mercoledì 12 giugno 2013

DOM

Aleks, un gioiello.
Ultimo giorno di scuola. Un brutto giorno, di solito. E non per le diecimila cose da fare sotto scrutini o per il pensiero degli esami, ma per il fatto che non è un giorno di lezione normale e va organizzato e gestito inventandosi qualcosa.
Non è troppo difficile, in apparenza, ma comporta sempre tanti problemi piccoli e grossi. Poi possono anche capitare cose belle e commoventi, ma non sempre succede. E comunque non mi basta la commozione facile che un paio d'anni fa alla partita di calcio di fine anno faceva piangere T.D., studentessa di quinta, perchè pensava (e lo diceva lacrimando): “E' tutto finito...”.
Infatti la ragione per cui stavolta ho quasi pianto, ho praticamente pianto, è che ho conosciuto di persona il papà e la mamma di Aleksandar. Aleks non c'è più da meno di un anno: era lo scorso settembre che se n'è andato, dopo un paio d'anni di malattia durante la quale ha dimostrato un coraggio non comune, continuando a studiare dentro e fuori dall'ospedale e prendendosi il diploma senza bisogno di farsi regalare nulla, con risultati solo accettabili rispetto alle buone cose che avrebbe potuto fare se fosse stato bene, ma assolutamente straordinari se consideriamo le condizioni di salute e d'animo in cui si trovava. Risultati comunque in assoluto migliori di quelli di molti studenti che non hanno (apparentemente) nessun problema serio e decidono di non studiare per ragioni che sanno solo loro.
Non conoscevo il papà di Aleks, a vederlo sembra un uomo buono. E la cosa bella e sorprendente è che lui e la mamma di Aleks, anche se non sono più proprio giovanissimi (del resto avevano un figlio di vent'anni), hanno, immagino anche per quello che è successo, deciso di dimostrare a se stessi (al mondo, a Dio, eccetera...) che avevano ancora coraggio e forza abbastanza per riprovarci: aspettano un bambino. Anzi due, pare. E questo fatto che siano due fa sorridere e viene naturalmente da pensarlo come un tentativo di risarcimento o uno scherzo da prete da parte di Dio, sempre lui. Ma viene da pensarlo solo per un secondo: l'idea di qualche genere di provvidenza ha la consistenza e la fatuità dell'arcobaleno, anche se è, appunto, un fenomeno naturale. Solo per un secondo: dopo di che ci si limita ad augurarsi che vada tutto bene e che questi due che si preparano a farsi vivi (e ad avere a che fare con noi gentaglia) abbiano un po' più fortuna del loro fratello. Per quanto: chissà che cos'è la fortuna...
Aleks giocava a basket (per forza, viene da pensare: cosa altro può fare un ragazzo serbo bosniaco anche se sta in Italia?). E per rivolgergli un pensiero i suoi compagni di classe e di squadra hanno chiesto che l'ultimo giorno di scuola si facesse una partita dedicata a lui. Questa l'invenzione di quest'anno per riuscire a gestire questa brutta faccenda dell' ultimo giorno. Il papà e la mamma di Aleks hanno detto due parole prima dell'inizio: hanno detto che ringraziavano tutti, che tanti avevano saputo farsi sentire vicini, prima e dopo. Poi il papà ha detto che suo figlio era “un gioiello” e tutti hanno applaudito, a lungo. Personalmente avrei applaudito per mezz'ora, nella speranza che potesse avere un significato e fare una qualche differenza: il solito contributo virtuale della prossimità emotiva. Ma magari è bastato anche quel minuto.
Dunque, questa è stata la cosa commovente. Meno commovente il fatto che in spogliatoio a uno studente è stato rubato un telefono da parecchie centinaia di euro. Disgustoso invece il fatto che uno studente che presumeva di essere stato bocciato si sia presentato con una di quelle specie di mitra ad acqua da spiaggia da ragazzetti per stonfare i suoi crudeli e certamente colpevoli insegnanti. Queste cose, insieme a mille altre, ti fanno pensare una volta di più che vivi in un postaccio e che i tuoi sforzi per renderlo un po' migliore non potranno che restare senza effetto. Gentile, invece, il gesto di alcune tose che mi hanno portato una Settimana enigmistica nuova fresca, per darmi l'occasione di mostrare che faccio il Bartezzaghi in meno di dieci minuti, come sbravuro sempre di saper fare, cosa che d'altra parte ho dimostrato anche in questa occasione. Vabbè. Microvanità.
