martedì 20 agosto 2013

TURISTI

V. ha fotografato questo scorcio del Campidoglio, col Vittoriano e l'Aracoeli
Non è un'ossessione frutto di snobismo intellettuale: io odio veramente i turisti. E soprattutto odio me stesso quando non impedisco alle circostanze di fare di me qualcosa di molto simile a un turista.
Ho sperimentato molte volte come chi non sa non vede. Questo specialmente se il problema è farsi un'idea dell'urbanistica e dell'architettura e, naturalmente, dell'arte, nella loro connessione con la storia. Questo fa sì che io pensi che uno dovrebbe spostarsi solo per andare a vedere cose di cui sta studiando o ha studiato; cose che conosce bene e sulle quali ha bisogno del sentimento prodotto dalla presenza: la propria nel posto e quella del posto (e delle cose che ci si trovano) davanti ai propri occhi. Riuscire a fare questo vorrebbe dire conservare una specie di integrità, che mi verrebbe da definire spirituale piuttosto che morale, anche se tutti e due gli aggettivi mi sembrano imprecisi.
(all'imbocco di via Condotti con Piazza di Spagna due signori di origine orientale, tipo India o Sri Lanka, CUOCIONO CALDARROSTE sulle bronze in un bidone di lamiera! IL GIORNO DI FERRAGOSTO!)
Ma riuscire a fare questo è difficile se prima non ci si è procurati delle condizioni di vita che permettano una grande, davvero grande, indipendenza di scelte. Questa indipendenza può essere consentita dalla ricchezza. Ma per ottenere o anche solo mantenere la ricchezza è facile sia necessario compromettere a priori la propria 'integrità spirituale'. Oppure può essere consentita da un'alchimia di decisioni, alcune delle quali sono verosimilmente piuttosto radicali e comunque richiedono molta saggezza: quella necessaria a creare nel rapporto col mondo un equilibrio che appare come uno degli obiettivi più difficili da realizzare.
(inoltre a ferragosto tutti i negozi gestiti da cinesi e che vendono bataria sono aperti. Sono quasi gli unici ma non proprio: prasempio sono aperti anche MaxMara e Furla, mentre Zara è chiuso)
Lo so: faccio ridere. Sto dicendo che per fare una vacanza decente uno dovrebbe essere un uomo veramente e profondamente libero. Come dire che per non sentirsi in colpa di fronte a un mendicante o a uno sfortunato dovresti essere un santo. Beh: farà anche ridere, ma in fondo è precisamente quello che penso... Questo spiega il mio sentimento di non essere in fondo degno di stare a Roma per questi pochi giorni e il mio oscuro senso di colpa per il fatto di non riuscire a cogliere sempre con vera profondità il respiro della storia e di non provare sempre e con la massima intensità l'emozione memorabile che dovrebbe conseguirne.
(quando uscivamo la nostra direzione era quasi sempre: Ponte Sisto, via dei Pettinari, via dei Giubbonari, Campo de' Fiori; lungo via dei Pettinari si trova la piazzetta della Trinità dei Pellegrini, la chiesa nel cui “ospizio” sono stati curati e spesso sono morti i difensori della Repubblica romana al momento dell'assedio francese del 1849. Tra di questi una lapide segnala che c'era anche Goffredo Mameli)
   
