Il corpo di un partigiano ucciso scende galleggiando lungo il fiume in Paisà di Roberto Rossellini |
Questo e i successivi tre
post contengono un po' dei miei ragionamenti sul movimento di
liberazione in Italia. Roba per chi è interessato o comunque ha una certa
pazienza...
Quella volta che ho chiesto
allo zio Toni se era stato fascista, lui mi ha risposto che certo,
che loro ragazzi erano tutti fascisti, che come si faceva a non
essere fascisti negli anni in cui era giovane lui.
Lo zio Toni era
decisamente un italiano medio, mite di carattere e molto amante della
vita tranquilla (1). Poi ha fatto il soldato di mestiere facendo
pochissima carriera, quasi niente (è andato in pensione da
maresciallo...), e senza dare mai segno, per quello che mi risulta,
di avere qualche tendenza da militare incazzato e fanatico né
tantomeno di avere nostalgie per l'armamentario ideologico o per la
paccottiglia (propaganda e merchandising) del ventennio. Di tutta la
faccenda della fine della guerra mi ha detto pressappoco una volta
che se ci fosse stata un po' più di moderazione si sarebbero
risparmiate parecchie vite, un pensiero in sé non sbagliato ma
troppo ovvio e generico per risolvere qualcosa.
Lo
sappiamo che il fascismo, per come ha occupato a lungo quasi tutti
gli spazi di vita e di attività, ai più è sembrato per anni una
realtà indiscutibile, un orizzonte naturale. Meneghello nella sua
intervista a Paolini dice che in fin dei conti i fascisti alla gente
comune parevano solo persone un po' eccessive, magari troppo attente
a certe forme, ma tutto sommato innocue, e fa l'esempio delle persone
molto de
ciésa.
Anche Giordano dice che suo padre, il nonno Giovanni, raccontava che
ai tempi del fascismo la vita in paese era tranquilla e che non si stava male, anche se poi
è diventato comunista al momento dell'invasione tedesca. Certamente
c'è del vero in questa memoria: il fascismo era riuscito a entrare
in profondità, si era mimetizzato bene con la società, ne sembrava
la trama del tessuto: pareva abbastanza vero che il
Duce aveva
sempre ragione,
e che i
bimbi d'Italia eran
tutti Balilla,
eccetera. Anche Gabriele, qualche settimana fa a Vicenza, raccontava
che suo nonno era fascista e diceva pressappoco che, stando alle
memorie di quelli che lui ha conosciuto in Cile, che dagli anni '70
hanno vissuto sotto la dittatura, il confronto con la durezza della
macelleria sudamericana gli sembrava ridurre il fascismo a qualcosa
di quasi sopportabile. Quella sera a Vicenza, anche se sapevo bene
che Gabriele non si sognava di negare il carattere criminale del
fascismo e voleva solo mettere il Cile in una posizione più estrema,
ho pensato che per i regimi e le loro violenze farebbe comodo uno
strumento come le scale di valutazione della forza dei terremoti o
della durezza dei minerali. Senza un riferimento del genere non è
facile una comparazione sensata tra i diversi gruppi di assassini: a
scuola per provare a dare un'idea dico abbastanza spesso che secondo
me, a livello di durezza della repressione forse (forse...) si
possono mettere vicini da un lato il fascismo e dall'altro i regimi
comunisti dell'Europa orientale (DDR, Polonia...) nel secondo
dopoguerra (ci ho ragionato un po' sopra qui).
In ogni caso nessun confronto permette di assolvere il fascismo (né
la DDR). Poi a scuola di solito uso Emilio Lussu: faccio leggere
pezzi di quel libro bellissimo, drammatico ma tanto intelligente e
ironico da essere quasi divertente da leggere, che è Marcia
su Roma e dintorni
(2). E ancora, una sintesi quasi perfetta sulla vita ai tempi del
fascismo, su come era possibile considerare tutto normale e manco
sentire il bisogno di reagire in qualche modo, me l'ha data l'altro
giorno con
la sua voce
quel grande esempio e testimone che è stato Nuto Revelli: “Sarebbe
da parlare un po' di cosa succedeva nelle famiglie. Anche nelle
famiglie c'era prudenza: temi scabrosi, politici, di critica, in
tante famiglie non erano ammessi, perchè i ragazzini parlano a casa,
così, poi van fuori, ripetono e rischiano. La mia famiglia era così:
mio padre poi ha avuto occasione di dirmi a un certo momento, quando
ormai ero nella situazione della guerra, che non mi aveva spiegato
niente perchè aveva temuto che diventassi diverso dagli altri, da
tutti gli altri, quindi diventando diverso poi avrei rischiato. Ed
era vero. Non m'aveva detto niente per troppo affetto. Quando io son
tornato dalla Russia ero disperato: la sera del 25 luglio, quando è
caduto il fascismo,
ho
avuto l'occasione di dirgli a mio padre: “Perchè non m'hai
spiegato, tu che sapevi?”. Mio padre era sufficientemente preparato
per capire cos'era quel sistema, quel regime... “Perchè non m'hai
spiegato?”. Mi ha proprio detto, con le lacrime agli occhi: “Non
te l'ho detto perchè temevo di influenzarti e che scegliessi la
strada della contestazione...”, che poi voleva dire essere diverso
e quindi rischiare e pagare. Però si viveva, però la vita tirava...
