Aleks, un gioiello. |
Non è troppo difficile, in apparenza, ma comporta sempre tanti problemi piccoli e grossi. Poi possono anche capitare cose belle e commoventi, ma non sempre succede. E comunque non mi basta la commozione facile che un paio d'anni fa alla partita di calcio di fine anno faceva piangere T.D., studentessa di quinta, perchè pensava (e lo diceva lacrimando): “E' tutto finito...”.
Infatti
la ragione per cui stavolta ho quasi pianto, ho praticamente pianto,
è che ho conosciuto di persona il papà e la mamma di Aleksandar.
Aleks non c'è più da meno di un anno: era lo scorso settembre che
se n'è andato, dopo un paio d'anni di malattia durante la quale ha
dimostrato un coraggio non comune, continuando a studiare dentro e
fuori dall'ospedale e prendendosi il diploma senza bisogno di farsi
regalare nulla, con risultati solo accettabili rispetto alle buone
cose che avrebbe potuto fare se fosse stato bene, ma assolutamente
straordinari se consideriamo le condizioni di salute e d'animo in cui
si trovava. Risultati comunque in assoluto migliori di quelli di
molti studenti che non hanno (apparentemente) nessun problema serio e
decidono di non studiare per ragioni che sanno solo loro.
Non
conoscevo il papà di Aleks, a vederlo sembra un uomo buono. E la
cosa bella e sorprendente è che lui e la mamma di Aleks, anche se
non sono più proprio giovanissimi (del resto avevano un figlio di
vent'anni), hanno, immagino anche per quello che è successo, deciso
di dimostrare a se stessi (al mondo, a Dio, eccetera...) che avevano
ancora coraggio e forza abbastanza per riprovarci: aspettano un
bambino. Anzi due, pare. E questo fatto che siano due fa sorridere e
viene naturalmente da pensarlo come un tentativo di risarcimento o
uno scherzo da prete da parte di Dio, sempre lui. Ma viene da
pensarlo solo per un secondo: l'idea di qualche genere di provvidenza
ha la consistenza e la fatuità dell'arcobaleno, anche se è,
appunto, un fenomeno naturale. Solo per un secondo: dopo di che ci si
limita ad augurarsi che vada tutto bene e che questi due che si
preparano a farsi vivi (e ad avere a che fare con noi gentaglia)
abbiano un po' più fortuna del loro fratello. Per quanto: chissà
che cos'è la fortuna...
Aleks
giocava a basket (per forza, viene da pensare: cosa altro può fare
un ragazzo serbo bosniaco anche se sta in Italia?). E per rivolgergli
un pensiero i suoi compagni di classe e di squadra hanno chiesto che
l'ultimo giorno di scuola si facesse una partita dedicata a lui.
Questa l'invenzione di quest'anno per riuscire a gestire questa
brutta faccenda dell' ultimo giorno. Il papà e la mamma di Aleks
hanno detto due parole prima dell'inizio: hanno detto che
ringraziavano tutti, che tanti avevano saputo farsi sentire vicini,
prima e dopo. Poi il papà ha detto che suo figlio era “un
gioiello” e tutti hanno applaudito, a lungo. Personalmente avrei
applaudito per mezz'ora, nella speranza che potesse avere un
significato e fare una qualche differenza: il solito contributo
virtuale della prossimità emotiva. Ma magari è bastato anche quel
minuto.
Dunque,
questa è stata la cosa commovente. Meno commovente il fatto che in
spogliatoio a uno studente è stato rubato un telefono da parecchie
centinaia di euro. Disgustoso invece il fatto che uno studente che
presumeva di essere stato bocciato si sia presentato con una di
quelle specie di mitra ad acqua da spiaggia da ragazzetti per
stonfare i suoi crudeli e certamente colpevoli insegnanti. Queste
cose, insieme a mille altre, ti fanno pensare una volta di più che
vivi in un postaccio e che i tuoi sforzi per renderlo un po' migliore
non potranno che restare senza effetto. Gentile, invece, il gesto di
alcune tose che mi hanno portato una Settimana enigmistica
nuova fresca, per darmi l'occasione di mostrare che faccio il
Bartezzaghi in meno di dieci minuti, come sbravuro sempre di
saper fare, cosa che d'altra parte ho dimostrato anche in questa
occasione. Vabbè. Microvanità.
