lunedì 3 marzo 2014

CODICI

Un'opera grafica di Gianni Pignat
Non credere sempre di ricavare
le tue parole dalla lettura dei fatti;
di raffigurare i fatti in parole, secondo certe regole!
Perchè l'applicazione della regola al caso particolare
dovrai farla tu, senza alcuna guida.
Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, parte prima, 292)

Ho sempre pensato che il modo in cui si manifesta la Grazia di Dio non è - non deve essere - spettacolare. Mi pare quasi una volgarità credere ai miracoli nel senso classico, quelli in cui una potenza superiore si esprime realizzando un impossibile di fronte al quale gli uomini, folgorati, si convertono all'improvviso.
O almeno mi pare volgare far riposare su queste eccezioni il fondamento della propria fede. Mi sono abituato a considerare vera la fede capace di distribuire energia in modo regolare e capillare, nel tempo, come glucosio in vena, una fede che si alimenta attraverso qualche genere misterioso e insindacabile di radici. Non è proprio una faccenda elementare e gratuita: potrei dire che ho cominciato a pensarci sopra molto presto, da quando mi è capitato di incrociare quelli che dicevano che la chiave della comprensione delle cose sta nella nostra capacità di spostare, piano piano o con accelerazioni improvvise, il significato delle parole, in modo da permetterci di aprire e far esistere mondi sempre diversi. Si tratterebbe, secondo loro, di quello che riesce a fare la poesia o, in genere, l'arte. Fin da giovinastro ho trovato quest'idea da un lato interessante e fondata, dall'altro troppo radicale, viziata da una forma di snobismo intellettuale che mi è sempre sembrata dannosa. Anche qui: attribuire questo potere miracoloso solo a qualche eletto, escludendo dal tocco della mano di Dio tutta la gente sveglia, simpatica e viva con cui avevo occasione di avere a che fare abbastanza spesso, mi sembrava una cosa banale e poco coerente con quello che vedevo vivendo. Invece credevo di vedere bene, a partire dalle normali esperienze e relazioni, che la capacità di inventare mondi, con le parole o altrimenti, non era esclusiva dei poeti, laureati o maledetti, né dell'ispirazione divina dei divini artefici, ma apparteneva a chiunque fosse in grado di spostare almeno un po' il punto di vista ordinario sulle cose, di vedere il mondo un poco di sguincio, e di esprimere bene questo spostamento, facendosi capire. Come quando uno dice qualcosa che non avevi pensato e tu dici che sì, ecco cos'era che ti sembrava ma non avevi ancora chiaro.   

Gianni Pignat, Possibile non probabile
 Mi pareva, già quella volta, che molti fossero capaci di giocare bene questo gioco, e mi sono sentito confortato e sostenuto quando ho visto che c'era chi sosteneva che giocarlo era il nostro principale impegno, anzi: che la nostra intelligenza in fondo si organizza e affronta le cose proprio come affronta le piccole sfide a cui la mette davanti questo o quell'altro gioco. E poi: che il modo in cui ci raccontiamo la nostra storia per decidere chi siamo e cosa dobbiamo fare è proprio il modo in cui mettiamo insieme e raccontiamo le storie che raccontiamo in genere. 
Allora: quando mi figuro la Grazia di Dio tendo a pensare che il modo in cui appare dovrebbe farcene vedere proprio la presenza capillare, la capacità di toccare singolarmente ogni cosa riconoscendo tutte le differenze, le infinite variazioni. Che dovrebbe far vedere come la Grazia sia accessibile a tutti, almeno potenzialmente: come un movimento che le mani possono imparare e che poi diventa naturale e permette di fabbricare mille e mille esemplari diversi dello stesso oggetto, tutti buoni, tutti fatti a regola. Oppure come il modo in cui si impara una lingua e poi si riesce un po' alla volta a mettere i pensieri in forma anche con quelle parole lì, nuove, dicendo comunque tutto il mondo, che così diventa nuovo anche lui.
       