Se uno non disturbava non gli succedeva niente: se uno era servile,
si piegava, aveva dei benefici, faceva carriera anche. C'era... tutte
queste scappatoie, queste possibilità. Però il regime era quello,
il regime era di lasciar crescere nell'ignoranza”.
(3)
Quindi
poi la Resistenza per me si può anche discutere, ma nel senso che la
si studia e se ne capiscono le faccende, non nel senso che alla fine
la somma e la valutazione danno un risultato diverso da quello per
cui i partigiani avevano ragione, sostanzialmente, e i fascisti
torto, specialmente dopo che avevano lasciato venir giù i tedeschi e
li avevano anche coperti e legittimati con quella bella invenzione
che è stata la Repubblica di Salò. Questo non è un dogma, un
pregiudizio: è il risultato di tanti anni di letture e ragionamenti
lungo i quali ho cercato di mettere in discussione un po' tutto e di
vedere le cose un po' da tutti i punti di vista. E la conclusione
resta che è chiaro che i partigiani avevano ragione e i fascisti
torto. O almeno dovrebbe
essere chiaro: tra le tante rivalutazioni a cui la storia (quella che
si studia) ci porta sempre necessariamente, ci sono certo delle
ottime ragioni per raccontare bene tutti gli aspetti e le sfumature
della Resistenza, naturalmente anche quelle più buie e ignobili,
come si è fatto negli ultimi decenni. Ma ho visto raramente fare
quello che mi sembra più necessario sia per rispettare la verità di
quello che è successo sia per rendere un po' più solida la
possibilità di vivere insieme in Italia raccontando una storia su
cui tutti o quasi possano essere d'accordo.
A
me sembra che l'ostacolo più grosso sulla strada per raggiungere
questi due obiettivi, la verità storica e la storia condivisa (4),
sia quella specie di generica e irriflessa adesione postuma al
fascismo che ancora adesso corre sottotraccia nei pensieri e nelle
scelte di parecchia gente e che viene espressa a mezza voce o con
allusioni e battute, di solito in contesti privati ritenuti sicuri,
salvo poi smentire con falso sdegno tirandosi indietro in modo
ipocrita. E' un aspetto del costume di cui si potrebbero fare
facilmente diversi esempi (5) e la cui diffusione varia secondo aree
geografiche e gruppi sociali, ma che mi sembra un fenomeno
significativo. Ecco: può essere stato un errore cercare di costruire
per la Resistenza una storia ufficiale monumentale tutta di un pezzo
e senza ombre, operazione che aveva delle ragioni (le considero un po'
nel post successivo) ma che non poteva funzionare perchè lasciava
fuori troppe cose, alcune delle quali piuttosto pesanti. Pavone (6)
ha spiegato benissimo che le ragioni di tutto quello che si è scelto
di fare e che è accaduto in quegli anni erano molte e intrecciate
tra loro in modo spesso contraddittorio, e prima di lui tutto sommato
già leggendo Fenoglio (7) si capiva bene che era necessario entrare
nelle singole storie e far reagire insieme tra loro punti di vista
diversi e anche opposti. Ma penso che quelli da cui (soprattutto)
oggi sarebbe ragionevole e sano attendersi ripensamenti (se non, a
volte, pentimenti) siano quelli che ancora alimentano la vulgata
nostalgica parafascista, quelli che non hanno ancora accettato di
ammettere che il fascismo aveva torto perchè comunque dall'altra
parte c'erano il liberalismo, la democrazia, l'occidente, la libertà
eccetera. L'obiezione principale, la scusa per non accettare, è che
dall'altra parte c'era anche il comunismo, ma secondo me è un
discorso che non sta bene in piedi, come adesso, penultimo dopo
parecchi altri, cerco di dire anch'io meglio che posso.