Per
il resto l'ultimo giorno dell'anno resta uno dei momenti in cui si
vede meglio quanto, per gli studenti, sia netto e marcato il confine
che separa il mondo vero di fuori, fatto delle cose che contano
veramente, e quella specie di patetica chiesa ortodossa che è la
scuola. E' un po' come alle pizze di fine anno: spesso prendono la
cosa come un'occasione per farti vedere che loro sanno cosa conta
davvero e che niente (o quasi) di quello che hanno fatto (?) con te
rientra nell'insieme degli oggetti di valore. E questo accade spesso
anche quando pensi, con una classe o l'altra, di essere riuscito a
mettere insieme qualcosa di umano. Più tardi, poi, col tempo, magari
un po' di ragione te la danno, ma in quel momento no: c'è un fondo
di risentimento che viene fuori e che è il risultato di anni di
frustrazione che tu non sei riuscito a trasformare in qualcos'altro:
non dico entusiasmo ma un po' di motivazione, un po' di capacità di
pensare in prospettiva. Invece no: resta lì duro come una pietra il
fatto che non si fidano. E che in queste occasioni sembrano provare
un gran piacere nell'esibire il fancazzismo svitellante e
sgallinante che rappresenta per loro la gioia della vita e il fiore
della libertà, come se fosse un'opera d'arte o la fiaccola della
rivoluzione.
Io
tutte queste cose le so. Le ho anche provate, in qualche misura,
stando dall'altra parte come tutti. Ma insisto che ci deve essere un
modo di andare nella stessa direzione, di fare della scuola un posto
in cui ci si riconosce nella sostanza e si lavora insieme sul serio.
Ma non riesco a farlo capire.
Una
volta, quando riuscivo a fare il cruciverba,
vedevo che tutto sommato il gesto era apprezzato e serviva a non
chiudere troppo male il tempo passato insieme. Adesso mi limito a
cose più piccole, che però non funzionano, o funzionano poco. Una
cosa che ho fatto a volte (anche quest'anno) è stato far vedere (o
regalare una copia di) un film che secondo me racconta proprio questo
passaggio: la situazione in cui da una dimensione tutto sommato
chiusa, protetta e semifamiliare, come quella della scuola superiore,
si viene buttati fuori, volenti o nolenti, in un mondo duro e
pericoloso che divide e mette alla prova senza compassione. Il film è
Fandango (1985), di
Kevin Reynolds (1 - spoiler), con un
giovanissimo Kevin Costner che fa la parte del capo di una piccola
banda di vitelli del Texas che al momento dell'uscita dal college
decidono di farsi l'ultimo viaggio insieme per celebrare la fine del
loro tempo e per esorcizzare la paura della tragedia che li aspetta,
visto che siamo nel '71 e che tre di loro hanno ricevuto la
comunicazione che ordina di presentarsi per l'arruolamento nelle
truppe americane destinate al Vietnam.
Il
viaggio è, come è naturale, dichiaratamente aperto a possibili
deviazioni dettate dall'ispirazione e dagli eventi. Così il racconto
si annoda intorno a tre-quattro episodi, uno più assurdo dell'altro,
nei quali si mostra come la felicità di essere giovani consista in
sostanza nell'inventare forme gratuite e, possibilmente, pericolose
al limite della stupidità, di spreco di se stessi e della propria
vita, o almeno di qualche pezzetto di essa. La cosa sembra senza
capo, ma una direzione di fondo c'è: i cinque (uno dei quali dorme
sempre, mentre un altro tace quasi sempre) stanno andando a liberare
DOM, operazione di cui non si capisce il contenuto e il senso fino a
quando non si vedono i nostri eroi attraversare una steppa
semideserta al di là del confine col Messico per poi arrampicarsi su
di una rupe scoscesa fino a un grosso masso, sul quale è appunto
graffiata in caratteri enormi la parola DOM. La scena è questa.