Un'opera grafica di Gianni Pignat
Qualche settimana fa ho avuto la fortuna di conoscere Gianni Pignat, di cui avevo sentito parlare in diverse occasioni dagli amici (Paolo e Cristina) che mi hanno portato a un'esposizione di suoi lavori recenti, a Pordenone. A sentirne parlare mi ero fatto l'idea di un personaggio davvero interessante, di un uomo che si è costruito, con molto impegno e qualche rischio, un'esistenza movimentata e avventurosa, di viaggiatore per mestiere ma anche per curiosità propria, di fotografo (vedi sul suo sito e su di un altro) di cronaca e attualità, ma anche di esploratore di mondi (persone e situazioni molto più che paesaggi) spesso molto lontani dalla nostra dimensione quotidiana così occidentale. Quello di cui non mi ero reso bene conto in base ai cenni e ai discorsi, e di cui invece ho avuto modo di valutare la consistenza e la profondità, per quanto rapidamente e in modo approssimativo, è il modo in cui Gianni Pignat ha lavorato, negli intermezzi tra un viaggio e l'altro, per raccogliere il precipitato e tradurre la sostanza di tutta questa esperienza in un lavoro artistico capillare e scrupoloso. A me, spettatore casuale semi ignaro che ha avuto appena il tempo di dare una scorsa, pare che questo lavoro abbia prodotto molte cose veramente belle, capaci di parlare con intensità a chi le incontra e di tenere nel tempo. E mi pare che, a legarle tra loro, tutte queste cose facciano una somma e una combinazione la cui media è alta, tanto da essere un esempio di cosa l'onestà intellettuale, la serietà della ricerca, il gusto e la consapevolezza possono permetterti di fare se hai coraggio, anche se nasci in un mondo un po' piccolo.
Del resto, una delle cose che Gianni Pignat sembra voler dire più spesso è che nessuna parte del mondo è poi così piccola da essere priva di un modo proprio, radicato e vitale, di guardare le cose raccontandole nella propria lingua. Se ti parla di qualcuna delle storie che ha incrociato nei posti dove è stato, lo fa mettendosi contemporaneamente sullo stesso piano con te che lo ascolti e con le cose che racconta. Ti trasmette subito il senso di quanto per lui lo spazio geografico e storico sia percorribile in lungo e in largo, di come non ci debba mai essere paura di quello che si trova ma solo attenzione e voglia di imparare. Magari, visto che è uno che non se la tira neanche un po', si scusa anche, temendo di farla lunga, mentre tu sei lì che cerchi di non perderti una parola e che se potessi tireresti fuori matita e libretto per gli appunti.

Gianni Pignat, Acrobate
Il tempo che ho avuto è poco: poco in assoluto rispetto alla possibilità di farmi un'idea, anche se molto rispetto alla sua gentilezza estrema, visto che ci ha portato a casa sua e nel suo laboratorio, ci ha fatto vedere un sacco di cose e ci ha perfino regalato due piccoli bellissimi libri d'arte fatti da lui (in quello toccato a me cinque poesie e una foto, straordinarie le une e l'altra) regalo di cui naturalmente non finisco di ringraziarlo. Ma di certo quello che mi rimane di più resta soprattutto l'impressione chiara della notevole quanto sottile ed elegante profondità del lavoro che ha fatto. Di certo non mi metto qui a provare a fare un ragionamento complessivo. Questo post serve anche a consigliare vivamente ai pochi che passano di qua di fare un giro con un po' di calma per il sito di Gianni Pignat e di tenere d'occhio prossimamente le cose che farà. Quindi è inutile che io faccia da intermediario e dica delle cose di troppo invece di limitarmi a fare da cartello indicatore di una direzione di viaggio interessante.