Ma è chiaro che se vai via per pochi giorni, in cui cerchi di ammortizzare la spesa vedendo il più possibile, trasformi la situazione in una fatica in cui è evidente che a momenti l'obiettivo principale diventa bere mangiare pisciare dormire sedersi stare all'ombra, mentre la capacità di raccogliere quello che resta della propria coscienza per capire o sentire qualcosa spesso viene meno con evidenza e tu ti senti principalmente un pezzo di carne con gli occhi, con il sangue che pulsa e ti riempie di sensazioni animali.
(in particolare da Furla vediamo uscire una donna araba, apparentemente sessantenne circa, ben coperta dal suo niquab nero, che esce dal negozio pavoneggiandosi compiaciuta per la sua nuova borsa, accompagnata dal marito, che ha l'aspetto (baffetti e ociai spessi con montatura de tartaruga) e l'abbigliamento (camiseta a quadri maneghe curte e braghe co le pens) di un ragioniere del catasto yemenita)
Fatta la tara di tutto questo, e naturalmente del sommo troiaio creato comunque dalla presenza imponente di tutti gli altri turisti, cerchi comunque di cavarne qualcosa. Ora: non sarò certo io a dire su Roma qualcosa di nuovo e decisivo, ma due pensieri rachitici mi si sono formati con fatica tra gli stenti della vacanza, quindi adesso cerco di darci forma. Uno è che Roma mi pare l'unica città che conosco capace di stare a confronto con Venezia quanto all'infinità e all'imprevedibilità di possibilità visive e di soluzioni nell'organizzazione dello spazio, sia per largo che per alto. Naturalmente Roma è di più: magari Venezia ha l'acqua che introduce una vibrazione sempre diversa e non imitabile, ma Roma è grande, larga e, anche quanto al tempo, ci si trova ovviamente roba distribuita lungo un giro di secoli molto più vasto e disteso (a Venezia manca tutta la dimensione dell'antichità), il che aumenta le possibili varianti e combinazioni.
(al ghetto ebraico, via del Portico di Ottavia, c'è un negozio di elettrodomestici chiuso di fronte al quale si sono trovati e sono lì fermi a parlare – alcuni in piedi, altri seduti sugli scalini, tre siore hanno perfino ciascuna la sua careghetta tubolare con sedile di tela - uomini e donne anziani, una quindicina circa: stanno lì e parlano la mattina del giorno di festa...)
La cosa più impressionante di Roma mi è sembrato proprio il fattore quantitativo, l'accumulo. Che appare chiaramente come il risultato nel tempo della volontà di grandi poteri (l'impero romano, il papato, in misura minore lo stato italiano) di manifestare al mondo se stessi, la propria grandezza e il proprio livello di civiltà. Per esempio i Fori, o San Pietro, o la Galleria Borghese, sono luoghi letteralmente pieni di cose straordinarie, molte delle quali anche prese da sole basterebbero a dare senso e valore all'intera vita e attività di un artista. Invece tutta questa roba è concentrata accostata combinata nello stesso posto, risultato di una vertiginosa costruzione estetica e intellettuale durata secoli, tra mille cambiamenti e revisioni che naturalmente continuano, costruzione dal cui effetto viene naturalmente sommerso – come da una specie di onda – chiunque non abbia una preparazione vasta e una frequentazione e familiarità con i luoghi. Questo pensiero ha contribuito a farmi sentire meno a disagio nell'insieme, anche quando la stanchezza e la sete mi impedivano di riflettere e di provare a spremere fuori qualche genere di comprensione e di emozione di fronte a quello che vedevo.
    
(questo è V. che gioca nella fontana del nuovo complesso dell'Ara Pacis, che a noi è molto piaciuto)
Diciamo anche che, al di là di qualche episodio, abbiamo trovato in genere gente gentile e simpatica. In particolare un pomeriggio, in un baretto a Trastevere vicino a dove dormivamo, abbiamo conosciuto in modo del tutto casuale un giornalista abbastanza famoso, che lavora soprattutto in tv e, insieme ai suoi amici, è stato gentilissimo con noi dandoci un sacco di indicazioni non ovvie su cosa vedere e dove mangiare, oltre ad accompagnarci per un'oretta in un breve giro nel quartiere a vedere dei posti interessanti e poco noti (“La verità è che nun c'avemo un cazzo da fa'...”). Per dovere di riconoscenza citiamo almeno la Trattoria da Teo (piazzetta Ponziani, dietro il ministero della salute, a 50 metri dal lungotevere, poco a valle dell'isola Tiberina), dove abbiamo mangiato benissimo spendendo poco (ottimi carciofi alla giudìa e fiori di zucca e soprattutto un'amatriciana e una cacio e pepe notevolissime).
(nel negozio Nike, reparto Tennis, un giovinotto, direi straniero, non proprio atleticissimo e un po' peocco, si prova una maglia arancione-fastidio e mima energicamente il dritto e il rovescio guardandosi allo specchio. La sua morosa sta seduta lì e lo guarda. E il fatto è che lui si fa guardare, e va avanti per un po'. 'Vattene finchè sei in tempo', direbbe qualcuno. Ma lei dalla faccia sembra rassegnata e incapace di reagire. E sta lì...)
Resta vero che se non sai bene cosa vedi dovresti muoverti solo per lavoro o per studio: solo in questi casi partecipi della vita di chi vive normalmente in città, conosci la gente, frequenti gli stessi posti, fai le cose con un ritmo umano, con meno tempo libero ma anche senza l'ossessione di vedere il più possibile a tutti i costi. Quando fai il turista sei destinato a non capire quasi niente e, anche se comunque cerchi di sfruttare l'occasione come puoi, ti pesa.
(la sera, mentre passeggiamo, giriamo un angolo e ci arriva addosso un brandello di conversazione animata tra uno e una: lui è di spalle e si vede solo che è vestito moderno; lei è mora e un po' traccagna ma carina e ha un aspetto abbastanza aggressivo. Infatti quello che sentiamo è lei che dice a lui: “Mo', si credi de damme la colpa a 'mme, m'hai rotto er cazzo!”)

