Cliente 1-
Un momento: quel tizio si è messo a controllare le uova una per una…
(uomo con
occhiali in giacca e cravatta sta seduto per terra con un uovo in mano e
confezioni di uova aperte attorno)
Cliente 2-
Questa storia va avanti da almeno venti minuti…
C1 -
Che diavolo cerca?
C2 -
Dice che ne deve trovare dodici perfette.
C1 -
Dodici perfette?
C2 -
Già: che ogni uovo dev’essere perfetto.
(uomo manipola
le uova e le esamina con attenzione)
C1 -
Non mi pare che la ricerca abbia successo…
C2 -
Per forza: guarda i cartoni che mi ha scombinato…
C1 -
Ma perché non mette insieme quelle che gli vanno?
C2 -
E’ quello che gli ho detto: si è messo a urlare.
C1 -
A urlare come?
C2 - A urlare. Dice:
l’importante è avere dei criteri, che nessuno ha più un briciolo di amor
proprio…
C1 -
Ma che c’entra. Mica le uova le hai fatte tu.
C2 - Gli do ancora cinque minuti e poi
chiamo le guardie… Ne ho le palle piene: io oggi manco ci dovevo stare qui.
(entra giovane donna)
D - Due pacchetti di sigarette.
C1 - Certo, sembra strano anche a me.
D - Non è la prima volta che lo vedo
C1 - Lo
conosce?
D - No, lui no, ma conosco la sindrome:
fatemi indovinare, sta cercando un cartone di uova perfette.
(uomo in
ginocchio copre un uovo con un foglio di carta e lo scopre all’improvviso)
C1 -
Ci ha azzeccato. Come ha fatto?
D -
Mi gioco un milione di dollari che fa l’operatore didattico
C1 -
Che cosa glielo fa pensare?
D - La stessa cosa mi è capitato di
vederla un anno fa in un supermercato. Era un altro, però. Uno di lì mi ha
detto che rovistava nei cartoni da mezz’ora facendo strane prove di consistenza.
(uomo si infila un uovo in bocca) Gli
ho chiesto come mai nessuno avesse chiamato il direttore, e quello ha spiegato
che la cosa si ripeteva due o tre volte la settimana e anche di più.
C1 - Ma vattene…
D - Giuro, non è uno scherzo: si chiama
“trauma da guscio”. Pare che colpisca solo gli operatori didattici. All’inizio
era diventato un caso, ora non ci badano più: dice che tanto pagano sempre le
uova che rompono e per scocciare non scocciano mai nessuno (uomo si fa passare un uovo avanti e indietro davanti agli occhi e lo
segue con lo sguardo)
C2 - Ma perché gli operatori didattici?
D - Se il vostro lavoro fosse
altrettanto senza senso non finireste anche voi un po’ fusi?
C1 - Io l’ho conosciuto un operatore
didattico: l’inutilità in persona.
D - Vede? Ragazzi, è importante un
mestiere che ti faccia sentire gratificato (uomo
in ginocchio si apre la giacca e appoggia uovo sul cuore). Io ad esempio
masturbo manualmente gli animali per l’inseminazione artificiale. (donna se ne va; uomo rompe uno- due-tre uova
contro il frigorifero).
Non so quanti insegnanti ricordino questa scena.
L’ho sempre tenuta a mente come uno dei tanti
segni di come il mestiere della scuola fosse circondato overall e worldwide,
non solo qui da noi, da un discredito radicale e profondo proprio rispetto all’autenticità
della persona e alla realizzazione di sé. Lo mettevo insieme, in quanto
americano, con un piccolo e in effetti non molto acuto film del ’53 dal titolo
esplicito: I professori non mangiano
bistecche, in cui un supplente (con moglie e figlio) figlio di un ricco
allevatore texano fa fatica a sbarcare il lunario e il padre ne approfitta per
cercare di riportarlo al ranch a badare ai vitelli. Mi sembrava una riprova
della enigmaticità strutturale della condizione del prof. Mi sembra ancora
così, anche se pensando a questo post ho dato un occhio alla versione originale
del film e mi sono reso conto che il soggetto tradotto in modo approssimativo come operatore didattico non è un insegnante (teacher) ma un guidance counselor, una specie di tutor che fa da consulente allo studente più o meno in difficoltà
per orientamento e problemi didattici. La cosa cambia? Forse un po’, forse allo
studente medio e all’americano medio quella funzione appare ancora più vuota e
cretina di quella dell’insegnante, ma direi che in sostanza le cose non
cambiano molto. Il senso di estraneità, distanza e incomprensione rimane. Molto
forte.
E sì che invece la condizione che questo mestiere può permettere è proprio una delle forme più vere di libertà ...
Oh deh
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