(1) Lo zio Toni ricordava
come un periodo molto felice e quasi mitico quello trascorso a
Sabaudia dove l'esercito lo aveva mandato e dove aveva trascorso i
primi anni di vita delle sue figlie vivendo con poco in un posto di
mare appena all'inizio dell'epoca delle vacanze di massa. Non c'entra
niente ma è un ricordo che mi è venuto e che approfitto per
appendere qui a margine
(2)
Edito da Einaudi. Metto in allegato qui
l'antologia che passo ai fioi,
ma consiglio a chiunque di spendere i 7-8 euri necessari e di
prendersi il libro intero, che si legge in tre-quattro ore. Per
l'oppressione comunista di solito uso Imperium
di Kapuscinski: magari altrove.
(3)
E' la puntata di Wikiradio
dello scorso 21 luglio. Qui
c'è il link per ascoltare in streaming e qui
la pagina del podcast. La parte trascritta è verso il sesto minuto
(4)
Va da sé che la verità storica ha sempre la v minuscola e che è
una verità sempre da ridiscutere e reinterpretare ma che pure c'è,
e ha più o meno la forma, direbbe Gadamer, dell'intendersi
sulla cosa stessa,
quindi è un obiettivo perseguibile. Come lo è
la
storia
condivisa:
la memoria
se è diversa e opposta non si può condividere, perchè se mio nonno
è stato ucciso dai fascisti e tuo zio è stato ucciso dai
partigiani, allora io e te non avremo mai
gli stessi sentimenti. Ma se studiamo e prendiamo atto dei dati e
discutiamo razionalmente, alla fine dovremmo riuscire ad arrivare a
un racconto e a una sintesi di cui entrambi possiamo accettare i
passaggi fondamentali (al di là dei sentimenti personali per gli zii
e i nonni): non per mediare a tutti i costi e per dare un colpo al
cerchio e uno alla botte, ma perchè si tratta di una possibilità
che è nelle cose. Quindi naturalmente anche la storia condivisa ha
la s minuscola, ma va bene perchè sappiamo che è tutto quello che
ci possiamo permettere.
(5)
Mi limito a ricordare per esempio che quando insegnavo dai
preti
(fine anni '80) avevo in una stessa classe un genitore che mi
esortava a reprimere con durezza l'indisciplina affermando che per
lui l'insegnante doveva essere
come il duce,
e una genitrice che alle cene di classe ci salutava con citazioni
mussoliniane esplicite. Ma è un po' il discorso che facevo parlando
degli apoti,
qui
e qui.
(6)
Il riferimento è al notissimo Una
guerra civile
(Boringhieri 19911:
è un libro di storia molto serio e impegnativo e costa anche 25-30
euri...) dello storico Claudio Pavone, che non a caso lo sottotitola
Saggio
storico sulla moralità nella Resistenza.
(7)
Tutti conoscono i romanzi e i racconti di Fenoglio sulla Resistenza
che sono una delle testimonianze più limpide e articolate di tutta
la faccenda. Al Partigiano
Johnny,
il romanzo più ampio e sistematico, io preferisco il folgorante Una
questione privata,
che tra l'altro mette anche meglio l'accento sulle ragioni personali
e sugli intrecci della moralità di cui discute Pavone. Tutti i
romanzi di Fenoglio sono notoriamente editi da Einaudi.
http://www.internazionale.it/opinione/christian-raimo/2014/11/29/parlare-di-antifascismo-a-scuola-per-fermare-casa-pound
RispondiEliminaLeggo questo e mi viene in mente il tuo bellissimo trittico di post sulla Resistenza. Un saluto e un abbraccio.
Ciao Maria. Sentirti è sempre un piacere. Fa ricordare che si è meno soli di quanto a volte si pensa. Come la lotta del prof. Christian contro i post razzisti su facebook, che si spera sia meno inutile di quella contro i mulini a vento anche se un po' ci somiglia. Buone cose a te e a Giovanni. E che il solito Dio o se non lui qualche supereroe vi protegga e vi permetta magari di essere persino felici, almeno qualche volta. In fondo siete due sposi, no? Ricambio l'abbraccio con vero trasporto.
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