venerdì 4 gennaio 2013

NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE

Seconda storia recente (la prima era questa). Il titolo si giustifica con il fatto che la protagonista, di cui stavolta possiamo indicare esplicitamente almeno il nome, si chiama Alice. E poi con il fatto che, a parte qualche particolare non proprio insignificante, la storia che racconta e che riporto integralmente sembra davvero meravigliosa per una serie di aspetti. Probabilmente non dipende solo e sempre da passione, intelligenza, coraggio e volontà, ma l'ipotesi è che se cercassimo sul serio di sviluppare queste qualità potremmo rendere più facilmente possibili e meno inconsuete storie come questa.

Dopo un sacco di tentativi, ce l’ho fatta, caro prof.: complice una brutta influenza, sono riuscita a scriverle quanto le avevo promesso, con delle novità che non le anticiperò in queste “tre” righe di introduzione per evitare di rovinarle la sorpresa!
Spero di essere ancora in grado di scrivere un testo in italiano in maniera decente. Purtroppo studiare per 5 anni solo formule e testi in inglese ha fatto sì che perfezionassi altre capacità intellettive. Le assicuro che non sono l’unica ad avere questo tipo di problema: scrivere in inglese è più facile e scrivere in maniera scientifica ancora di più, una volta entrati nel mood è difficile uscirne. Spero mi giustifichi e di non andare sottozero nella sua valutazione (chiaro riferimento ai compiti a crocette).

