lunedì 29 luglio 2013

SIGNORE

L'esperienza scava abissi. Oppure li riempie. 
Ad aggiungermi qualche nodo ai ragionamenti tormentosi su cosa vuol dire essere giovani e su come convincere quel tempo da cani ad abbaiare un po' meno a vuoto, viene questa rapida esperienza di cosa vuol dire stare ad insegnare agli adulti.
Insegnare davvero, nel senso: cioè non all'Università Popolare della Terza Età, che pure è una cosa bella e vitale, ma in una scuola serale dove chi viene si mette davvero in gioco e per anni frequenta e si sbatte e studia quando e quanto riesce, districandosi tra lavoro famiglia e tutto, spesso superando ostacoli alti e spaventosi, facendo compiti e interrogazioni, prendendo voti buoni e meno buoni.
Non che non me lo avessero detto, tutti i profi miei colleghi che lo fanno normalmente. E non che io ne sappia molto più di prima, perchè stare in commissione d'esame per il corso serale non è di sicuro come lavorarci tutti i giorni. Ma basta e avanza a farsi un'idea, a capire quanto pesa il fatto che ci siano persone che, dopo aver attraversato regioni piuttosto impervie della propria esistenza, capiscono quanto valga e quanto sia importante la possibilità di studiare. Non è poco che ci sia un'istituzione che ti mette a disposizione gente del mestiere e che la mette a seguirti quando, a 40, 50, anche 60 anni, decidi di rimetterti in moto anche se sai che il tempo che hai è quello che è e che per anni ruberai ore e pazienza e attenzione, oltre che a te stesso, a quelli che hai intorno: figli più o meno piccoli, genitori che stanno più o meno bene, mariti più o meno concordi e pazienti.
Dico mariti perchè sopra una certa età ci sono quasi solo donne. Cioè: signore. Potremmo ragionare a lungo, e forse sarebbe importante, su questo fatto: sul perchè quasi solo le donne da adulte siano capaci di recuperare il senso e la voglia di studiare (anche alla Terza Età le donne sono la grandissima maggioranza). Ma non sarei capace di andare seriamente oltre la considerazione superficiale che qui da noi e forse un po' dappertutto in Italia gli uomini vanno all'osteria (al bar) o stanno a casa a guardare la TV, spesso anche quelli che non sospetteresti perchè hanno un titolo di studio e hanno fatto un mestiere cavà su. Non saprei dire quanto c'è di culturale e quanto di antropologico alla radice (1). Dunque non sto a provarci. Resta che sono signore: meravigliose, una più commovente dell'altra, tutte che fanno esattamente quello che si dovrebbe fare, che tutti dovrebbero fare. Cioè studiare per rispondere a un bisogno vero, rendersi conto che lavorare su se stessi mettendosi a confronto con sfide intellettuali e umane proporzionate a quello che in quel momento si è, è il modo più importante e vero (oltre al lavoro, più o meno duro) per guadagnarsi la libertà.
Naturalmente ogni storia meriterebbe una pagina (in realtà molto di più, ma è per dire...): pagine che naturalmente non posso scrivere perchè non ne so abbastanza. Posso solo ripromettermi di tenere a mente meglio e più a lungo che posso alcune persone e quel poco che hanno avuto modo di raccontare di sé, portandomi dietro naturalmente il senso di avere avuto a che fare con delle figure in qualche modo eroiche. L'eroismo del quotidiano non è moneta spicciola che si spende con facilità. La durezza di una vita, della vita, è piuttosto comune, per molti versi: lo sappiamo tutti. Ma è come rispondi ai colpi che conta, come ci ha insegnato quel po' di letteratura classica che abbiamo avuto la fortuna di frequentare. E a me questo tipo di reazione, lottare per strappare al mondo del tempo per se stessi e per dedicarsi a un combattimento comunque faticoso e complicato (pensa tu riprendere in mano dopo anni o decenni matematica o fisica o francese o inglese o rimettersi a lottare con la sintassi e con i passaggi dell'argomentazione perchè si deve tornare a scrivere dei temi) è sembrato davvero straordinariamente coraggioso e nobile.
Da un lato avere a che fare con queste donne così disposte a lottare per poter studiare mi è sembrato come bere acqua fresca, rispetto alla sete che mi tormenta quando non riesco a tirare fuori uno straccio di curiosità e interesse da qualcuno dei miei giovani studenti cani. I quali, naturalmente, ho pensato che avrebbero tutto da imparare dalle mie (mi sia permesso, anche se per loro io davvero non ho fatto praticamente niente se non starle ad ascoltare con la dovuta attenzione) bravissime signore. Pensiero naturalmente seguito dall'altro pensiero comune: che chi ha i denti non ha il pane e a chi ha il pane mancano i denti, e che lo spreco che i giovani cani fanno delle loro risorse sarà anche, data l'età e i tempi, ovvio e comprensibile, ma pare certamente scandaloso quando lo si confronta con la dignità della lotta di queste donne: lotta contro il tempo e contro l'infragilirsi di tutte le capacità che avevano e di cui si sforzano di combattere il declino, dedicando all'esercizio tutto lo spazio che possono ricavare da una vita senza pause come sono di solito le nostre.
Ma poi ho pensato anche un'altra cosa: di fronte al bisogno vero di queste donne, tu che insegni non puoi limitarti a proporre l'ordinaria amministrazione. Devi sforzarti di trovare delle cose altrettanto vere, che rispondano ai loro interessi: non puoi fare quello che di solito metti in programma solo perchè di solito lo metti in programma, perchè sai e hai capito che il loro tempo è prezioso e non puoi permetterti di farglielo sprecare impegnandole su faccende accademiche che magari in sé sono anche interessanti, ma sono tanto lontane da loro che ci vorrebbe troppo tempo per farle arrivare fin lì.
Bene: per le signore ti è venuto in mente. Ma non è che per i fioi è la stessa cosa, anzi, di più? Perchè poi le signore sono pazienti anche con te che insegni, e ti rispettano e si fidano. Così, se tu le porti da qualche parte, loro intanto per prima cosa ti seguono e si sforzano, poi alla fine trovano interessante tutto anche se magari su alcune cose hanno fatto fatica e ancora non vedono il perchè. Invece i fioi, come è noto (guarda te...), non si fidano: il loro tempo è oro e diamante e da te che insegni non ne deve andare sprecato neanche un prezioso carato, salvo il fatto che poi loro pretendono nello stesso tempo di poter liberamente farne strage e dissipazione, come si sa, dietro alle più solenni e macroscopiche vaccate che il nostro sistema della produzione della comunicazione e del mercato allestisce a loro consumo e a proprio (quasi sempre esclusivo) vantaggio.
Ecco: ma già questa è una buona ragione, no? Alle signore ti vien voglia di chiedere cosa hanno voglia di fare, perchè loro la voglia ce l'hanno e ti ascoltano e si fidano e ti riconoscono per quello che fai, mentre a loro, che non di rado ti guardano come se tu fossi e avessi lo stesso valore di una strassa persa da un camion sul selciato, non ti viene voglia di provare a interessarli oltre un certo limite. Certo, è una reazione umana. Ma se ci pensi un attimo capisci che è meglio che anche coi fioi ci provi molto seriamente e cerchi delle cose da fare che li possano svegliare, che possano sentire da qualche parte almeno un po' vicine (2), investendo energie e immaginazione anche quando il caso ti pare brutto, a volte disperato. Io dico sempre, per esempio, che le ore di italiano alle superiori andrebbero divise in tre: un terzo ok: classici della letteratura. Ma un terzo laboratorio di scrittura e un terzo narrativa e poesia del Novecento (anche di fine Novecento, anche di inizio Duemila), italiana e straniera (in traduzione, dove non si può in originale). E come fai poi a non fare questo o quel grande autore? Semplice: non lo fai. Tanto se fai tutti i grandi autori e loro non ti cagano, che risultato porti a casa alla fine? Invece così forse riusciremmo a farci venire dietro un po' di più. Forse. Ma di questo prima o poi.

