L'attore Chad Michael Murray in questa foto costituisce un possibile esempio di studente barbo e occhialuto del tipo di quello nominato alla fine di questo post |
Farsi
un punto di segnalare le ragioni di speranza. Anche quelle di
dimensioni non importanti, anche quelle che ti trovi di fronte a
scuola, in corridoio davanti alla sala insegnanti, all'una e un
quarto del sabato, mentre finisce una settimana faticosa.
Se
ti piace fare quello che fai, riesci abbastanza spesso, mentre
lavori, a sentirti tranquillo, a posto. Se poi hai speso tempo
abbastanza a chiederti dove, in che posto potevi metterti a lavorare,
forse hai anche avuto la fortuna di trovare, prima o poi, una delle
posizioni possibili, uno dei punti in cui quel po' che sei in grado
di fare serve davvero a qualcosa. Non ne hai mai la sicurezza, ma se
qualche risultato ti pare di vederlo, al di là di tutte le volte che
ti sembra di sbagliare e che ti senti incerto, allora magari a un
certo punto ti senti perfino in grado di camminare guardando avanti,
senza sentirti troppo in colpa per il fatto di esistere e di aver
tolto spazio a qualcosa che poteva meritarlo piú di te. Ma anche
ammesso che tu senta di aver giustificato in qualche modo l'aria che
respiri, sai bene che il tuo misero barlume rischiara da qui a qui,
non di più. E a volte ti sembra che basti per stare contento, ma a
volte no.
È la prima volta che
succede che qualcuno a cui ho fatto scuola faccia scuola a mio
figlio. Direi che per questa volta ho avuto un gran culo. D.C. era
una studentessa molto, molto brava: solida, metodica, tenace, con
molto senso della sostanza delle cose, ma nello stesso tempo aperta e
attenta e capace di percepire le sfumature e gli equilibri. Laureata
bene e in tempo, gira facendo supplenze di matematica e fisica e
ha già, mi pare, una capacità notevole di valutare le persone e le
situazioni, un senso sviluppato della realtà dei rapporti. Mi dicono
che lo scorso anno le è capitata una quinta in uno scientifico, da
portare agli esami, e mi dicono che non si è fatta mettere paura ma
si è tirata su le maniche e ha fatto. Magari meno bene di come
riuscirà a fare tra un po', ma bene, mi dicono, e non faccio fatica
a crederci. L'altro giorno abbiamo parlato di come vanno i colloqui
coi genitori e sono stato molto contento di sentirle fare delle
osservazioni che mi sono sembrate (forse per presunzione mia o per
mio desiderio di rassicurazione e conferma) esattamente dello stesso
tipo di quelle che faccio io di solito. Non avrò eredità dirette da
lasciarle, esempi o materiali di cui si possa servire. Spero che quel
poco che le ho già lasciato ci sia ancora da qualche parte. E
soprattutto mi pare, son convinto, che se c'è gente così in giro, a
questa gente possiamo lasciare in mano la scuola e altre cose.
In realtà temo che,
naturalmente, D.C. potrebbe non restare in giro a lungo: è laureata
da poco e la sua situazione non è affatto stabile, quindi non ho
nessuna garanzia del fatto che l'anno prossimo V. ce l'abbia ancora
come prof., anzi. Va bene che per matematica e fisica le graduatorie
sono esaurite e si raschia il fondo del barile, come dimostra il
fatto che vengono su insieme perle di questo tipo e scarrafoni
piuttosto schifosi (tipo questo), ma purtroppo non siamo in grado di poter dire
ecco, questa qui va bene, teniamocela stretta, come invece dovrebbe
essere secondo una logica elementare che però è considerata come la
peste dagli attuali sistemi e da chi li sostiene con semicieca
ostinazione (ne ho più o meno parlato un po' qui). Però confido nel
fatto che ci saranno i prossimi concorsi e che D.C. ha buone
probabilità di riuscire a far vedere di che pasta: magari non le
basterà per poter continuare a seguirmi V. come vorrei, ma insomma,
da qualche parte andrà e farà la sua.
Come del resto la fa qui,
fino in fondo, fino alle 13.15 del sabato, quando io scendo le scale
con gli occhi che mi si incrociano per la stanchezza e la confusione
mentale, coi pensieri completamente ottusi che annaspano verso il
divano del primo pomeriggio prefestivo, e la trovo in corridoio
davanti alla porta della sala insegnanti che finisce di rispiegare a
uno studente alcune cose in cui c'entrano la forza e la massa e il
moto e altri cazzi che non so. Lo studente è barbo e occhialuto e
misura almeno trenta o quaranta più di lei, eppure lei gli si
rivolge dal basso con una voce ferma e autorevole ma serena,
accompagnata da qualche gesto della mano, mentre lui dall'alto
annuisce piano con l'espressione concentrata e corrucciata di chi
forse finalmente è arrivato a capire. E per esempio io, come dicevo,
guardo e sento che il cuore si conforta e in esso rifiorisce un poco la
speranza.
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