La vecchia Oriana (che Dio l’abbia in gloria), da giovane ha scritto cose interessanti e vitali, prima che l’estremismo islamico la facesse flippare nella spirale di un’ostilità al mondo musulmano tutto che era il frutto di un’analisi francamente piuttosto grossolana. Le sue interviste con la storia, la sua franchezza e il suo coraggio di fronte ai potenti di tutto il mondo, il suo tentativo di far emergere i nodi problematici dell’epoca che ha vissuto mentre gli eventi ancora erano in corso, restano un esempio solido e chiaro di come sia possibile mettersi di fronte alla storia con l’attitudine profondamente umana di chi sa di dover interpretare un testo molto difficile.
Detto questo, va ricordato che la (allora) giovane Oriana amava assumere atteggiamenti un po’ radicali, schifare i compromessi, porsi come custode battagliera di varie forme di integrità morale e intellettuale. Direi che è a questo atteggiamento che va attribuita la sua formulazione della vecchia domanda su chi fa la storia, se i pochi capi che hanno in mano le leve del mondo o le grandi masse, magari orientate da binari invisibili e potenti su cui si muovono senza manco saperlo, andando verso le mete che il processo del tempo assegna loro nel suo progresso, come per esempio amavano pensare i marxisti.
Perché non si capisce come mai le dia tanto fastidio l’idea che la risposta giusta alla domanda stia abbastanza nel mezzo, oggi in particolare, quando il liberalismo e la democrazia qualche effetto l’hanno prodotto: sempre parziale, sempre incerto e faticoso, ma di tipo certamente progressivo.
La domanda da porsi per verificare se questi effetti sono abbastanza sensibili è questa: “Quante possibilità ha oggi chi nasce in una condizione sociale umile o svantaggiata, di arrivare da grande a ricoprire un ruolo direttivo, ad acquisire una posizione sociale più elevata, ad avere un po’ di potere, o molto?”.
A me pare che oggi la differenza rispetto al passato sia grossa. Dall’’800 in poi la lotta politica e l’ingegneria istituzionale da un lato e la mobilità sociale caratteristica dell’economia di mercato dall’altro, hanno aperto all’individuo semplice, all’idiotes, il privato originariamente privo di qualifica, diversi tipi di strada che gli possono permettere di collocarsi più in alto rispetto al punto da cui parte. Studiare, avere interessanti idee di business, essere tenaci e ambiziosi, grandi lavoratori, sono caratteristiche non legate alla posizione sociale ed economica iniziale e che possono permettere di fare carriera, come testimoniano gli esempi di persone oggi ricche e importanti anche se provenienti da famiglie del ceto popolare che ognuno di noi può ricavare dalla propria esperienza diretta (ne potrei nominare facilmente e in breve tempo forse una decina). E questo per l’ambito economico. Ma anche la politica ha i suoi percorsi, per certi aspetti anche più semplici. Perché fino a quando, prima della caduta del muro, diciamo, il consenso passava attraverso il funzionamento di grosse macchine di partito zavorrate da pesanti arsenali ideologici (pensiamo alla DC e al PCI del secondo dopoguerra italiano), è stato necessario – per diventare potenti in politica – fare una paziente gavetta e passare attraverso una lotta interna al proprio partito spesso non solo laboriosa e tale da richiedere compromessi impegnativi, ma anche sanguinosa e crudele. Oggi, in tempi di populismi rampanti, è ancora più facile – scegliendo l’onda giusta – non solo diventare sindaco di Spresiano o Ponte di Piave, ma anche entrare in un parlamento, per esempio quello italiano in cui, oltre – per fortuna ma non solo – a diverse persone per me indubbiamente meritevoli e di valore, negli ultimi tempi ho visto entrare gente a cui personalmente non avrei affidato con tranquillità neanche la gestione di una merceria o di una pompa di benzina. Scorriamo l’elenco dei Presidenti del consiglio negli ultimi 35 anni dell’Italia repubblicana, dei ministri, dei segretari di partito, e vedremo che nella composizione della nostra classe politica forse è vero che la buona borghesia è un po’ favorita e parte da posizioni più avanzate, ma troviamo anche molti esempi di politici partiti da molto in basso e decisamente self-made.
Mi si obietterà che il vero potere sta da altre parti. Risponderò che anche se è chiaro che il potere poi si concentra ed è distribuito in modo irregolare in una rete in cui ci sono nodi più grossi e maglie più rade, il percorso per arrivare a questi nodi è più o meno quello: posso fermarmi al livello dell’assessore di Castelfranco o del consigliere regionale o anche dell’onorevole anonimo, di quelli che nel gergo vengono chiamati peones, ma se sono bravo e ambizioso (e magari carogna) al punto giusto, posso arrivare più in alto.
