venerdì 6 maggio 2011

NON SI FIDANO

Non si fidano, e questo è uno dei dolori più grandi che alla fine ti tocca sopportare. Si accumula un po’ alla volta negli anni, tra momenti migliori e peggiori, picchi di convinzione e delusioni più amare. Ma alla lunga si accumula e te lo senti che ti pesa sul collo e che devi usare un po’ di forza in più per riuscire a stare ancora dritto.
Si resiste, per carità, ma alla lunga è una delle cose che si fa più fatica a reggere… 

Quando ti iscrivi a certe facoltà, all’Università, ti dicono che se ti va bene finirai a insegnare, altrimenti resterai a spasso e ti dovrai inventare qualcosa. Il senso della realtà è uno degli strumenti di sopravvivenza più importanti, ma a 18 anni quasi sempre se ne ha poco poco. Te lo trasmettono il lavoro e le difficoltà,
ma se hai una vita relativamente facile, come tanti di noi hanno avuto e ancora hanno da cinquant’anni a questa parte, le cose le capisci dopo.
Nessun rimpianto, nient’affatto. Insegnare resta una delle cose più belle da fare. Nella vita, intendo. Quello che puoi riuscire a fare con le tue parole per qualcuno che ha pochi anni e sa pochissime cose, rimane qualcosa di straordinario, a volte decisivo. E questo compensa i casi, più o meno frequenti, in cui riesci a fare poco o niente.
Ma quando ti iscrivi a certe facoltà non lo fai perché pensi che ti piacerà insegnare, lo fai perché ti diverti a studiare certe cose. Se hai una ragione vera, se non scegli a caso o per ripiego di fare quello che fai, è perché senti che quelle cose sono vitali, che fra quelle cose e le radici dell’esistenza, della tua, di quella delle persone a cui vuoi o vorrai bene, c’è un legame che è una delle cose più vere e profonde che ti sia capitato di provare fino a quel punto della tua vita.
Poi, quando hai finito, sei pieno di cose nella testa e nel cuore e devi affrontare il problema della pagnotta. Già ti hanno preso per scemo quando ti sei messo a studiare latino o storia dell’arte, per di più nel paese in cui se non produci qualcosa di materiale, che si possa trasportare e vendere, sei un bon da gnente e probabilmente anche una testa di cazzo. Adesso che sei laureato sono tutti là che ti aspettano per vedere come te la cavi, con quel pezzo di carta che, come loro hanno sempre pensato, non serve a niente, cosa che poi, nel tuo caso, a loro sembra anche più vera del solito. Così intanto fai domanda per le supplenze e ti inserisci nella graduatoria.
[Già ai miei tempi ti dicevano che le speranze erano poche e che comunque ti preparavi ad una vita da poregramo, di povertà non solo economica, ma anche, alla lunga, umana e morale, perché insegnare è una condizione che logora e abbrutisce: una vita meschina insomma. Oggi è ancora peggio, sul piano delle possibilità. Uno che studia lettere o simili ha davvero poche speranze di avere un posto a scuola, neanche prima o poi.
Ma in fondo non è vero niente. Uno bravo e che ha passione arriva, io credo, anche oggi. Adesso è più difficile, ma non è impossibile: se uno trova altra gente brava che lo riconosce e che gli dà una mano, se coglie tutte le occasioni che si presentano per fare qualcosa e intanto continua a studiare e a lavorare su se stesso… Alla fine ci sarà sempre bisogno di un po’ di gente sveglia per insegnare e ci sarà sempre una parte rilevante del nostro mondo che si renderà conto che questa è una faccenda delicata e importante che non si può lasciare solo agli scontenti di altro che lo fanno, si diceva, per ripiego.]
Ecco, la trafila è lunga, più o meno. Una delle cose che ti può far diventare davvero meschino è questa lotta sorda (e a volte sonora) contro altri poveracci come te per trovare un po’ di spazio. Ma puoi riuscire a non lasciare che questo ti succeda.
E una volta che ci arrivi ti trovi di fronte a un problema che quasi non sospettavi, del quale ti eri quasi dimenticato, soprattutto se la soddisfazione che ricavi dalla frequentazione quotidiana delle tue cose rimane grande: il fatto che non si fidano. Che ti trovi a cercare di parlare di quello che ti fa vivere a gente che vive di tutt’altro e con la quale fai una fatica bestia a trovare un qualche punto di comunicazione, anche se spesso non c’è poi tanta differenza di età tra te e loro. E allora ci devi lavorare.
Ed è una guerra che chi non ha provato a combattere da questa parte del filo spinato non ha idea di cosa sia. E per quanti risultati tu ottenga sul piano della didattica, per quanto poi tu veda la differenza che nel tempo si è prodotta, sotto sotto tu per loro rimani qualcosa di irrimediabilmente diverso da un essere umano, un mostro, appunto, di qualche genere. Magari non troppo spaventoso ma di cui resta sempre meglio non fidarsi. E questo resta davvero un dolore.
Ma nessuna rassegnazione, no, neanche quella. Ci si pensa, si cerca. E si prova a verificare quanto sia plausibile l’idea che molto dipenda dal mondo che ci mette in mezzo e che ci chiede di fare delle cose che vanno in direzione opposta a quella in cui va lui. Ma questo lo fa il nostro mondo, altri meno e altri ancora no. E il nostro stesso mondo non lo faceva tempo fa. Proviamo a pensare e a parlare di cosa è cambiato e di come utilizzare le nostre energie per spingere in una direzione che possa essere non troppo diversa da quella giusta.

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