venerdì 20 settembre 2013

CONTINUAVANO A GIOCARE

 
Uno dei molti pericolosi nemici della civiltà contro cui da tempo combatto con sorda costanza e scarso successo una battaglia faticosa e ingrata è di colore rosa.
Ricordo che una volta, molto tempo fa, mi è capitato di trascendere, di perdere la pazienza durante la lezione e di staccarmi dalla cattedra con una specie di balzo per arrivare rapidamente a grandi passi fino all'ultimo banco dove lo studente mona di turno era immerso nella lettura con gli occhi semisbarrati e semiossessi affondati nelle pagine, appunto, rosa, strategicamente ripiegate per l'occasione. E' stata proprio, come spesso accade, la concentrazione estrema a farlo squagliare: una concentrazione sospetta perchè incompatibile (per lui) con il paragrafo sulle implicazioni sociali della controriforma (o su qualsiasi altro argomento) di cui si cercava di ragionare in quel momento. Quella volta ho preso il giornale, ne ho fatto una palla con manate spasmodiche e l'ho buttato nel cestino. Non rientrava esattamente nei miei poteri di microfunzionario pubblico, ma lo studente non ha avuto il coraggio di reagire e la famiglia non ha rotto i maroni. Meglio così.
Prima e dopo quella volta, naturalmente, infiniti altri episodi di guerriglia didattica, con puntate di disprezzo ostentato e studiati sarcasmi - da parte mia - e difese molto passive (caschi di plastica e muri di gomma) da parte loro. Che su questa faccenda andavano e vanno male a trattarmi da dinosauro, visto che, per quanto vecchio, nutro sincere passioni per diversi sport e rispetto per quasi tutti gli altri. Certo: molto poco per il calcio, per numerose e pesanti ragioni, ovvie per me e per molti anche se invisibili a moltissimi: quelli che ne costituiscono, insieme, l'esercito difensore e il nutrimento sempre abbondante. Quelli tra i quali ci sono – credo - praticamente tutti gli acquirenti di quel triste assemblaggio di parole in larga parte fatalmente sceme (con rare eccezioni) stampate su fogli, appunto, rosa, che tutti chiamano: la Gazzetta.
Ci sono certamente nemici peggiori, più pericolosi e meglio armati, ma vedere la gente che compra quella roba mi ispira il senso preciso del degrado contro cui mi metto tutti i giorni, come posso e con le migliori intenzioni, a fare da ostacolo e che magari non mi travolge ma di certo resta sostanzialmente indifferente alla mia minuscola ostinazione, che proprio per questo a volte appare patetica anche a me. Ma non riesco comunque a non pensare ogni volta che è terribile che in Italia (e temo da nessun'altra parte...) ci siano tre (tre!) quotidiani sportivi, ciascuno dei quali deputato ad occuparsi sopra ogni cosa delle squadre di calcio della città in cui si stampa il giornale. Con la conseguenza di avere come bacino di utenza principale i tifosi delle (tre per due uguale sei) squadre suddette. Con l'ulteriore conseguenza di schiacciare ciascuno la propria prospettiva (ma prospettiva è senza dubbio una parola grossa) su quello che questi tifosi vogliono sentirsi dire perchè lo pensano già, rendendo la lettura di questa roba praticamente incompatibile con l'uso anche moderato di qualche specie di intelligenza.
Chi trovasse anche in queste semplici considerazioni pesanti tracce del solito snobismo intellettuale provinciale, potrebbe sentirsi un po' più incerto se mi sentisse quanto grido (niente insolenze, naturalmente...) alle partite di rugby. Ma la questione non sono io: è che questo paese sembra avere nelle radici delle tare profonde, l'impresa di mettere un po' di rimedio alle quali pare senza speranza. E mi dispiace anche di non riuscire a dirlo con la leggerezza e rapidità con cui lo diceva, Italo Calvino (dalla morte del quale erano ieri ventotto anni giusti), che ad appena diciannove anni scriveva questa cosa qui:

CHI SI CONTENTA
C’era un paese dove era proibito tutto.
Ora, l’unica cosa non proibita essendo il gioco della lippa, i sudditi si riunivano in certi prati che erano dietro al paese e lì, giocando alla lippa, passavano le giornate.
E siccome le proibizioni erano venute un poco per volta, sempre per giustificati motivi, non c’era nessuno che trovasse a ridire o non sapesse adattarsi.
Passarono gli anni. Un giorno i connestabili videro che non c’era più ragione a che tutto fosse proibito e mandarono messi ad avvertire i sudditi che potevano fare quel che volevano.
I messi andarono in quei posti dove usavano riunirsi i sudditi.
- Sapete – annunziarono – non è più proibito niente.
Quelli continuavano a giocare alla lippa.
- Avete capito? – insistettero i messi. – Siete liberi di fare quello che volete.
- Bene – risposero i sudditi. – Noi giochiamo alla lippa.
I messi s’affannarono a ricordar loro quante occupazioni e belle e utili vi fossero cui loro avevano atteso in passato e cui potevano di nuovo attendere d’allora in poi. Ma quelli non davano retta e continuavano a giocare, una botta dopo l’altra, senza nemmeno prender fiato.
Visti i vani tentativi, i messi andarono a dirlo ai connestabili. – Proibiamo il gioco della lippa.
Fu la volta che il popolo fece la rivoluzione e li ammazzò tutti.
Poi senza perdere tempo, tornò a giocare alla lippa.

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