Che poi gli uomini di potere siano manovrati da forze superiori è un concetto abbastanza oscuro. Nessuno oggi crede più in modo diretto all’azione del destino o della provvidenza, tantomeno in quella della razionalità assoluta immanente nella storia. E allora anche questi presunti nuclei di potere misteriosamente capaci di potentissime influenze (sulla cui esistenza stessa sono abbastanza scettico) sarebbero fatti di uomini dello stesso tipo, magari provenienti da quartieri popolari e diventati ambiziosi proprio per riscattare un’infanzia di sacrifici e un’adolescenza di umiliazioni sociali, come nei migliori romanzi di fantapolitica.
Naturalmente questo non vuol dire che questo sia il migliore dei mondi possibili e che la combinazione di democrazia liberale e capitalismo realizzi un equilibrio ideale di libertà in cui ognuno può crearsi il proprio destino con le mani e l’intelligenza, anzi. Il mondo politico ed economico è spietato e sanguinario, la lotta è pericolosa e violenta ed è per questo che, ovviamente e giustamente, la maggior parte degli uomini liberi se ne ritrae, ma naturalmente questo è il primo dei problemi di fondo che restano. Il secondo è quello della dignità: se il sistema economico e la politica permettessero anche grosse disuguaglianze, ma assicurassero a tutti di non dover subire imposizioni inique od oppressive e di godere di un tenore di vita modestissimo ma umano, allora quello forse sarebbe il mondo migliore. Il capitalismo e la liberaldemocrazia sono però purtroppo molto lontani dal raggiungere questo obiettivo: sono solo il meno peggio, rispetto diciamo all’assolutismo monarchico, all’autoritarismo religioso o al totalitarismo ideologico, quindi ce li teniamo stretti e cerchiamo civilmente di contrastare chi vorrebbe risospingerci verso qualcuna di queste soluzioni disgraziatamente sperimentate. Ma una volta che ci siamo mantenuti dentro questo quadro sociopolitico dell’occidente civilizzato, che si fa?
Beh, secondo me si prova a impegnarsi, in politica e nella società, nel consiglio comunale di Zero Branco, nel volontariato per l’ANFFAS o nell’allenamento dell’under 8 del Rugby Tarvisium, o dove si vuole purché non siano associazioni a delinquere: diciamo, per capirci, il Lions e il Rotary ancora sì (per quanto…), ma la P2 certamente no. Si cerca di rendere la politica e l’economia posti meno brutti e in cui la gente possa aver voglia di mettere le mani senza schifo, di migliorare un po’ il livello rendendo meno pesante il primo problema. E poi, una volta che ci si è dentro, si lavora per cercare di risolvere il secondo, di provare a progettare – con realismo e idealismo, quanto basta di entrambi – un mondo in cui il fatto che ci sia gente ricca e/o potente non impedisce una vita umana a nessuno che ricco e/o potente sostanzialmente non sia. Già qui siamo molto vicini all’utopia, ma siamo anche dentro una prospettiva in cui ognuno può pensare di provare a fare qualcosa. “Il male trionfa se i buoni non fanno nulla”: è una frase del vecchio liberalconservatore dell’800 Edmund Burke, che non è certo uno dei miei punti di riferimento preferiti ma che, come esempio di liberale classico sufficientemente illuminato, mi trova molto d’accordo e corrisponde sostanzialmente alla mia idea che o fai qualcosa e ti impegni, lavorando o magari pensando soluzioni per risolvere i due problemi di fondo di cui si è detto, oppure perdi – moralmente – il diritto di lamentarti e criticare. Un’operazione tutto sommato non molto diversa, nello spirito, da quelle dei gruppi di volontari civici che si trovano a ripulire i parchi dalle scoazze, da un lato per avere il senso di dare un contributo personale, per quanto minimo, dall’altro per essere certi di produrre un effetto positivo, per quanto minimo, come, in questo caso, il fatto che la famiglia che va al parco con i bambini per farli giocare sulle giostrine non rischia di tagliarsi i piedi sui cocci delle bottiglie rotte seminati nottetempo dalle bande alcooliche di giovinastri scalzacani.
L’altra frase ad effetto che mi pare sensata come conclusione invece è di Olaf Palme, un grande socialdemocratico svedese che è certamente tra i miei punti di riferimento: “Noi democratici non siamo contro la ricchezza, siamo contro la povertà. La ricchezza per noi non è una colpa da espiare, ma un legittimo obiettivo da perseguire. Ma non può non essere anche una responsabilità”. Cioè: vogliamo seriamente cercare di risolvere il secondo problema.
