. Ma dalle nostre parti, specialmente una ventina di anni fa, non è che i single fossero una merce tanto diffusa. Tutti i componenti della squadra di intervento di quella sera tengono famiglia e non possono permettersi di turbare la quiete delle spose o delle mamme tirandosi in casa un affar serio di quel genere.

Il piano “B” - Il tempo passa e la situazione sembra arrivata ad un punto morto, quando qualcuno si ricorda improvvisamente dell’esistenza di Ugo C., buon amico di alcuni giocatori, di professione sindacalista e quindi sensibile ai problemi umani e sociali, ma soprattutto privo di legami familiari stabili, quindi residente da solo al piano terra di una casetta lì vicino. La decisione viene presa subito e all'unanimità: Tromba passerà la notte a casa di Ugo C. Bene. Ma chi avrà il coraggio di svegliare Ugo a quell'ora della notte e sarà capace di convincerlo a prendersi la briga? Altro momento di preoccupazione e perplessità, risolto grazie all'ideazione collettiva di una strategia geniale: il piano prevede che Tromba sia accompagnato alla porta di Ugo, che qualcuno suoni il campanello e che subito dopo tutti si nascondano dietro la siepe che delimita il giardinetto, per vedere di nascosto l’effetto che fa.

Il nemico alla porta - Il piano “B” viene messo in atto. Nei pressi della casa di Ugo la situazione è tranquilla e non è difficile far arrivare Tromba fino alla soglia. Qualcuno suona il campanello, insistendo un po’ per essere sicuro di svegliare chi si trova in casa ed è certamente immerso nel sonno, quindi tutti si nascondono rapidamente, come stabilito. Passano quei due-tre minuti necessari a permettere a Ugo di svegliarsi, scuotersi un po’, rendersi conto che veramente qualcuno ha suonato alla sua porta e tirarsi su per andare ad aprire. Minuti carichi di attesa e di interrogativi per chi spia da pochi passi la figura imponente di Tromba, immobile e silenzioso davanti alla porta. Poi la porta si apre e nel vano si profila la figura di Ugo che, sebbene in pigiama e col capello sgarufà, ha avuto la notevole presenza di spirito di mettersi gli occhiali per essere certo di riuscire a distinguere bene il disgraziato che gli viene a rompere i maroni a quell'ora di notte. Nessuno dei testimoni è stato in grado di descrivere, probabilmente perché era indescrivibile, la faccia di Ugo che si vede davanti la figura massiccia di Tromba, catatonico, silenzioso, fermo in piedi sulla soglia, la faccia contratta in un’espressione che non si sa se è un sorriso serafico o un ghigno diabolico.
A questo punto il tempo si ferma come nei film western quando l’eroe e il cattivo stanno in piedi l’uno di fronte all'altro per il duello finale. Tutti trattengono il respiro mentre gli occhi sbarrati di Ugo mettono a fuoco dietro le lenti l’entità e la natura della massa che gli si oppone. Tutto è immobile, i gesti restano sospesi, nessuno parla: non succede niente. I ragazzi dietro la siepe cominciano a rivolgersi delle occhiate interrogative, incerti se intervenire. Ma, un attimo prima che qualcuno faccia un passo avanti, qualcosa si muove: senza spostare il resto del corpo, senza cambiare espressione, senza dire una parola, Tromba alza un braccio e abbatte la sua manona sulla faccia incredula di Ugo. Un colpo solo, non cattivo, non particolarmente violento, ma del tutto sufficiente a far schizzare via gli occhiali dalla faccia di Ugo e mandarli a fracassarsi a qualche metro di distanza. Non sappiamo cosa abbia pensato in quel momento Tromba, che non ricorda proprio perfettamente la circostanza. Sappiamo benissimo invece cosa ha pensato in quel momento Ugo, che lo ha detto subito a tutti ad alta voce, ripetendolo molte volte, in termini che qui non è decoroso riportare con esattezza ma che tutto il quartiere probabilmente ricorda ancora.

Begli amici… - I compagni, piegati in due per la raffica di insolenze che li investe, ma anche per il gran ridere, stanno per portarsi via Tromba. Invece Ugo manifesta un autentico spirito evangelico e dice di riportarglielo là, che in fin dei conti da lui c’è posto. Però sventola gli occhiali storti e frantumati e chiarisce che lui non sa chi, ma qualcuno di certo quelli glieli deve ripagare nuovi. Ugo non avrà fortuna: intanto la sua gentilezza viene subito ripagata con qualche ora di nervoso e di insonnia forzata. Infatti, nella stanza in cui è stato sistemato alla meglio, Tromba si produce per tutto il resto della notte in un’ottima imitazione sonora di un compressore da cento litri. E nei giorni successivi Ugo aspetta invano che qualcuno coscienziosamente si presenti per rifondere i danni a lenti e montatura. Vai a fare un piacere agli amici…

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