Per il resto l'ultimo giorno dell'anno resta uno dei momenti in cui si vede meglio quanto, per gli studenti, sia netto e marcato il confine che separa il mondo vero di fuori, fatto delle cose che contano veramente, e quella specie di patetica chiesa ortodossa che è la scuola. E' un po' come alle pizze di fine anno: spesso prendono la cosa come un'occasione per farti vedere che loro sanno cosa conta davvero e che niente (o quasi) di quello che hanno fatto (?) con te rientra nell'insieme degli oggetti di valore. E questo accade spesso anche quando pensi, con una classe o l'altra, di essere riuscito a mettere insieme qualcosa di umano. Più tardi, poi, col tempo, magari un po' di ragione te la danno, ma in quel momento no: c'è un fondo di risentimento che viene fuori e che è il risultato di anni di frustrazione che tu non sei riuscito a trasformare in qualcos'altro: non dico entusiasmo ma un po' di motivazione, un po' di capacità di pensare in prospettiva. Invece no: resta lì duro come una pietra il fatto che non si fidano. E che in queste occasioni sembrano provare un gran piacere nell'esibire il fancazzismo svitellante e sgallinante che rappresenta per loro la gioia della vita e il fiore della libertà, come se fosse un'opera d'arte o la fiaccola della rivoluzione.
Io tutte queste cose le so. Le ho anche provate, in qualche misura, stando dall'altra parte come tutti. Ma insisto che ci deve essere un modo di andare nella stessa direzione, di fare della scuola un posto in cui ci si riconosce nella sostanza e si lavora insieme sul serio. Ma non riesco a farlo capire.
Una volta, quando riuscivo a fare il cruciverba, vedevo che tutto sommato il gesto era apprezzato e serviva a non chiudere troppo male il tempo passato insieme. Adesso mi limito a cose più piccole, che però non funzionano, o funzionano poco. Una cosa che ho fatto a volte (anche quest'anno) è stato far vedere (o regalare una copia di) un film che secondo me racconta proprio questo passaggio: la situazione in cui da una dimensione tutto sommato chiusa, protetta e semifamiliare, come quella della scuola superiore, si viene buttati fuori, volenti o nolenti, in un mondo duro e pericoloso che divide e mette alla prova senza compassione. Il film è Fandango (1985), di Kevin Reynolds (1 - spoiler), con un giovanissimo Kevin Costner che fa la parte del capo di una piccola banda di vitelli del Texas che al momento dell'uscita dal college decidono di farsi l'ultimo viaggio insieme per celebrare la fine del loro tempo e per esorcizzare la paura della tragedia che li aspetta, visto che siamo nel '71 e che tre di loro hanno ricevuto la comunicazione che ordina di presentarsi per l'arruolamento nelle truppe americane destinate al Vietnam.
Il viaggio è, come è naturale, dichiaratamente aperto a possibili deviazioni dettate dall'ispirazione e dagli eventi. Così il racconto si annoda intorno a tre-quattro episodi, uno più assurdo dell'altro, nei quali si mostra come la felicità di essere giovani consista in sostanza nell'inventare forme gratuite e, possibilmente, pericolose al limite della stupidità, di spreco di se stessi e della propria vita, o almeno di qualche pezzetto di essa. La cosa sembra senza capo, ma una direzione di fondo c'è: i cinque (uno dei quali dorme sempre, mentre un altro tace quasi sempre) stanno andando a liberare DOM, operazione di cui non si capisce il contenuto e il senso fino a quando non si vedono i nostri eroi attraversare una steppa semideserta al di là del confine col Messico per poi arrampicarsi su di una rupe scoscesa fino a un grosso masso, sul quale è appunto graffiata in caratteri enormi la parola DOM. La scena è questa.
