Devo dare
cinque euro a una persona.
L'ho anche
vista ieri, potevo farlo, ma poi mi è uscito di mente. Li avevo nella giacca, in un taschino dove
li ho messi per non confonderli, perché volevo che la banconota
fosse quella e non un'altra. Quella che ho trovato per terra nel
vialetto fuori di scuola mentre passavo con una collega e che, quasi
vergognandomi un po' di averla raccolta, ho detto che non mi sarei
tenuto, ripromettendomi di fare una microofferta. Chiaro che i soldi
persi non hanno padrone, che se gli cerchi un padrone ne trovi cento
tra i quali potrebbe non esserci affatto quello vero, ma trovarli e
tenerseli fa sempre un po' specie, se non hai bisogno, se non muori
di fame. Non so se, fossi stato solo, sarei stato abbastanza
micromeschino da ficcarli nel portafoglio con gli altri e spenderli
al supermercato o dovunque altro. Non lo escludo. Non direi di essere
attaccato al denaro, cerco di ricordarmi che è meglio essere
generoso e a volte non mi viene difficile, ma su queste cose nessuno
si conosce mai davvero bene fino a quando non viene messo alla prova
dalle circostanze. Ma insomma, avevo detto che li avrei dati via e mi
sono detto che avrei rispettato quell'intenzione anche se nessuno
sarebbe mai stato in grado di controllare. Ne ho fatte sicuramente di
peggiori in vita mia, spero non tante, ma questa piccola cosa mi sono
detto che sarebbe andata così.
Per prima
cosa avevo pensato di buttarli dentro in cassa al rugby, poi mi sono
detto che li aveva persi quasi certamente uno studente e che, per
restituirglieli almeno idealmente, per avere magari anche una
microprobabilità di fare in modo che fossero spesi a vantaggio di
chi li aveva persi, ho deciso che li avrei dati ai fioi per una delle
loro serate ludico-culturali più o meno serie, quindi li ho messi
nella tasca dove ancora sono. Prossimi giorni so che avrò
l'occasione di darli a chi devo. E punto.
Cinque euro,
sui quali ti tocca comunque imbastire un microproblema morale che poi
devi risolvere. Tempi in cui grandi corrotti si assolvono e
respingono le tue richieste di lasciare il campo dicendo che in fin
dei conti, che tutti, che insomma. Così hai un micromotivo in più
per non tenerti i cinque euro.
E poi pensi
a quante volte nella vita hai fatto cose gratis e a quanto hai
pensato che quello, quello davvero va profondamente bene, fa bene a
te ancora più che al mondo vicino o lontano che riceve il
microbeneficio del caso. Pensi a quanto bene cammini dopo, a quanto
coraggio hai di respirare e di guardarti intorno senza remore, con
fiducia, dopo.
Ma poi ti
ricordi anche delle volte che hai lasciato in giro roba tua, con
sopra scritto il nome e magari il cognome. E l'hai lasciata lì
tranquillo pensando che poi anche se uno la usava andava benissimo,
bastava che non la rompesse e poi la rimettesse a posto. E invece poi
non l'hai trovata più.
Come tutti i
mali, anche questo micromale, se si ripete, magari insistendo sempre
sullo stesso punto, alla fine ti logora e invilisce, ti rende
timoroso e piccino. E allora pensi che non puoi vivere gratis. Invece
a volte ti tocca, e quando ti tocca vedi che ne sei capace, che non
muori. Che poi però non è che non muori: muori dopo, più tardi. Ma
quanto? Perchè poi, il giorno che muori, ti salutano, va bene. Ma
poi vanno a casa, dove forse ogni tanto ti pensano, ma forse anche
no, non più. Che fia ristoro ai dì perduti un sasso, come dire.
Augurati di
non aver bisogno, di non sentire la mancanza di quello che hai
lasciato in giro senza chiederti troppo se valeva la pena. Alla fine,
come dicevano su al nord, potrebbe, tra le tante cazzate che hai
fatto, essere l'unica cosa che valeva la pena davvero.
CATTOLICO!!! :P
RispondiEliminaEh, sarà...
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