 

(negli ultimi due-tre anni a Roma sono state collocate molte di queste stolpersteine, pietre d'inciampo, davanti alle case da cui, a partire dal 16 ottobre del 1943 sono stati prelevati dei cittadini italiani di origine ebraica per essere deportati e, quasi sempre, uccisi; queste si trovavano davanti al portone della casa in cui abbiamo dormito)
(p.s. - siamo di ritorno dalla GNAM (Galleria Nazionale di Arte Moderna), spazio che è, come ricordavo, bello e ricco e appassionante, verso il quale, nella mia ignoranza, ho solo una punta di perplessità, che non saprei ben giustificare, sull'allestimento; poi vogliamo evitare, per una volta, di farcela tutta a piedi, così prendiamo un tram chiedendo indicazioni, ma ci tocca fare un giro strano, scendere a Viale Giulio Cesare e fare un pezzetto a piedi per beccare l'autobus che ci riporti alla stanza; arriviamo alla fermata, via Marcantonio Colonna, davanti alla quale ci sono una gelateria e una friggitoria che fanno affari d'oro, perchè quasi tutti in attesa del bus entrano da una parte o dall'altra; L. prende un gelato a un gusto strano con arachidi, V. avrebbe fame ma diffida perchè due giorni prima ha preso un supplì [o arancino, non ricordo] in una pizza e friggi a Trastevere e ha detto che era impaccato, freddo da freezer nel mezzo e forse un poco rancido; ma qui vediamo che hanno appena scolato delle robe tonde di colore grigiobeige e diversa gente se ne fa fare dei panini; tendo l'orecchio e sento che la parola d'ordine è: "pane e panelle"; così convinco V. e ordino: mi danno un panino tondo coi semi di sesamo in cima e dentro cinque o sei di queste panelle (frittelle di farina di ceci) condite con sale pepe e limone; do un morso a questa roba rovente: buooono...)

8 commenti:

  1. mai capito infatti, il senso dei viaggi in siria e india di mia zia rosetta

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  2. Alla fine bisogna avere comprensione per la zia Rosetta: le zie hanno i loro diritti. Certo che il turismo di massa è una piaga e farsene coinvolgere anche solo in parte a me crea problemi di coscienza. Ma son esagerato, lo so...

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  3. Bisognerebbe viaggiare solo per andare a trovare le persone.

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  4. Sì. O comunque perchè si deve davvero fare qualcosa in quel posto dove si va.

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  5. Tipo bere spritz con le persone che si vanno a trovare.

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  6. No, dai, anche lavorare o studiare. Mica si può stare lì solo a preoccuparsi delle proprie zampe... ;)

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  7. Anch'io mi faccio paranoie simili quando viaggio. Soprattutto se vado in un Paese economicamente povero, in cui la gente comune non può nemmeno sognare di viaggiare come io in quel momento sto facendo (sia per colpa della povertà sia per le restrizioni sul movimento delle persone, come i visti).

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  8. Il modo in cui di solito viaggia gente come te o, per esempio, Gaetano, è quello giusto: si va in un posto ospiti e si vive per un po' con la gente di là facendo più o meno quello che fanno loro. Così quasi ogni posto diventa interessante.

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