lunedì 11 luglio 2022

SATANA (come il gattopardo)


Circostanze che non mette conto specificare mi portano a cenare stasera, da solo, alla sagra di S. paese che, se Treviso avesse una cintura suburbana, ne farebbe parte.

Tralascio particolari irrilevanti, come il fatto che, dato che il programma dice che lo stand gastronomico apre alle 19, io mi presento alle 18,50 anche in modo da evitare assembramenti: la nuova variante covid galoppa e io poggio il mio libro su un tavolo d’angolo molto ventilato e voglio essere servito, possibilmente, per primo. La cassiera però mi dice che c’è da aspettare dieci minuti che la cucina dia il via agli ordini. Dopo dieci minuti mi presento di nuovo e mi dicono di nuovo di aspettare dieci minuti. Mi presento di nuovo dopo altri dieci minuti e mi rendo conto che la cassiera, evidentemente ritenendomi edotto in quanto locale, in nessuna delle due occasioni precedenti mi ha detto di prendere il numerino eliminacode!!! Così, invece di essere servito per primo (“Chi è il primooo?” “Io! Io sono il primo!!”), vengo servito, tipo, per dodicesimo. Ma questi dicevo, sono particolari irrilevanti di cui non mette conto.

La cosa interessante, è, naturalmente, lo studio di umanità che queste occasioni permettono, compiuto con autentico e umile interesse, senza l’albagia del preteso studioso che sotto sotto (ma neanche tanto) si sente superiore, anzi, con un moto di affetto per questi gravarioli bislunghi e queste donne traccagne che si fanno a gratis con onorevolissima fatica e sacrificio ore di servizio ai tavoli o di friggitrice, o per le famiglie che nella sera afosa (stasera neanche tanto, c’è arietta) di luglio si svagano mescolandosi alla comunità e incontrando gli amici che mangiano anche loro le costicine al tavolo accanto.

Per dire: il bocia che mi ha portato il mezzo di rosso va in terza elementare (gliel’ho chiesto), aveva delle incertezze nella manualità fine rispetto al compito – in una serata appunto abbastanza ventosa – di portare tutto insieme tovaglietta, busta con posate e salvietta, bicchiere e vino. Ma si è fatto dare coscienziosamente lo scontrino e ha segnato con la sua penna che le bevande erano state portate. D’altra parte, quello che mi ha portato le salsicce (due, Cristo; ok erano grossette, ma il canone è tre…) si è lanciato servizievole a raccattare lo scontrino medesimo sventolato per terra dal vento per poi controllare sveglio e dirmi: “Ah… Ma ha già tutto… Lo scontrino si può buttare...”. Umanità pienamente degna di rispetto, dunque. Ma questi sono i dettagli irrilevanti di cui non mette conto, dicevo.

La cosa di cui mette conto è che più o meno quando mi portano le salsicce, mi si siede al tavolo davanti una coppia con babini. Babine, anzi: due. 4 e 2 anni, a occhio. Babine belle, molto. E vispe: la più grande rotea una microborsetta che la più piccola cerca di afferrare. E la mamma, giovane (secondo me sotto i trenta di poco) e carina, alta, mora, leggermente massiccia, è evidentemente almeno un po’ studiata, visto che commenta, rivolta alla quattrenne e riferendosi alla bienne: “È proprio una taccheggiatrice…”. Quanti alla sagra di S. conosceranno il significato della parola taccheggiatrice?

Ma l’interessante è il papà. Che alla fine posso osservare con attenzione dato che la piccola, nel passeggino, gridicchia: “Io sto vicino alla mia mamma!”. Così la grande equilibra: “Io sto vicino al mio papà!” E lui si siede di schiena giusto davanti a me. Ho già notato che è anche lui verso i trenta, forse poco più. Alto (verso il metro e novanta) e atletico, barba rasata corta salvo sul davanti (labbra e mento) dove è lasciata folta e spiovente in codine e cespuglietti. Capello pure rasato corto a tentare di nascondere e, forse (invano), di rimediare a un principio di peocchitudine. Ma. Ma. Ma la maglietta…

Il papà ha indosso, oltre ai bermuda jeans, una maglietta nera. Su cui in grigio-blu è disegnata un’immagine elaborata, che vado a spiegare: è una creatura macabra e ovviamente spaventosa, un essere che veste una lunga tònega piumata con cappuccio, che copre tutto il corpo (e ha falde svolazzanti lungo le maniche corte) ma lascia vedere teschio e mani scheletriche. La sinistra protende in avanti, la punta verso il basso, uno spadone che tra l’elsa e la spada ha un altro teschietto circondato da lame ricurve tipo ascia bipenne. La destra regge invece uno scettro-portacandela che tra il manico e la candela ha un altro teschio, circondato da spunzoni puntuti. Ho sbirciato con discrezione per vedere cosa c’era sul davanti. Una discussioncella tra i due (“Adesso hai rotto i coglioni! Io porto la borsa, i pannolini per tua figlia… Adesso vai tu!”) mi ha offerto l’occasione per vedere che il darkissimo magliettista non aveva poi tutta sta fantasia e aveva fatto compagni il pardadrìo e il pardavanti.

Tutto qui. Ho da eccepire? Se devo essere corretto e rispettoso, no: vuoi che uno che da giovinastro ha innocentemente virato verso, che so, il metal-sepultura o robe simili, non possa conservare un po’ di affezione per qualche brandello del suo vecchio immaginario? Ma certo che no! Figurati se io non penso che chiunque abbia tutti i diritti di conservare traccia delle proprie virate giovanili, a costo di essere un po’ ridicolo, in genere sempre un po’ di più via via che avanza l’età… Ma è che mi vedo la bambina che a un certo punto guarda la maglietta e chiede: “Papà, ma cos’è questo? Fa paura…”. E il papà cosa risponde? Potrebbe rispondere tipo: “Ma no, è Satana1, non ti fa niente...”-

Ecco, questo io credo che non sarei capace. Ma forse sono io che sono un boomer e mi fa strano solo perché vorrei che il tempo non passasse più. Come il Gattopardo.

1 Nessuno passa di qui, ma se passasse qualcuno mi darebbe dell’iperboomer ignorante, perché è chiaro che quella raffigurata sulla maglietta non è Satana (che viene rappresentato come diavolone rosso e muscolato con cornoni da muflone), bensì la morte, in una delle sue molte (immagino as a Boomer) possibili varianti, una delle quali, diversa, ho scelto come immagine di apertura del post. Lo so. E’ che la parola Satana suona molto bene e la volevo usare.

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