Questo post è un commento a questo articolo di Mauro |
Ciao Mauro. A me pare che se aspettiamo che l'istituzione dentro la quale ci tocca stare ci
permetta realmente di girare la sedia per metterci in una prospettiva
diversa e ci dia i cannoni multimediali nei quali sembri confidare
(ma chi pensi che ce li dia?), facciamo in tempo a vederli scappare
tutti, i fioi.
Intanto tocca combattere con le armi che si hanno a
disposizione right now. Visto che a lasciarli nelle mani del
mondo il risultato è la rovina quasi certa (mi pare che lo ammetti
anche tu) io non vedo altra possibilità se non l'attivismo di cui da
tempo sono prigioniero e, naturalmente, stanco. Dunque (come
tantissimi altri) provo a combattere con loro tutte le volte che si
può: sulle frasi che non sanno formulare e sulle nozioni che non
ricordano e su quello che dicono e che fanno e che vedono e che (non)
leggono. E intanto cerco di selezionare quello che viene da loro e di
farmene qualcosa, prima di tutto, ma poi di usarlo anche per buttare
degli ami: per esempio ho imparato (grazie a qualcuno) a vedere serie
tv scaricandole dalla rete. Non solo ci sono cose veramente belle e
geniali (certo, non tutte, niente affatto...) ma così ogni tanto ho
qualcos'altro di cui parlare con loro per cercare almeno qualche
volta di portarli sul mio terreno, di far passare John Rawls
attaccandolo a Breaking Bad. Non so se ci riesco: spesso mi pare di
no, a volte mi pare di sì.
E poi gli si corre dietro
altrove, per esempio al rugby, come è noto. Sempre con in mente
l'idea che, piuttosto che li rovini il mondo da solo, tanto vale
provare a intervenire, con attenzione e cautela ma, se serve, anche
in modo pesante. Sento la fatica e a volte mi sembra che non ci sia
proporzione tra lo sforzo e i risultati, ma sono lontano dal perdere
la fiducia: per esempio ieri sera ero a duecento metri da casa mia e
a cento da casa tua a sentire quattro trentenni che raccontavano la
loro startup: una che ha realizzato un software che fa vedere arte e
architettura ai ciechi, due che progettano automazioni
sofisticatissime per la riabilitazione fisica, specie degli arti
inferiori, uno che cerca di sviluppare una tecnologia per
differenziare la diagnosi dei tumori leggendo l'RNA. Quest'ultimo,
per dire, è di Mansuè e a scuola era nella sezione parallela alla
mia (anche se adesso abita appena più lontano e ieri sera si è
presentato con una morosa che aveva la pancia piena ma non perchè
aveva mangiato troppo). Tra quelli che hanno organizzato l'incontro
ci sono alcuni che erano nella mia sezione e che sono tra le ragioni
per cui mi pare di poter sperare di non aver sbagliato tutto.
Poi, siccome non basta,
io, che la distinzione tra Kautsky e Bernstein devo ripassarla prima
di sapertela dire, provo a inseguirli anche per cercare di evitare
che mi lascino completamente solo anche a fare quel po' di politica
che è possibile fare. Qui la cosa è molto difficile: ma non perchè
ci sia il vuoto. Questi che organizzano gli incontri le idee le hanno
pure, ma con la politica non si vogliono mescolare (e non è che non
li capisca, piacerebbe anche a me fare come loro). Altri, tra cui ce
n'è ancora qualcuno della mia sezione, di politica un po' ne fanno,
a modo loro. Ma di darmi una mano non si sognano, quasi manco mi
salutano, come se avessi io chissà che responsabilità per il fatto
che il mondo è difficile e il nostro paese (quello grande come
quello piccolo) per certi aspetti è una specie di buco nero della
coscienza civile. Questi li capisco un po' meno: chissà che cosa ho
fatto di male per essere lasciato solo così.
Dunque a me non sembra
che l'ossessione della quantità sia poi così insuperabile: mi pare
invece che una delle cose che funzionano di più è quando si rendono
conto che tu di loro sai qualcosa, di loro personalmente, e quindi tra te e loro c'è almeno qualcosa di diretto e autentico. E non
so bene quanto pesino nella difficoltà di ogni giorno i termini
praticamente eterni della piccola guerra generazionale che scoppia
tutti i giorni dove andiamo a lavorare noi, e quanto pesino invece le
novità che, oltre alla società, rendono anche la loro coscienza
liquida e inafferrabile ben più di quanto succedesse solo una decina
di anni fa.
Tutto questo per dire
che, se domani tu o qualcuno riuscite a progettare la scuola
inclusiva che dici che ci vorrebbe (sono anche abbastanza d'accordo con l'idea...), io sarò felice di spenderci
dentro gli ultimi anni del mio lavoro e cercherò di adattarmi a
tutte le novità anche se sono vecchio. Ma aspetto da vent'anni
passati che qualcuno riesca a stupirmi con l'efficacia eccezionale
delle sue proposte didattiche e non ho avuto la fortuna di vedere
nessun miracolo: solo, a volte, del lavoro fatto bene, magari anche
molto, ma che non mi risolveva il problema. Tu mi dirai che io sto a
vuotare il mare con un secchio e che invece ci vuole una diga grande
e ben fatta. Forse hai ragione, e forse è solo che so bene che come
ingegnere non varrei un cazzo e che l'unica cosa che so fare è stare
con le zampe in acqua a cercare di pescare come un orso nel torrente.
E che magari è per questo che i pesci scappano: perchè è naturale
che a loro faccio paura e quindi non si fidano. Ma non vedo
alternative, anche se mi son guardato bene intorno mille volte. Chi
le vede sul serio (e speriamo abbia occhi), per piacere mi spieghi
come si fa, provi a convincermi, così do una mano come posso, se
ancora a qualcosa servo. Ma presto.
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