Non
ne sono sicuro ma sospetto che, tempo fa, qualcuno che ho frequentato
a lungo abbia deciso di non voler avere più molto a che fare con me
quando ha scoperto che sono convinto che gli uomini non si possano
permettere la verità. Non quella banale che consiste nell'essere
sinceri o nel ricostruire correttamente i fatti, tutte e due cose
importantissime, molto difficili, ma del tutto necessarie a vivere
tra uomini e avvicinabili con approssimazione sufficiente da tutti
quelli che pensano e agiscono in modo pulito. Intendo la verità:
quella grande e abissale di fronte alla quale gli uomini diventano
piccoli e si genuflettono restando a testa bassa.
Ecco:
quella lì non è cosa per noi e tutte le volte che pensiamo non
tanto di esserci arrivati o di averla intravista, quanto di
possederla e poterla usare, allora credo che ci mettiamo, pretendiamo
di metterci, al di sopra della nostra condizione e finiamo
inevitabilmente per fare delle cose disumane.
Sappiamo
bene che sul nostro bisogno di verità è stata gettata un'ombra
indelebile di sospetto da tutti quelli che hanno descritto i tanti
procedimenti possibili attraverso i quali, spinti da questo bisogno,
arriviamo a costruirci le verità che ci servono. Una volta ho visto
Mr. Bean che, in una delle sue scene, si mandava da solo dei
biglietti di auguri per Natale, li infilava nella buca delle lettere
sulla porta di casa, quindi rientrava e, fingendo stupore e
soddisfazione, li trovava e li leggeva, per poi appenderli in salotto
come decorazione supplementare. Mi ha ricordato Nietzsche
(ovviamente), che in Verità e menzogna in senso extramorale esemplifica il nostro rapporto con la verità con l'esempio
di qualcuno che prima nasconde un oggetto prezioso in un cespuglio,
poi finge di non sapere dov'è e lo va a cercare, manifestando grande
soddisfazione nel momento in cui lo trova.
Nessuno
è in grado di cancellare questo sospetto, tantomeno la fede dei
semplici, che meriterà anche rispetto (dico sul serio) ma dovrebbe
essere educata, con la cautela e la semplicità necessarie, all'idea
che anche chi crede può al massimo cercare la verità, imporre solo
a sé le parti di essa che crede di aver trovato e poi, al massimo,
provare a offrirle ad altri per vedere se gradiscono. Tutto quello
che va oltre questo limite è pericoloso, anche se è chiaro che la
tensione verso la verità è la risposta ad un bisogno che abbiamo e
che è reale e profondo.
Per
questo mi risultano incomprensibili le battaglie ideologiche di
tradizioni e istituzioni varie, specialmente religiose (ovvio),
contro il Relativismo, che nella vulgata dottrinale/parrocchiale
viene naturalmente nominato con esecrazione, come un male evidente,
una piaga pestilenziale che ammorba le coscienze, seminata da untori
ciechi o, peggio, in malafede. Perchè io, che so di non essere in
malafede e cerco continuamente conferme del fatto di non essere
cieco, trovo del tutto naturale che anche chi crede debba aver chiaro
che nessuna verità vale come tale quando sono gli uomini a tradurla
in norma e in comportamento. La mia fede in Dio non mi rende
infallibilmente uno strumento della sua volontà: quando faccio
qualcosa, per quanto io abbia letto pregato meditato, quello che
agisce ed è responsabile sono io, che sono soggetto a sbagliare per
ragioni strutturali. Capisco la paura che dire che non esiste la
verità offra un alibi a tutti quelli che non vogliono fare delle
scelte e rendersi responsabili, ma per decidere di cosa dobbiamo
essere responsabili nelle nostre azioni basta la comunità, che
discute vota elegge: in modo sempre imperfetto ma chiaramente più
accettabile di quello che succede quando si affida la custodia della
norma a chi presume di avere ricevuto le tavole della legge e poi
però le traduce a modo suo in articoli e commi.
Di
fronte a questo, il vecchio sofisma per cui se la verità non
esiste neanche l'inesistenza della verità è una verità, lascia il
tempo che trova: il punto è che io poi con te devo comunque
comportarmi sempre come uno che non possiede
la verità e presume di avere a che fare con un altro che neanche lui
la possiede, almeno fino a quando non cala Cristo e ci dice chiaro e
tondo come stanno le cose.
Allora,
se vogliamo partire da qualche parte, possiamo cominciare dai dati
elementari della nostra condizione: che non decidiamo dove e da chi
nascere e quando, che parliamo con gli altri e senza questo non
sappiamo chi siamo, che ci facciamo delle idee su cosa fare, che
sappiamo che la nostra vita ha un termine e avanti così, per una
strada che però evidentemente non offre salvezza rispetto al
pericoloso contagio del Relativismo, dal quale, forse, chi mi si è
fatto distante temeva di essere colpito. Ma non è che, nell'infinita
galassia del Cristianesimo, questo sospetto sulla verità non sia
stato in qualche modo accolto ed elaborato: tuttavia è chiaro che se il
messaggio che viene dalle istituzioni è quello per cui la verità va
difesa e il Relativismo è una delle armi del demonio, poi può anche
succedere che qualcuno si spaventi se gli dici che pensi che la
verità non esista.
(O
magari invece avrò cominciato, a questo qualcuno, a stargli sulle
balle perchè sono stato indelicato, o noioso, o non abbastanza
simpatico o che. Vedo infatti che anch'io forse tendo a preferire una
spiegazione che chiama in causa principi alti e fondamentali a una
spiegazione che cerca le ragioni di quello che succede in aspetti
banali della personalità o in semplici errori o delusioni. Chissà:
non credo che lo saprò mai. Ma del resto non credo che ne soffrirò
molto.)
Vedi di tutte le cose interessanti che hai scritto e di cui si potrebbe parlare, a me, essendo femena, ne resta in mente una: chi è che non ti ha più cagato? (Foemina curiosa sicut simia est)
RispondiEliminaA posta non lo dissi. Posso specificare trattarsi di persona di religione cattolica.
RispondiEliminapensavo fosse un cinquestellino!
RispondiEliminaNo, quella religione lì è meno solida sul piano teologico. E forse, è vero, anche più dogmatica.
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