I privilegi della gioventù: si capisce. Vuol dire che non c'è un diritto, che non c'è una ragione che fa da fondamento: che la bellezza e l'insensatezza della gioventù sono in qualche modo la stessa cosa, in fondo, un regalo immotivato di cui non si gode mai abbastanza e che poi viene tolto con la stessa leggerezza con cui è stato dato: a tutti ma non proprio a tutti; a molti ma, senza ragione, a qualcuno no. Perchè lo splendore di quel tempo acerbo e sgraziato sta proprio nell'incoscienza con cui si prende ciò che di più bello e buono c'è, lo si assaggia appena e poi lo si butta via.
Dunque avrei torto io, che provo a farmi seguire su strade che portano da qualche parte? Che spero e cerco di fare delle cose insieme ai ragazzi per metterli in condizione di non morire, di avere qualche probabilità in più, nel (più o meno) Vietnam che li aspetta? Dunque sarei un incrocio tra un illuso e un inopportuno? Uno che non capisce che le cose sono andate vanno andranno sempre così e che dovrebbe rassegnarsi al fatto che la realtà deve mettersi permanentemente al servizio di questa vitalità informe e canina, di questa condizione di dissipazione? Una condizione che poi, nella coscienza di ciascuno di questi fioi (e tose) resterà la dimensione ideale a cui tendere anche quando, da grandi, per sopravvivere, accetteranno un lavoro piuttosto duro e del tutto insensato rispetto a loro stessi, solo per avere abbastanza denaro da buttare via in queste troiate più o meno piacevoli e, in genere, di sovrana inutilità.
Forse dovrei. Ma, come al solito, non credo, se no non starei dove sono. Se si è esseri umani, almeno un po', anche durante questo tempo scellerato della giovinezza si sente oscuramente la contraddizione irrisolvibile della propria condizione, la tensione, che a lungo non sfuma, tra le infinite possibilità che si hanno e il totale disinteresse per ciascuna di esse che quasi sempre si prova per un certo tempo. Salvo poi precipitarsi di colpo in qualche abisso di passione per persone luoghi attività spesso tanto più attraenti quanto più incongrui, capaci di sorgere  – out of the blue – e tramontare con rapidità estrema. E' dalla lotta contro questa contraddizione che si deve portare a casa il peso sostanziale che serve, nella vita, a stare attaccati a terra in modo da non essere inconsistenti, ma anche la capacità di non restare fermi dove si è, di muoversi. Una capacità che in genere dura per sempre, fino alla fine.
Così Gardner (Kevin Costner) che (lo si scopre alla fine) ha amato e perduto per sua leggerezza e colpa la ragazza del film (nei titoli di coda è semplicemente The Girl) lasciando poi che finisse tra le braccia dell'amico più caro, saluta la propria giovinezza compiendo questo gesto di assoluta nobiltà: recupera la ragazza e la recapita avventurosamente all'amico al momento giusto in questo villaggio del Texas – luogo e tempo sospesi – dove i due, la ragazza e l'amico, si sposano, con attorno una festa miracolosa, inventata dal niente come solo la gioventù e i suoi privilegi consentono. Finisce che Gardner balla con la ragazza l'ultimo ballo, durante il quale il rimpianto quasi li sommerge, ma poi lei se ne va con lo sposo mentre Gardner sparisce e saluta da lontano, brindando, si può immaginare, alla vita o a qualcosa del genere.
Ecco: io do loro una copia del film e mi illudo che lo guardino e che, anche grazie a questo, capiscano che io so, più o meno, quello che stanno vivendo. E mi illudo che ripensino con affetto al tempo vissuto insieme e al lavoro fatto e che riescano a dare a tutto il valore che ha. Ma invece credo che loro continueranno a guardare quasi solo filmati di incidenti e altre assurdità da minorati mentali su youtube, e che il film, che non sarà un grande film ma mi commuove sempre e che ho passato loro per vedere se fra di noi, messo in conto tutto, alla fine è comunque rimasto qualcosa, quel film loro neanche lo vedranno. Ci scommetterei.

