martedì 20 novembre 2012

IL CORPO GRIGIO DI TORITO (o della Guerra Civile)

Il primo Soriano che ho conosciuto è quello che faceva da assistente a Philip Marlowe in un'indagine per conto di Stanlio (1). Il secondo è quello che pensava con i piedi e del quale a molte classi nelle ore di supplenza ho letto prima la storia di Obdulio Varela che spiega come l'Uruguay battè il Brasile nella finale dei mondiali del 1950 al Maracanà, ma poi anche la storia del rigore più lungo del mondo e del mitico “Gato” Diaz, portiere della Estrella Polar (2). Ho voluto bene a tutti e due.
Ma il Soriano a cui penso quando ci penso è quello che racconta gli spasmi fatali e dolorosi di un mondo che non conosco abbastanza per capire le ragioni e i torti, per
potermi fare un'idea sensata del se e del come quella regione lontanissima, qui dietro l'angolo, si poteva risparmiare il sangue e il fuoco di tanti anni: anni che forse si sono conclusi ma forse no (3).
Dell'Argentina mi sono arrivati in mano, da diverse parti, non molti pezzi diversi. Che non vanno insieme, che non combaciano, ma che se li guardo ad uno ad uno mi sembrano bellissimi e che mi fanno sospettare un insieme ancora più bello ma nello stesso tempo pericoloso e capillarmente pieno di una tristezza invincibile. Mi hanno detto che è un mondo che poteva essere fortuna pura e pienezza di vita e che per colpe proprie e altrui ha attraversato calvari scoscesi, il luogo di uno dei più grandi e gratuiti e insensati sprechi che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto. E' un mondo che probabilmente non vedrò mai anche perché mi spaventa un po'. Ma mi attira enormemente la sua apparente combinazione di estrema profondità e di irreparabile cialtroneria.
Il Soriano a cui voglio più bene è quello che racconta una giornata sanguinosa in un ipotetico posto perso nella provincia argentina: una cosa che divampa improvvisamente, incomprensibile e orribile quanto fatale e eroica, in una specie di villaggio idealmente semidimenticato. Da un giorno all'altro, di colpo, le due microfazioni che esauriscono il panorama politico locale si scontrano l'una con l'altra, all'ultimo sangue, con in palio una posta che è un pezzetto piccolissimo di potere, insieme al riconoscimento dell'autenticità della propria variante del peronismo. E per questo nonnulla politico-ideologico due pugni confusi di uomini altrettanto decisi quanto annebbiati si giocano la vita e la buttano via con una brutalità inaudita, tanto che alla fine la vittoria e la sopravvivenza (come quasi sempre del resto in guerra) non sono in nessun senso un premio sufficiente a giustificare l'epidemia di distruzione che è stata scatenata.
Soriano scrive questa cosa da fuori, da lontano, guardando con tristezza la propria casa dilaniata da un fanatismo ignorante che si presenta ipocritamente come una specie di destino. E a me sembra che comunichi il disincanto più radicale che può verso questo eroismo del tutto vano al quale sono comunque tenuti i suoi personaggi, che già all'inizio della storia hanno perso il poco che avevano accettando di partecipare all'incendio collettivo e di alimentarlo e che una volta cominciata la guerra non vedono (e forse non hanno) altra possibilità se non quella di andare fino in fondo.
E ringraziare se si ha la possibilità di un gesto, come tocca a Cerviño, pilota del piccolo aeroplano che porta il nome di Torito (Torello?) con il quale in genere si irrorano i campi: Cerviño che si alza in volo durante la battaglia, confortato da una bottiglia di tequila, e passando e ripassando sopra il nemico gli sgancia sopra prima il serbatoio dell'antiparassitario, poi quello del liquame. Gesto eroico quanto squallido quanto inefficace, per il quale il personaggio di Cerviño forse si guadagna un po' di più la nostra simpatia, ma che alla fine resta del tutto inutile e non riscatta proprio niente.

(1) Osvaldo Soriano, Triste, Solitario y Final (1973, tr. it. Vallecchi 1978, oggi da Einaudi 1991)
(2) I racconti di Soriano a cui mi riferisco sono stati pubblicati da Einaudi sia nella raccolta Pensare con i piedi, sia nella raccolta Fùtbol (Einaudi 1995 la prima, 1998 la seconda)
(3) Osvaldo Soriano, No habrà mas penas ni olvido (1979, tr. it. Mai più pena né oblio, Einaudi 1979)

2 commenti:

  1. Non lo ho mai letto forse dovrei perché il titolo 1) mi è sempre piaciuto.
    Comunque la mamma di Jorge è in questo momento in Argentina tipo da tre giorni e ci starà tipo due mesi on the road.

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