Una ceramica di Gianni Pignat
Ma una cosa la dico. Dietro a tanti dei lavori di Gianni Pignat, forse la maggior parte, c'è il senso preciso di come le parole siano una modalità di rappresentazione del mondo in sé non diversa dalle figure. Lui ha imparato parecchie lingue: non solo sa bene il russo, ma ha familiarizzato più o meno a lungo con tanti idiomi lontani da quelli europei correnti, che di solito anche noi parliamo un po'. Così ti dice lui stesso, più o meno, di come ha sperimentato direttamente che entrare in una lingua è il più delle volte il solo modo per acquisire una percezione abbastanza autentica dei mondi con cui ti metti a confronto. E vedi subito che per lui le parole scritte, i segni di una scrittura, sono un mondo. Una delle sue principali attività negli anni è stata quella di inventare codici: scritti, graffiti, dipinti, ritagliati, modellati in tutti i materiali che la sua disposizione da artigiano (si vede subito quanto è bravo con le mani e quanto attentamente studia il senso di ogni tipo di materia) gli ha fatto attraversare negli anni. Ha disteso sul piano decine e decine di tipi diversi di scritture, segni simili la cui variazione, tra l'uno e l'altro e nelle combinazioni riga dopo riga, mi sembra che riproduca benissimo la vibrazione in cui, dicevo, per me in sostanza consiste la potenza creatrice del mondo. In queste sequenze di cifre la si vede all'opera, costante, progressiva e silenziosa: una prosa cosmica che ci si srotola sotto il naso e che ci invita a leggere. Con pazienza e spesso con difficoltà, ma anche con piacere, come ci succede quando risolviamo un enigma che ci ha impegnato a lungo. Dunque il mondo, dicevo, come testo da interpretare. E non tutto si riesce a comprendere, va bene, ma comunque si sta conversando e si è in contatto con qualcuno che non si vede, ma che ci sta parlando da dentro la sua tenda di seminomade o da sotto un arco di pietra in qualche deserto. E per quanto possa sembrare che lavorare su un modulo di questo tipo offra possibilità limitate, basta vedere come segni, materiali e colori diversi possono farsi impregnare da infinite storie. Del resto non ci sono solo i codici, ma anche tanti altri segni e colori e materiali e simboli con dentro avventure e racconti e miti. Ne metto qui un esempio, ma solo per invitare, ripeto, ad andare in cerca e vedere da soli, in rete e fuori. 
       
Gianni Pignat, Mozab
Nella mia assoluta modestia penso che sarei contento se qualcuno (magari qualcuno di mia conoscenza) riuscisse a trovare il modo di far vedere bene tutte insieme un po' delle cose di Gianni Pignat: primo perchè mi pare proprio che se lo meriti, secondo perchè mi piacerebbe molto avere l'occasione di leggere per bene, di provare con calma a decifrare un certo numero dei suoi messaggi, dei suoi crittogrammi, dei suoi codici fatti di miniature infinitesimali, che, ne sono convinto, in molte occasioni ci possono avvicinare – per quanto ci è lecito – a qualche genere di verità. 
     
Gianni Pignat, Possibile non probabile
(So che, al di là della letteratura, del cinema e (forse) del teatro, non ho niente di realmente sensato da dire sull'arte: sto tranquillamente a galla col salvagente in quella dimensione in cui, pur senza intendermene, riesco a sentire qualcosa e capisco abbastanza di quello che mi spiegano. Ma è una posizione che mi permette di avere molto rispetto per chi alimenta con grande idealismo questa infinita conversazione dell'arte. E anche, a volte, di riuscire a trovare in qualche esperienza estetica delle ragioni forti e vitali, che si trasformano in cibo buono per continuare a ragionare e parlare. Così, tutte le volte che mi capita, posso dire ai fioi che devono ricordarsi di prevedere nella loro vita uno spazio per queste cose, quelle che fondamentalmente li possono salvare dal diventare quelle palle di roba molle e attaccaticcia che quasi sempre tutti siamo quando consumiamo senza discernimento. E dico loro di fare la fatica necessaria a farsi un briciolo di gusto. Non per portare la morosa alla mostra d'arte in modo da non apparire subito quei cinghiali che in realtà si è. Magari anche. Ma perchè queste sono le cose che salvano veramente la vita e a volte impediscono di fare le cazzate più grosse e, se uno le ha coltivate quando e quanto può, poi se le ritrova dentro come un tesoro e ci trova sempre appeso, anche nei momenti peggiori, qualche brandello di felicità.) 


6 commenti:

  1. Tu sei molto bravo. Hai questo modo di andare a fondo alle cose che ti invidio moltissimo.

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    1. Grazie Teresa, la prima volta che ci vediamo ti do i 50 euri che avevamo pattuito.

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  2. Ma te li do fuori busta, mica fatturi...

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  3. Sì infatti anche l'iva me la dai fuori busta.

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