La mia passione per tutto ciò che è quadrabile nasce quando avevo tre anni. Domandavo sempre il perchè delle cose: i miei perchè erano sempre talmente tanti che a fine giornata il mio babbo non sapeva più cosa rispondere. Ricordo ancora che alle elementari mettevo in crisi la maestra di scienze con i miei perchè. Grazie ai miei genitori che me l’hanno permesso ho avuto la fortuna di poter viaggiare, conoscere delle realtà diverse dalla, per carità bellissima, realtà veneta fondata sul “mettiti a testa bassa e lavora, anca se non te capisse cossa te si drio far”: questo mi ha aiutato ad arricchire la mia cultura generale in primis ma anche ad aprire gli occhi. Studiare una delle scienze per eccellenza è una passione che è nata in quarta liceo: il voler fortemente intraprendere quella strada è stata una cosa più forte di me. Dopo aver letto “Il Sistema Periodico” di Primo Levi mi si è aperto un mondo. Per inciso, lo conosco a memoria e c’è una frase che ha segnato per puro caso (come accade sempre quando fai ricerca) la mia carriera scolastica e lavorativa: “Era proprio idrogeno, dunque: lo stesso che brucia nel sole e nelle stelle, e dalla cui condensazione si formano in eterno silenzio gli universi”.
Una volta concluso il liceo io già sapevo dove mi sarei iscritta all’Università, già sapevo la mia destinazione per i successivi 3 anni: chimica industriale, Università Ca’ Foscari di Venezia. All’inizio tutto sembra difficilissimo, insormontabile, ci sono solo 6 esami al primo anno, ma penso siano stati i più difficili perchè oltre alla difficoltà dovuta alle materie bisogna tener conto di un sacco di altre variabili come per esempio il fatto che non c’è più nessuno che ti dice che devi metterti a studiare e la presenza di innumerevoli fonti di distrazione. La passione e la voglia di fare, ma soprattutto di finire tutto in tre anni hanno fatto si che arrivassi al momento della tesi. Scegliere l’argomento della tesi per uno studente alla triennale è una cosa difficile, nel senso che la maggior parte delle volte ci si affida al proprio relatore che ha in piedi sempre 3 o 4 rami di ricerca su cui farti lavorare. Bisogna aver la fortuna di scegliere bene e di scegliere la persona giusta con cui lavorare in team tutti i giorni. Io sono stata fortunata. Immediatamente mi è stato proposto un lavoro totalmente nuovo che avrei sviluppato da sola fin dall’inizio... beh, niente male, ho notato subito una grande fiducia nei miei confronti (in genere per le tesi triennali si opta per continuare dei lavori già incominciati e ben avviati). Il caso volle che il mio lavoro di tesi riguardasse proprio un’idrogenazione, cioè sfruttassi proprio quell’idrogeno che mi aveva colpito 5 anni prima nella lettura del libro di Primo Levi. I risultati ottenuti dal mio lavoro sono stati più che soddisfacenti, anche perchè, invece che lavorarci per i canonici 3 mesi, ho scelto di continuare e perfezionare il mio lavoro per ben 7 mesi: avevo iniziato e volevo finire.
Nell’ultimo periodo il mio relatore, una persona fantastica e un ricercatore dalla grande professionalità, mi ha lasciato carta bianca: un giorno gli ho chiesto se potessi effettuare una modifica alla reazione che stavo studiando per osservare se si formasse paracetamolo (principio attivo della Tachipirina), lo speravo perchè sulla carta poteva formarsi... le mie teorie dicevano che era una cosa molto possibile. Magari in piccola quantità. Chiaramente dopo il suo consenso ho provato: ho ottenuto il 97% di paracetamolo come prodotto finale. Un risultato che ci ha lasciato a bocca aperta. A quel punto il mio relatore mi ha detto testuali parole in dialetto moglianese: “Ragassa mia, ti sta està te vien a Glasgow al Congresso dea cataisi, sto lavoro lo pubbliche a to nome”. Beh niente male direi, non mi ero ancora laureata alla triennale. Due giorni prima della discussione della tesi, momento in cui si decide il voto di laurea, un membro della commissione, pezzo grosso e molto conosciuto per la sua severità, ha chiesto al mio relatore se avesse preparato la lettera per la domanda di lode. Il mio relatore ridendo e conoscendo la mia situazione di media, gli ha risposto, sempre in dialetto moglianese: “Professore non posso, la tosa la gà accettà do voti bassi che i ghe rovina la media de quasi 4 punti”. Penso che questa richiesta, conoscendo quel pezzo grosso sia stata la più grande soddisfazione provata nella mia carriera universitaria: più grande della presentazione di Glasgow e dell’articolo pubblicato a mio nome: il mio lavoro era stato apprezzato da un professionista che ha capito tutto l’impegno che ci ho messo e ha capito che quello non è stato solo un semplice lavoro del tipo “fa quel che i te dise anca se no te capisse nient”.
Una volta laureata (Febbraio 2011) a causa del cambiamento interno dell’Università causato dalla riforma Gelmini non sono riuscita a iscrivermi a anno in corso, quindi ho dovuto attendere Settembre. Tra Febbraio e Settembre ci sono ben 8 mesi di attesa: cosa faccio in questi 8 mesi? Ripetizioni, d’accordo... ma nonostante sia un’attività gratificante e che mi piace tanto non potevo certo fare 8 ore di ripetizioni al giorno. Così dopo una settimana di stop forzato voluto dai miei genitori, sono andata da mio papà e gli ho detto:”Senti babbo, io non so cosa fare a casa!”. E lui per tutta risposta: “C’è l’orto da zappare! Visto che te piase i radicci te compre na vanga nova e te cominzia a darme na man in tel camp”. Per carità, è un bellissimo lavoro, ma io speravo che mio papà mi dicesse di provare a vedere se qualcuno avesse avuto bisogno della mia professionalità, in fin dei conti mi ero appena laureata e potevo essere un libro bianco da scrivere, magari qualche azienda sarebbe stata interessata. Ho preso coraggio e ho detto al mio babbo: “Io provo a cercare lavoro!”. Mio papà, con sulle labbra il sorriso di chi non si aspettava un’affermazione del genere da una ragazza che poteva permettersi di non fare niente anche per un anno intero mi ha detto: “Non ti aspettare niente, sarà difficile, la crisi che c’è in giro fa paura!”. Beh io ci ho provato: ho iniziato a caricare il mio curriculum vitae nei siti delle grandi agenzie.
Un venerdì sera ho ricevuto una mail in cui mi si richiedeva la presenza il martedì successivo in un’agenzia opitergina. Mi sono presentata, diciamo che la ragazza era abbastanza supponente, una miss sotuttoioetustaizitta. Ho iniziato a vagare con la mente, senza più ascoltarla: ho sentito solo le sue ultime parole: “a Motta di Livenza ci sono aziende che cercano persone che hanno il tuo profilo”... A quel punto ho pensato: “Ottimo, Clarabella, io non ho più bisogno di te, io mi arrangio!”. Sono andata a casa, ho aperto il mac, google, aziende chimiche Motta di Livenza. Ecco, ce n'è una che tratta i rifiuti, interessante: spedisco il curriculum via mail. Guardo il sito per curiosità e scopro che quest’azienda è a capo di un gruppo di aziende tra cui un laboratorio di analisi ambientali: ottimo spedisco il curriculum, guardo l’orologio: ore 16.30. Alle 16.50 ricevo una telefonata dal Responsabile di Laboratorio che voleva avere un colloquio con me. Alle 19.00 avevo un lavoro. Giorno: 15 marzo 2011, non mi ero laureata da un mese.
L’idillio è durato un anno e mezzo (e qui inizia la novità). Ho imparato tanto, soprattutto l’arte del pararsi il culo e ho imparato che ad essere troppo diligenti e impegnati e preparati non paga sempre o meglio paga con le persone che non vedono te come un nemico da sconfiggere perchè ti può portar via il lavoro. Mi hanno dato la possibilità di studiare: studiare e lavorare avendo anche l’obbligo di frequenza all’università nei corsi di laboratorio non è proprio una cosa facile e salutare, ma mi piaceva quel lavoro e finire l’università era ed è una priorità. Però il connubio mi dà la possibilità di aggiungere voci al campo esperienza del curriculum e poi è tutta formazione personale professionale che dà la possibilità, a differenza di uno studente che non hai mai lavorato nel campo in cui ha studiato, di scegliere e non di essere scelto. Purtroppo a settembre, quando qualcuno ha capito che avrei potuto iniziare a mettere i piedi in testa a qualcun altro, mi è stato dato il ben servito. Ci sono rimasta malissimo, non si termina una collaborazione dicendo “tu sei troppo brava per rimanere qui...”.
Diciamo che la mia disperazione è durata l’attimo di fare le scale per comunicare questa scelta ai miei colleghi. Infatti, l’ultimo periodo mi sono occupata di qualità che è l’aspetto più importante di un laboratorio di analisi in quanto dà la possibilità di allargare il mercato dell’azienda, hai la possibilità di dimostrare che quello che fai, lo fai bene, seguendo tutti gli standard adeguati. Il responsabile della qualità è esterno e quel giorno era lì. Quando ha sentito la storia non c’ha pensato due volte e mi ha detto: ”Vieni a lavorare per me”. E così è stato. Ora lavoro in un’azienda a Quarto d’Altino che fa consulenza nell'ambito della qualità, della sicurezza e dell’ambiente e che ha anche un laboratorio di analisi aperto da un anno e mezzo, che si avvale però di un responsabile con potere di firma esterno. A giugno sosterrò l’esame di stato per l’abilitazione della professione chimica (albo b) in modo da diventare a tutti gli effetti responsabile di laboratorio. La formazione è dura, ma la cosa mi piace e mi dà un sacco di soddisfazione. So che a giugno la responsabilità sarà tanta e devo essere pronta ad ogni evenienza. Chiaramente, i miei studi proseguono... e a breve finirò anche la laurea magistrale.

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