martedì 3 settembre 2013

LE TAVOLE DELLA LEGGE

Non ne sono sicuro ma sospetto che, tempo fa, qualcuno che ho frequentato a lungo abbia deciso di non voler avere più molto a che fare con me quando ha scoperto che sono convinto che gli uomini non si possano permettere la verità. Non quella banale che consiste nell'essere sinceri o nel ricostruire correttamente i fatti, tutte e due cose importantissime, molto difficili, ma del tutto necessarie a vivere tra uomini e avvicinabili con approssimazione sufficiente da tutti quelli che pensano e agiscono in modo pulito. Intendo la verità: quella grande e abissale di fronte alla quale gli uomini diventano piccoli e si genuflettono restando a testa bassa.
Ecco: quella lì non è cosa per noi e tutte le volte che pensiamo non tanto di esserci arrivati o di averla intravista, quanto di possederla e poterla usare, allora credo che ci mettiamo, pretendiamo di metterci, al di sopra della nostra condizione e finiamo inevitabilmente per fare delle cose disumane.
Sappiamo bene che sul nostro bisogno di verità è stata gettata un'ombra indelebile di sospetto da tutti quelli che hanno descritto i tanti procedimenti possibili attraverso i quali, spinti da questo bisogno, arriviamo a costruirci le verità che ci servono. Una volta ho visto Mr. Bean che, in una delle sue scene, si mandava da solo dei biglietti di auguri per Natale, li infilava nella buca delle lettere sulla porta di casa, quindi rientrava e, fingendo stupore e soddisfazione, li trovava e li leggeva, per poi appenderli in salotto come decorazione supplementare. Mi ha ricordato Nietzsche (ovviamente), che in Verità e menzogna in senso extramorale esemplifica il nostro rapporto con la verità con l'esempio di qualcuno che prima nasconde un oggetto prezioso in un cespuglio, poi finge di non sapere dov'è e lo va a cercare, manifestando grande soddisfazione nel momento in cui lo trova.
Nessuno è in grado di cancellare questo sospetto, tantomeno la fede dei semplici, che meriterà anche rispetto (dico sul serio) ma dovrebbe essere educata, con la cautela e la semplicità necessarie, all'idea che anche chi crede può al massimo cercare la verità, imporre solo a sé le parti di essa che crede di aver trovato e poi, al massimo, provare a offrirle ad altri per vedere se gradiscono. Tutto quello che va oltre questo limite è pericoloso, anche se è chiaro che la tensione verso la verità è la risposta ad un bisogno che abbiamo e che è reale e profondo.
Per questo mi risultano incomprensibili le battaglie ideologiche di tradizioni e istituzioni varie, specialmente religiose (ovvio), contro il Relativismo, che nella vulgata dottrinale/parrocchiale viene naturalmente nominato con esecrazione, come un male evidente, una piaga pestilenziale che ammorba le coscienze, seminata da untori ciechi o, peggio, in malafede. Perchè io, che so di non essere in malafede e cerco continuamente conferme del fatto di non essere cieco, trovo del tutto naturale che anche chi crede debba aver chiaro che nessuna verità vale come tale quando sono gli uomini a tradurla in norma e in comportamento. La mia fede in Dio non mi rende infallibilmente uno strumento della sua volontà: quando faccio qualcosa, per quanto io abbia letto pregato meditato, quello che agisce ed è responsabile sono io, che sono soggetto a sbagliare per ragioni strutturali. Capisco la paura che dire che non esiste la verità offra un alibi a tutti quelli che non vogliono fare delle scelte e rendersi responsabili, ma per decidere di cosa dobbiamo essere responsabili nelle nostre azioni basta la comunità, che discute vota elegge: in modo sempre imperfetto ma chiaramente più accettabile di quello che succede quando si affida la custodia della norma a chi presume di avere ricevuto le tavole della legge e poi però le traduce a modo suo in articoli e commi.
Di fronte a questo, il vecchio sofisma per cui se la verità non esiste neanche l'inesistenza della verità è una verità, lascia il tempo che trova: il punto è che io poi con te devo comunque comportarmi sempre come uno che non possiede la verità e presume di avere a che fare con un altro che neanche lui la possiede, almeno fino a quando non cala Cristo e ci dice chiaro e tondo come stanno le cose.
Allora, se vogliamo partire da qualche parte, possiamo cominciare dai dati elementari della nostra condizione: che non decidiamo dove e da chi nascere e quando, che parliamo con gli altri e senza questo non sappiamo chi siamo, che ci facciamo delle idee su cosa fare, che sappiamo che la nostra vita ha un termine e avanti così, per una strada che però evidentemente non offre salvezza rispetto al pericoloso contagio del Relativismo, dal quale, forse, chi mi si è fatto distante temeva di essere colpito. Ma non è che, nell'infinita galassia del Cristianesimo, questo sospetto sulla verità non sia stato in qualche modo accolto ed elaborato: tuttavia è chiaro che se il messaggio che viene dalle istituzioni è quello per cui la verità va difesa e il Relativismo è una delle armi del demonio, poi può anche succedere che qualcuno si spaventi se gli dici che pensi che la verità non esista.
(O magari invece avrò cominciato, a questo qualcuno, a stargli sulle balle perchè sono stato indelicato, o noioso, o non abbastanza simpatico o che. Vedo infatti che anch'io forse tendo a preferire una spiegazione che chiama in causa principi alti e fondamentali a una spiegazione che cerca le ragioni di quello che succede in aspetti banali della personalità o in semplici errori o delusioni. Chissà: non credo che lo saprò mai. Ma del resto non credo che ne soffrirò molto.)

4 commenti:

  1. Vedi di tutte le cose interessanti che hai scritto e di cui si potrebbe parlare, a me, essendo femena, ne resta in mente una: chi è che non ti ha più cagato? (Foemina curiosa sicut simia est)

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  2. A posta non lo dissi. Posso specificare trattarsi di persona di religione cattolica.

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  3. No, quella religione lì è meno solida sul piano teologico. E forse, è vero, anche più dogmatica.

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