domenica 16 settembre 2012

UMANO, ABBASTANZA UMANO

Non è che io mi senta di dare lezioni a chiunque su come si insegna. Le cose che dico qui escono dalla valvola che ho deciso di aprire un po' ogni tanto per lasciare uscire le cose che penso, obbligandomi anche un po' a mettere in ordine le idee, come deve fare chi vuole farsi capire da altri, per quanto pochi siano. Dunque qui non si offrono modelli. Al massimo qualche esempio, che in genere non pretende più di tanto di essere seguito. E naturalmente si considerano degli errori.
Confessare un errore non è facile, neanche confessarselo a sé medesimi. Oltre a tutto prima bisogna accorgersene e neanche questo è semplice. All'inizio pensi di sbagliare moltissimo e sempre e pensi ogni due settimane di aver sbagliato mestiere e che è meglio se ti metti a fare qualcos'altro. Ma non sei obiettivo e magari non sei così male, ma non capisci davvero cosa sbagli e cosa no. Quando acquisti sicurezza può succedere il contrario, di rischiare di sottovalutare i danni che puoi fare e passarci sopra con troppa autoindulgenza. Gli errori gravi non sono le debolezze (hai fatto tardi e sei un po' suonato e non riesci a spiegare con lucidità, oppure quel giorno proprio non ti viene e fai una brutta lezione... (1)), quello è abbastanza umano e può capitare. Se riesci a essere sempre dritto e preciso come un orologio è meglio, ma non è facile. E, dicevo, non è questo il punto: il problema sono gli errori grossi, di gestione della classe, gli errori che commetti nei rapporti, per non parlare (questa è una delle faccende più pesanti) delle scommesse che fai quando contribuisci a decidere di promuovere o bocciare, scommesse che a volte vinci e a volte perdi e spesso non sai se hai vinto o perso. Su questo un po' alla volta impari che l'importante è pesare bene le cose, pensarci sopra, dare tempo alla scelta di maturare bene prima di farla e parlare spesso con lo studente che rischia, prospettargli chiaramente la situazione lasciando sempre aperta la possibilità fino a quando obiettivamente resta uno spiraglio. A quel punto decidi e anche se non sai se hai deciso per il meglio almeno sai che non potevi fare di più. Ma su questo prima o poi torno.
Comunque, anche dopo il numero di anni che serve per volare ogni tanto col pilota automatico, per guidare senza troppa tensione, non è facile focalizzare le cappelle che hai davvero fatto. Faccio un esempio generico: lo scorso anno ho preso di petto due studenti che ponevano problemi diversi. Separatamente e in periodi diversi, uno di fronte anche ad altri in classe, l'altro prendendolo da parte (ma prima e poi anche tenendolo molto d'occhio e “pungendolo” abbastanza spesso anche di fronte agli altri). Adesso a posteriori mi sentirei di dire che con uno ho sbagliato e con l'altro ho fatto la cosa giusta, ma non ne sono del tutto sicuro e comunque non è di questo che intendo discutere adesso: l'errore che voglio confessare è uno molto meno serio, innocente, tecnico e non molto pesante in termini di coscienza. Ma su questa questione degli errori preferisco andare per gradi e cominciare da una cosa piccola (coming next: “Crocette”).
(1) Sempre Pennac: Diario di scuola, parte III, §6, p.104-5

6 commenti:

  1. Ho trovato in giro la mamma dello "Studente preso di petto" n.1. Non mi è parsa risentita. Magari dissimulava, ma a occhio direi di no. Dunque forse mi sono pentito per niente, ma direi che è sempre meglio avere un po' di coda di paglia e rischiare di pentirsi per niente che tendere a passare di slancio sopra i fioi, ciecamente. Non sai mai.

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