martedì 1 maggio 2012

COACHING (2)

A conferma.
Qualche settimana fa la collega C.S. mi fa leggere un pezzetto di compito scritto di uno suo di prima o di seconda, il quale con ricchezza di ispirazione e intensità di sentimento le parla della sua passione sportiva non ricordo per che sport, probabilmente il calcio. In particolare sottolinea come lui le parli del valore decisivo del suo rapporto con il proprio coach, la cui parola per lui è Legge e Vangelo...
"Se viene rimproverato - dice in sostanza - la cosa lo colpisce profondamente e lui si impegna di più e dà fondo a tutte le sue forze per meritarsi la stima dell'allenatore e magari la convocazione per la partita e l'inclusione in squadra". Appunto. E "Tamorti!" (1) - dice lei. 
In realtà non lo dice. Sia perchè "Tamorti!" è veneziano e lei non è veneziana, sia perchè è persona assai corretta e molto raramente si esprime in termini meno che irreprensibili. Ma pensa qualcosa di simile, il concetto è quello. Nel senso che l'allenatore, che saprà magari di calcio ma chissà che personaggio è (magari bravissima persona, ma ce n'è è in giro di quelli...), ottiene, a priori e senza discussione, fiducia incondizionata e rispetto assoluto. Mentre lei, insieme a me e a tutti noi che ci sbattiamo quotidianamente per lui e tutti gli altri fioi con un sacco di scrupolo e attenzione e riguardo per la sua personalità, oltre che con quel po' di professionalità che non ci siamo inventati in 5 minuti ma viene da anni di studio prima e di esperienza poi, dobbiamo sudarci sempre anche semplicemente quel minimo di considerazione che basta a far andare in classe i ragazzi con l'idea che si è lì tutti per lavorare con un po' di serietà. E quando si consegna il compito corretto non è raro che qualcuno venga là non per farsi un'idea più chiara di cosa non andava e ricevere indicazioni per fare meglio (cosa che grazie a Dio succede e che va benissimo, anzi, si dovrebbe fare sempre, avendo il tempo) ma con la  faccia di chi ha appena pestato una buàza, dicendo un: "E perchè mi ha segnato questo...?" pieno di diffidenza e supponenza.
Colpa di chi non fa onestamente il suo mestiere? In parte, d'accordo. Del resto per quanto ne so, appunto, C.S. gode di stima e rispetto per la sua serietà e la sua dedizione, oltre che per il resto. Come tanti altri, sempre grazie a Dio. Oltre che grazie al loro lavoro. Ma c'è un atteggiamento di fondo che è diverso. E, ripeto, il punto non è, non dovrebbe essere, che lo sport si sceglie e si fa volontariamente, mentre a scuola tocca andare. La verità è che la scuola è un luogo in cui la combinazione di libertà e costrizione, di gioco e rigore, di realizzazione personale e di soggezione a una disciplina anche piuttosto dura, dovrebbe essere molto simile a quella che i fioi sperimentano quotidianamente e sostanzialmente accettano nello sport.
Dovrebbe, ma solo in parte e a volte è. Però credo che si possa tendere a riprodurre in parte la situazione. O, almeno, quando lo si fa, quando si introduce in qualche misura una situazione di confronto verso l'esterno o anche uno spirito competitivo (non tra singoli studenti della stessa classe, quello c'è già un po' e in parte è malsano: la "gara" deve essere tra classi, tra gruppi: il campionato deve essere a squadre), la cosa funziona. Prima o poi si potrebbe parlare delle rare occasioni in cui riesci a farli "giocare" o comunque spingerli a fornire una prestazione di qualità in senso (più o meno) assoluto. Ma si potrebbe anche lavorare (lo si fa, quotidianamente, ma non basta mai: sia perchè tante cose dell'istituzione non funzionano, sia perchè l'ambiente esterno spinge, appunto, in direzione diversa se non contraria) perchè nel costume si affermi e diventi comune un atteggiamento diverso. "Voglio fare il coach da grande" dicevo? Sbagliato: lo faccio già tutti i giorni. Ci alleniamo per diventare bravi; il nemico è fuori e sono i problemi da risolvere; i successi sono in qualche misura di tutta la squadra. Duri, fioi!
 
(1) Insolenza veneziana: vale come abbreviazione di "In mona ti e tuti i to morti...", espressione di spregio rivolta alla famiglia dell'offeso, con particolare riguardo agli antenati defunti... 

10 commenti:

  1. Ineffettimente io ricordo la smisurata stima e affetto che provavo a diciassette anni per il mio maestro di karate, che avevo inserito nella mia esigua lista di maschi da non uccidere (avevo progetti stragisti, a diciassette anni)(sì, metaforicamente parlando, chiaro); però nella lista, udisci, c'erano anche alla pari con il mio coach (oltre al Mio Papà) anche i miei tre profs masculi di Italiano, Storiaefilosofia e Latinoegreco. Vedi che a volte.

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    1. Eh, ma bisogna misurarsi con l'umanità corrente di cui tu fai parte solo per metonimia. Vuole essere un semicomplimento, ma del resto lo conferma la tendenza da criminal mind, per quanto incompiuta, che riveli. Il particolare relativo al Tuo Papà è commovente.

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  2. Edipo, e non solo il caos, regna (detta col tono della volpe di Antichrist)

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  3. Nel senso del tuo affetto per il papà?

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    1. Tra l'altro: se una citazione non l'ho riconosciuta...

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  4. E non ho ancora visto "Antichrist"!!

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  5. Sì, nel senso del mio affetto per il Mio Papà, e sì, era una citazione da Antichrist che dovresti vedere, Dax.

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  6. Non è facile vedere Antichrist, bisogna aspettare di avere il tempo e contemporaneamente deve essere una situazione in cui una creatura innocente non è in circolazione...

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  7. Molti film, mai notti abbastanza... (e tieni conto che certi bambini non dormono mai e che certi adulti crollano a una certa ora)

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