I
privilegi della gioventù: si capisce. Vuol dire che non c'è un
diritto, che non c'è una ragione che fa da fondamento: che la
bellezza e l'insensatezza della gioventù sono in qualche modo la
stessa cosa, in fondo, un regalo immotivato di cui non si gode mai
abbastanza e che poi viene tolto con la stessa leggerezza con cui è
stato dato: a tutti ma non proprio a tutti; a molti ma, senza
ragione, a qualcuno no. Perchè lo splendore di quel tempo acerbo e
sgraziato sta proprio nell'incoscienza con cui si prende ciò che di
più bello e buono c'è, lo si assaggia appena e poi lo si butta via.
Dunque
avrei torto io, che provo a farmi seguire su strade che portano da
qualche parte? Che spero e cerco di fare delle cose insieme ai
ragazzi per metterli in condizione di non morire, di avere qualche
probabilità in più, nel (più o meno) Vietnam che li aspetta?
Dunque sarei un incrocio tra un illuso e un inopportuno? Uno che non
capisce che le cose sono andate vanno andranno sempre così e che
dovrebbe rassegnarsi al fatto che la realtà deve mettersi
permanentemente al servizio di questa vitalità informe e canina, di
questa condizione di dissipazione? Una condizione che poi, nella
coscienza di ciascuno di questi fioi (e tose) resterà
la dimensione ideale a cui tendere anche quando, da grandi, per
sopravvivere, accetteranno un lavoro piuttosto duro e del tutto
insensato rispetto a loro stessi, solo per avere abbastanza denaro da
buttare via in queste troiate più o meno piacevoli e, in genere, di
sovrana inutilità.
Forse
dovrei. Ma, come al solito, non credo, se no non starei dove sono. Se
si è esseri umani, almeno un po', anche durante questo tempo
scellerato della giovinezza si sente oscuramente la contraddizione
irrisolvibile della propria condizione, la tensione, che a lungo non
sfuma, tra le infinite possibilità che si hanno e il totale
disinteresse per ciascuna di esse che quasi sempre si prova per un
certo tempo. Salvo poi precipitarsi di colpo in qualche abisso di
passione per persone luoghi attività spesso tanto più attraenti
quanto più incongrui, capaci di sorgere – out of the
blue – e tramontare con rapidità estrema. E' dalla lotta contro questa
contraddizione che si deve portare a casa il peso sostanziale che
serve, nella vita, a stare attaccati a terra in modo da non essere
inconsistenti, ma anche la capacità di non restare fermi dove si è,
di muoversi. Una capacità che in genere dura per sempre, fino alla
fine.
Così
Gardner (Kevin Costner) che (lo si scopre alla fine) ha amato e
perduto per sua leggerezza e colpa la ragazza del film (nei titoli di
coda è semplicemente The Girl) lasciando poi che finisse tra
le braccia dell'amico più caro, saluta la propria giovinezza
compiendo questo gesto di assoluta nobiltà: recupera la ragazza e la
recapita avventurosamente all'amico al momento giusto in questo
villaggio del Texas – luogo e tempo sospesi – dove i due, la
ragazza e l'amico, si sposano, con attorno una festa miracolosa, inventata dal
niente come solo la gioventù e i suoi privilegi consentono. Finisce che
Gardner balla con la ragazza l'ultimo ballo, durante il quale il rimpianto quasi li sommerge, ma
poi lei se ne va con lo sposo mentre Gardner sparisce e saluta da
lontano, brindando, si può immaginare, alla vita o a qualcosa del
genere.
Ecco:
io do loro una copia del film e mi illudo che lo guardino e che,
anche grazie a questo, capiscano che io so, più o meno, quello che
stanno vivendo. E mi illudo che ripensino con affetto al tempo
vissuto insieme e al lavoro fatto e che riescano a dare a tutto il
valore che ha. Ma invece credo che loro continueranno a guardare
quasi solo filmati di incidenti e altre assurdità da minorati
mentali su youtube, e che il film, che non sarà un grande film ma mi commuove sempre e che ho
passato loro per vedere se fra di noi, messo in conto tutto, alla
fine è comunque rimasto qualcosa, quel film loro neanche lo vedranno. Ci
scommetterei.
