domenica 16 settembre 2012

CROCETTE

Mi servo regolarmente di questionari a risposta chiusa, i classici “quiz” che tanti disprezzano e che invece secondo me a qualcosa servono (anche di questo, se è il caso, proverò a ragionare un'altra volta) purché li si usi in un certo modo e per certi scopi. Di solito uso “questionari con risposta a scelta multipla” (QRSM): quelli che gli studenti chiamano “a crocette”, perché la risposta va data scegliendone una tra 4
e segnandola con una crocetta. Li uso di solito come prova intermedia, non dando ai risultati un peso particolarmente importante, e facendo molta attenzione per evitare che i ragazzi riescano a copiare. In teoria passare è facilissimo, visto che dovrebbe bastare sussurrare al vicino di banco delle cose come: “1a-2d-3a-4c”. Ma se tu dai a tutti lo stesso compito, però poi mescoli random domande e risposte in modo che, p.e. la mia domanda 7 non sia la tua 7 ma la tua 12, e anche se arrivi a capire questo poi la mia risposta c non è la tua c ma la tua a, allora di solito questo è un ostacolo sufficiente, credo. Credo che qualcuno riesca lo stesso a passare qualche risposta, ma non tanto da falsare seriamente il risultato complessivo. Non sono completamente attendibili, c'è sempre chi si trova meglio e chi peggio, e non sono il modo più efficace per verificare veramente se uno ha lavorato e capito, ma costringono lo studente a studiare almeno un po', sono rapidi da correggere e da un lato richiedono un investimento abbastanza importante all'inizio (per prepararne uno decente servono 4-5 ore sane), ma poi possono essere parzialmente riciclati, così dopo qualche anno uno si trova con una quarantina-cinquantina di domande sullo stesso argomento e pesca nel repertorio: così funziona.
Ma la storiella che volevo raccontare è una cosa successa parecchi anni fa, quando ai primi che consegnavano un test “a crocette” davo subito un occhio e dicevo subito un risultato di massima, anche se non il voto preciso preciso. Dunque stavolta il primo a consegnare è V. ragazzo sveglio, buon atleta nel mezzofondo veloce (a piedi) e con un certo talento per il disegno. Aveva un buon tempo sugli 800 e aveva istoriato il banco di personaggi semimostruosi (un po' alla Jacovitti) che, per evitarne la cancellazione ad opera delle spugne delle bidelle, aveva ricoperto su quasi tutto il banco con striscioline di nastro trasparente messe giù capillarmente in modo da proteggere bene ogni millimetro. La sua strategia era quella del calcolo portato alla sua massima espressione. Avrebbe potuto avre buoni voti e si accontentava del minimo minimo. I suoi compagni mi hanno raccontato alla fine, tipo alla cena di classe in quinta, che una volta, dopo aver preso un sei e mezzo, ha riflettuto qualche secondo e poi ha detto a mezza voce, come tra sé: “Vabbé: la prossima volta studio... un po' meno”. Il mezzo voto sopra la sufficienza per lui era di troppo, meglio risparmiarsi un po' di fatica.
Ebbene, dicevo, questo giovane soggetto, interessante e faccia di bronzo, un giorno consegna per primo un test a crocette. Allora, dando un occhio in giro perché gli altri non copino, comincio a vedere le risposte che ha dato e a segnarle (giusta, giusta, sbagliata...) con la penna che ho in mano. Che, ahimè, è nera come quella che ha usato lui. Va detto che ho imparato dai colleghi di matematica il semplice principio per cui in questo tipo di prove bisogna attribuire zero punti per una risposta non data ma togliere punti (meno uno, meno due...) per risposta sbagliata. Serve a evitare che uno spari a caso, sapendo di non aver niente da perdere nel cercare di indovinare alla cieca tra quattro risposte: se non sei sicuro ti conviene non rispondere. Dunque io correggo, segno con la penna (nera!) anche le risposte che V. non ha dato, e gli dico che è un lavoro discreto, sul sette, più o meno. Poi metto il foglio sotto agli altri compiti che stanno arrivando mentre il tempo scade, ne vedo rapidamente forse un altro o due, e poi porto a casa il pacchetto. Quando poi lo prendo in mano, nel giro di due-tre giorni, MI DIMENTICO TUTTO QUELLO CHE E' SUCCESSO e correggendo il compito di V. gli do buone tutte le risposte che ho segnato io là dove lui aveva lasciato in bianco. Faccio i conti e quando consegno i compiti ai ragazzi mi complimento con V. con il mio migliore sorriso, tutto contento (io) che finalmente (lui) abbia fatto veramente un buon lavoro (anche se è una prova intermedia e non importantissima...) e abbia preso 9 (nove!).
Vabbè: fregatura innocente, errore, disattenzione: passi per fesso ma non per incapace o cialtrone. Non brucia, scotta appena appena quando lo vieni a sapere, qualche anno dopo: direi sempre alla cena di classe in quinta. E' una delle tante occasioni in cui i fioi studiano abilmente ed escogitano in modo quasi geniale inganni imprevedibili (ne darò prima o poi un paio di esempi sommi), oppure colgono al volo occasioni inattese, che loro scorgono dove altri non vedrebbe alcunchè. E' un peccato veniale e sopportabile, che ti smonta rispetto a qualche principio, ma che non ti mette per niente in questione in termini di coscienza professionale e di onorabilità nel mestiere. Confessare un errore così costa poco. Ma ce ne sono altri, più pesanti, da discutere meglio... 
P.S.: Due cose ho imparato quella volta. 1) Aspettare a correggere: si porta tutto a casa e si corregge dopo; 2) Si corregge SEMPRE SOLO con la penna rossa. 
 

3 commenti:

  1. Devo dire che per vari anni io sono stato omertosamente a conoscenza di questo fatto, il protagonista non l'aveva rivelato neanche al suo più fedele amico e compagno di classe di quel periodo per timore che "saltasse fuori la storia", ma solo a me. Ho sempre sperato che questa cosa potesse ripetersi anche per me, ma non accadde mai..

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  2. pubblico il commento dell'alunno protagonista che non ha l'account gmail da me interpellato su facebook: [Sempre stato il migliore Alessandro Battel.
    Ci tengo a una precisazione però: la media complessiva dei voti di fine anno dalla 1a alla 5a liceo fu del 7.59. Considerando che i voti andavano dall'1 al 9 (il 10 non era contemplato praticamente da nessuno), la media non era certamente bassa, ed era una rarità trovare studenti con media finale superiore al 7.5.
    Se ne contavano max 3-4 per classe.
    Il paradigma del "minimo sforzo" è comunque azzeccato, ma non per il 6+, non per il 9 della sapienza, ma per il 7/8 della mediocrità.]

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  3. Intanto grazie Enrico del contatto indiretto e saluti a V., che certamente ha combinato qualcosa di sensato (a proposito, cosa?). Poi grazie del complimento che non so quanto possa essere vero (nel senso che ho un sacco di colleghi bravi...). Infine faccio ammenda: rileggendo può ben sembrare che V. avesse risultati appena sufficienti (e del resto sono andato a memoria, non ho i dati sottomano...), invece i voti buoni li aveva, anche se non quanto avrebbe potuto...

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