Poi mi viene in mente che Palme è stato ucciso misteriosamente a pistolettate una sera dell’86 mentre usciva da un cinema di Stoccolma dove era stato con la famiglia. Il colpevole non è stato mai trovato. Se su questo fatto dessi credito alle tante ipotesi fantapolitiche di complotti mondiali e intrighi planetari proposte come spiegazione dell’attentato, contraddirei pesantemente i miei assunti iniziali, quindi non lo faccio e attribuisco il permanere di questo mistero come di molti altri alla difficoltà intrinseche e alla dimensione tragica della storia e della giustizia. Ma naturalmente qualche dubbio mi resta, ziomostro.
(1) PROPOSTA B3 Testo tratto da: Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Rizzoli, Milano, 1977, pp.7-8.
«La storia è fatta da tutti o da pochi? Dipende da leggi universali o da alcuni individui e basta? È un vecchio dilemma, lo so, che nessuno ha risolto e nessuno risolverà mai. È anche una vecchia trappola in cui cadere è pericolosissimo perché ogni risposta porta in sé la sua contraddizione. Non a caso molti rispondono col compromesso e sostengono che la storia è fatta da tutti e da pochi, che i pochi emergono fino al comando perché nascono al momento giusto e sanno interpretarlo. Forse. Ma chi non si illude sulla tragedia assurda della vita è portato piuttosto a seguire Pascal1 , quando dice che, se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, l’intera faccia della terra sarebbe cambiata; è portato piuttosto a temere ciò che temeva Bertrand Russell2 quando scriveva: «Lascia perdere, quel che accade nel mondo non dipende da te. Dipende dal signor Krusciov, dal signor Mao Tse-Tung, dal signor Foster Dulles3 . Se loro dicono ‘morite’ noi morremo, se loro dicono ‘vivete’ noi vivremo». Non riesco a dargli torto. Non riesco a escludere insomma che la nostra esistenza sia decisa da pochi, dai bei sogni o dai capricci di pochi, dall’iniziativa o dall’arbitrio di pochi. Quei pochi che attraverso le idee, le scoperte, le rivoluzioni, le guerre, addirittura un semplice gesto, l’uccisione di un tiranno, cambiano il corso delle cose e il destino della maggioranza. Certo è un’ipotesi atroce. È un pensiero che offende perché, in tal caso, noi che diventiamo? Greggi impotenti nelle mani di un pastore ora nobile ora infame? Materiale di contorno, foglie trascinate dal vento?»
1 Pascal: Blaise Pascal (1623 -1662) scienziato, filosofo e teologo francese. In un suo aforisma sostenne il paradosso
che l’aspetto di Cleopatra, regina d’Egitto, avrebbe potuto cambiare il corso della storia nello scontro epocale tra Oriente
e Occidente nel I secolo a.C.
2 Bertrand Russell: Bertrand Arthur William Russell (1872 - 1970), filosofo, logico, matematico britannico, autorevole
esponente del movimento pacifista, fu insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1950.
3 Foster Dulles: John Foster Dulles (1888 - 1959), politico statunitense, esponente del partito repubblicano, divenne
segretario di Stato nell’amministrazione Eisenhower nel 1953, restando in carica fino al 1959, anno della sua morte.
Comprensione e analisi Puoi rispondere punto per punto oppure costruire un unico discorso che comprenda le risposte a tutte le domande proposte.
1. Riassumi il brano proposto nei sui snodi tematici essenziali.
2. ‘La storia è fatta da tutti o da pochi? Dipende da leggi universali o da alcuni individui e basta?’ Esponi le
tue considerazioni sulle domande con cui il brano ha inizio.
3. Come si può interpretare la famosa citazione sulla lunghezza del naso di Cleopatra? Si tratta di un
paradosso oppure c’è qualcosa di profondamente vero? Rispondi esponendo la tua opinione.
4. Oriana Fallaci cita il pensiero di Bertrand Russell, espresso ai tempi della Guerra fredda, che sembra non
lasciare scampo alle nostre volontà individuali rispetto agli eventi storici. Per quali motivi il filosofo inglese
prende a riferimento proprio quei personaggi politici come arbitri dei destini del mondo?
Produzione L’ipotesi con cui Oriana Fallaci (1929 – 2006) conclude il suo pensiero sulla storia, si riferisce ai tempi della Guerra fredda e della minaccia nucleare. Tuttavia, da allora, il susseguirsi di tensioni e conflitti non accenna a placarsi, anche nel nostro continente. Secondo te, la situazione è ancor oggi nei termini descritti dalla giornalista? Rispondi anche con esempi tratti dalle tue conoscenze degli avvenimenti internazionali e dalle tue letture elaborando un testo che presenti le tue tesi sostenute da adeguate argomentazioni.
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