(1)
Mi dicono che quando parli della trama di un film o simili devi
scrivere questa parola per indicare che chi legge potrebbe rovinarsi
un'eventuale visione futura del film. Dice Wiki: Il termine spoiler
(dall'inglese To spoil, "rovinare") è spesso usato
in ambito cinematografico per segnalare che un testo riporta delle
informazioni che potrebbero svelare i punti salienti della trama del
film. Il termine spoiler può però riferirsi anche ad altri
contesti dove può essere svelata una trama, come libri, videogiochi,
serie televisive, fumetti. In italiano può essere tradotto
tranquillamente come anticipazione e in forma verbale come
anticipare.
1. io non sono mai stata giovane
RispondiElimina2. Kevin Costner è stato giovane e da giovane fa molto sangue
3. che gusto bevar el dom a 40 gradi
4. vedo che il demone dello spoiler ti ha imparato la lezione
5. questi giovini, certo non tutti, ma credo molti, o vabbé magari anche solo alcuni, si ricorderanno di quello che hai fatto per loro. O magari non se lo ricorderanno ma sarai comunque un ingrediente. Tipo la cannella nella crema catalana, che non ti accorgi se c'è ma se non c'è non è buona uguale.
6. deh come sono Ladycocca stasera.
1. tu sei giovane
RispondiElimina2. no comment
3. sì, infatti gli fa spiuma in gola e lo sputazzano, a parte il dormiente che viene irrorato
4. demone mi catturò
5. io vorrei che capissero un po' di più prima, e lavorare insieme, non averli sempre fastidiosi prima e capiscono dopo quando è tardi (ok non è mai tardi, ma.)
6. Ladycocca quella di LadyMarian?
3. costui a mio avviso era già in coma etilico, esso non è dormiente.
Elimina5. anche io vorrei una mansarda vista faraglioni con dentro Kevin Croste da giovane. Ma.
6. colei.
sul punto 5, sappi che: quando ero giovane per davvero (non come ora che sono piena di capelli bianchi e presto dovrò arrendermi all'idea di farmi una tinta) avevo molta stima e rispetto dei miei prof delle superiori. Poi crescendo ho visto meglio alcune cose, e di alcuni la stima è un po' scemata. Quindi ti dirò che secondo me è meglio cambiare idea in meglio che in peggio. Ecco. Anche se posso capire che questo conforta poco.
RispondiEliminaGrazie Maria, ottimo tentativo. Ma non è solo e tanto una questione personale, quanto una questione di mentalità, di quello che uno ritiene sia ovvio pensare della scuola e di quello che ci si fa. Temo che questa sia un'impresa ciclopica (anche nel senso di "orba"). P.S. Anche tu sei decisamente giovane, anche se forse eri una di quelle studentesse che a 18 anni in realtà ne hanno 35.
RispondiEliminaGrazie a questo post ho scoperto Fandango,mi rimane nel cuore la scena del ragazzo dormiente irrorato dal vino, clamorosa.
RispondiEliminaSpero che tu abbia visto tutto il film: anche la scena del treno e quella del lancio col paracadute sono bellissime. Nell'insieme non è un grande film ma nella sua dimensione è anche lui un piccolo gioiello a cui sono molto affezionato.
RispondiEliminaIeri è arrivata questa mail: Salve prof, volevo avvisarla che stanotte alle due sono nati Andrea e Anastasia, i figli di Milos e Stana. Le ho scritto perché ho pensato le avrebbe fatto piacere saperlo. Sia loro che la mamma stanno bene. Saluti, D.Z. - E' vero, mi fa molto piacere. Spero che tutti siano felici quanto possono. Ho un bicchiere in mano e lo alzo: speriamo che Dio stia attento a quello che fa.
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