(1) Mi dicono che quando parli della trama di un film o simili devi scrivere questa parola per indicare che chi legge potrebbe rovinarsi un'eventuale visione futura del film. Dice Wiki: Il termine spoiler (dall'inglese To spoil, "rovinare") è spesso usato in ambito cinematografico per segnalare che un testo riporta delle informazioni che potrebbero svelare i punti salienti della trama del film. Il termine spoiler può però riferirsi anche ad altri contesti dove può essere svelata una trama, come libri, videogiochi, serie televisive, fumetti. In italiano può essere tradotto tranquillamente come anticipazione e in forma verbale come anticipare.

8 commenti:

  1. 1. io non sono mai stata giovane
    2. Kevin Costner è stato giovane e da giovane fa molto sangue
    3. che gusto bevar el dom a 40 gradi
    4. vedo che il demone dello spoiler ti ha imparato la lezione
    5. questi giovini, certo non tutti, ma credo molti, o vabbé magari anche solo alcuni, si ricorderanno di quello che hai fatto per loro. O magari non se lo ricorderanno ma sarai comunque un ingrediente. Tipo la cannella nella crema catalana, che non ti accorgi se c'è ma se non c'è non è buona uguale.
    6. deh come sono Ladycocca stasera.

    RispondiElimina
  2. 1. tu sei giovane
    2. no comment
    3. sì, infatti gli fa spiuma in gola e lo sputazzano, a parte il dormiente che viene irrorato
    4. demone mi catturò
    5. io vorrei che capissero un po' di più prima, e lavorare insieme, non averli sempre fastidiosi prima e capiscono dopo quando è tardi (ok non è mai tardi, ma.)
    6. Ladycocca quella di LadyMarian?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. 3. costui a mio avviso era già in coma etilico, esso non è dormiente.
      5. anche io vorrei una mansarda vista faraglioni con dentro Kevin Croste da giovane. Ma.
      6. colei.

      Elimina
  3. sul punto 5, sappi che: quando ero giovane per davvero (non come ora che sono piena di capelli bianchi e presto dovrò arrendermi all'idea di farmi una tinta) avevo molta stima e rispetto dei miei prof delle superiori. Poi crescendo ho visto meglio alcune cose, e di alcuni la stima è un po' scemata. Quindi ti dirò che secondo me è meglio cambiare idea in meglio che in peggio. Ecco. Anche se posso capire che questo conforta poco.

    RispondiElimina
  4. Grazie Maria, ottimo tentativo. Ma non è solo e tanto una questione personale, quanto una questione di mentalità, di quello che uno ritiene sia ovvio pensare della scuola e di quello che ci si fa. Temo che questa sia un'impresa ciclopica (anche nel senso di "orba"). P.S. Anche tu sei decisamente giovane, anche se forse eri una di quelle studentesse che a 18 anni in realtà ne hanno 35.

    RispondiElimina
  5. Grazie a questo post ho scoperto Fandango,mi rimane nel cuore la scena del ragazzo dormiente irrorato dal vino, clamorosa.

    RispondiElimina
  6. Spero che tu abbia visto tutto il film: anche la scena del treno e quella del lancio col paracadute sono bellissime. Nell'insieme non è un grande film ma nella sua dimensione è anche lui un piccolo gioiello a cui sono molto affezionato.

    RispondiElimina
  7. Ieri è arrivata questa mail: Salve prof, volevo avvisarla che stanotte alle due sono nati Andrea e Anastasia, i figli di Milos e Stana. Le ho scritto perché ho pensato le avrebbe fatto piacere saperlo. Sia loro che la mamma stanno bene. Saluti, D.Z. - E' vero, mi fa molto piacere. Spero che tutti siano felici quanto possono. Ho un bicchiere in mano e lo alzo: speriamo che Dio stia attento a quello che fa.

    RispondiElimina