(1) Il naturale lo escludo: sono contro il pensiero magico in sede di spiegazione, per ragioni che recentemente mi è capitato di rendere esplicite attraverso un esempio riferito al bridge, bellissimo gioco di carte abbastanza intellettuale e un po' cagone che ho praticato per qualche anno con grande piacere ormai molto tempo fa. Ma di questo forse (e comunque altrove).
(2) A questo proposito potrei esemplificare raccontando della recente vicenda della molto tardiva e parziale Conversione dei Pestamerde. Sempre se mi ricordo, sempre forse, sempre prima o poi.

1 commento:

  1. Riporto un commento arrivato via mail dalla collega F.T. che era con me in commissione questo giugno e che ringrazio di cuore: “E' vero, con le signore del serale sei stimolato anche tu, a non appiattirti sul programma per coinvolgerli, anche perchè sono state sostanzialmente loro che facevano le lezioni con il dibattito e il racconto di vita. [...] L'altra riflessione è proprio [che] anche gli adolescenti più zucconi meritano ascolto e possono trarre giovamento dal tuo impegno, anche se sembra che non gli importi di niente. I risultati si vedranno alla distanza, l'importante è seminare qualcosa e trasmettere quell'amore per lo studio che abbiamo dentro di noi [...]. Parlo come una vecchia insegnante navigata, quando non so quasi nulla della scuola. Io mi sono ritrovata per caso e per scelta a investire molto proprio con quelle classi e quei ragazzi che sembrano le pecore nere. Quelli che in quinta liceo a maggio ti chiedono "ma prof, chi è Kant?", con un candido sorriso e lo smalto per le unghie sotto il banco. Sono d'accordo con te, non dobbiamo essere troppo ancorati al programma, ma fare in modo che le nostre lezioni incontrino in qualche modo i loro interessi. Tuttavia (e tu mi capisci bene) mi sembra che non raccontargli qualcosa di alcuni filosofi preziosi li impoverisca come persone. Magari ora non comprendono del tutto, ma un giorno ricorderanno che la canna pensante non è una app per smartphone che ha effetti allucinogeni. Un giorno quando sentiranno la canzone Cromatica di Marta sui tubi penseranno che forse la prof F.T. l'aveva usata per spiegare l'empirismo. E un giorno capiranno che la scuola è un luogo (uno dei pochi) di crescita culturale e democratica, in cui c'è spazio anche per le Signore assetate di cultura a sessant'anni”.

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