Ma
gli studenti che sono più grandi della loro età non sono sempre una
benedizione. Soprattutto se una parte importante della loro
“maturità” (in questo caso servono le virgolette) consiste nel
sapersi arrangiare in molte circostanze, nell'avere una capacità di
comprensione delle situazioni e delle persone che li mette in
condizione di perseguire con la massima libertà il proprio utile più
immediato, investendo il minimo possibile in tutto quello che non
serve allo scopo.
Sono ragazzi che imparano prestissimo a guidare moto e macchine e ad avere un rapporto adulto con le ragazze; magari, se messi a lavorare per qualche tempo da una parte o dall'altra, funzionano benissimo e sono attenti e responsabili, sanno gestirsi con equilibrio in molte situazioni anche complesse della vita quotidiana, ma restano indifferenti (o scappano...) di fronte alla responsabilità di costruirsi una coscienza e una personalità anche attraverso il confronto con quel grosso pezzo del mondo che possono incontrare solo o soprattutto a scuola. Qui da noi, nell'operoso nordest, è un atteggiamento abbastanza comune, che spesso assorbono in famiglia. E' gente, soprattutto maschi (ma anche qualche tosa) che viene a scuola e ti guarda dall'alto in basso, aggiungendo al naturale tasso di supponenza dell'adolescente che ne sa molto più di te, vecchio arnese, anche questa superiorità, che gli dà il suo solido disincanto per tutte le cose a cui tu, povero (e un po' ridicolo) ingenuo, hai creduto e magari credi ancora.
Sono ragazzi che imparano prestissimo a guidare moto e macchine e ad avere un rapporto adulto con le ragazze; magari, se messi a lavorare per qualche tempo da una parte o dall'altra, funzionano benissimo e sono attenti e responsabili, sanno gestirsi con equilibrio in molte situazioni anche complesse della vita quotidiana, ma restano indifferenti (o scappano...) di fronte alla responsabilità di costruirsi una coscienza e una personalità anche attraverso il confronto con quel grosso pezzo del mondo che possono incontrare solo o soprattutto a scuola. Qui da noi, nell'operoso nordest, è un atteggiamento abbastanza comune, che spesso assorbono in famiglia. E' gente, soprattutto maschi (ma anche qualche tosa) che viene a scuola e ti guarda dall'alto in basso, aggiungendo al naturale tasso di supponenza dell'adolescente che ne sa molto più di te, vecchio arnese, anche questa superiorità, che gli dà il suo solido disincanto per tutte le cose a cui tu, povero (e un po' ridicolo) ingenuo, hai creduto e magari credi ancora.
Sul
piano didattico sono difficilissimi da trattare: spesso hanno
un'intelligenza pronta e un solido senso della realtà, che li aiuta
a capire parecchie cose presto e in misura sostanziale. Per cui a
loro basta un po' di impegno per raggiungere il livello di
prestazioni che ad altri costa lunghe ore e grossi sforzi, e se si
alza il livello della sufficienza sono questi, volenterosi e un po'
crudi a soccombere, e non loro, che sono ben disposti a
prendere anche diverse insufficienze, se appena sanno che poi alla
fine verrà loro offerta una possibilità di recupero (cfr.
All'ultimo) che verosimilmente riusciranno a sfruttare.
Ma
la vera sfida è mostrare loro che non sei affatto un ingenuo,
mostrarglielo tutti i giorni, nella gestione della classe ma anche
nella conoscenza del mondo che mostri di avere anche ed anzi
soprattutto attraverso le cose che hai studiato. Agli studenti in
genere devi dimostrare per prima cosa di essere un essere umano, ma
con questo tipo di studenti la sfida è veramente sul piano della
personalità. Il punto è che devi essere capace di portarla sul
piano dell'umanità, anche nel senso antico dell'humanitas,
della cultura. Devi provare a portarli sul tuo terreno. E non
è facile. Molto spesso ti guadagni un po' di rispetto, insinui
qualche dubbio, ma convincerli, provocare un cambiamento, è molto
raro. Le tue forze e armi non bastano...
Molti
anni fa sono entrato nella classe di S., una quarta. S. era
chiaramente più sveglio e adulto dei suoi compagni sul piano umano,
molti colleghi me ne avevano parlato come di uno degli studenti più
difficili che avessero mai avuto, per la sua arroganza, per la sua
capacità di manipolare i compagni al limite del bullismo (con
qualche episodio oltre il limite), per il suo innegabile fascino nei
confronti di diverse ragazzette, che poi venivano usate da lui in
diversi modi, alcuni evidenti anche per noi e altri che possiamo
immaginare, e infine per come riusciva con estrema abilità a
sfruttare tutte le risorse consentite dal regolamento scolastico e
tutte le riserve di indulgenza che la scuola concede (giustamente)
agli studenti, a priori e a prescindere. Furbo, sfuggente,
sottilmente ironico, era naturalmente uno dei fattori principali che
rendevano difficile il rapporto con tutta la classe, naturalmente
perturbata in gradi diversi a seconda di quanto il magnete S. era
riuscito ad attrarre i diversi compagni.
Preoccupante,
ma anche interessante. Con calma e regolarità, anche col sostegno
dei colleghi, abbiamo cominciato a mettere in atto una strategia
abbastanza precisa: niente persecuzioni ma molto rigore, e questo per
tutta la classe ma per lui in particolare, senza che ci fossero
differenze sensibili: il punto era che quello che altri accettavano
con sostanziale tranquillità (o passività) per lui era già
un'offesa o un problema. Ma spesso si tratteneva e non c'erano grossi
problemi. Alla nostra scarsa elasticità sul piano del comportamento
corrispondeva una grossa apertura sul piano didattico: prof. sempre
pronti a fare ripassi e verifiche in più, nei limiti del possibile,
sia per dare una mano agli studenti più fragili, sia per non offrire
alibi a lui, che comunque non approfittava gran che di questa
disponibilità. E infatti, man mano che le materie e gli argomenti
diventavano più impegnativi, il suo rendimento calava, mentre altri
in classe sua (non tutti) facevano progressi notevoli.
A
un certo punto si è arrivati a un collo di bottiglia: la tensione
che gli stavamo provocando da due parti (comportamento e profitto) ha
cominciato a metterlo in difficoltà: gli facevano pressioni in casa perché
aveva diverse insufficienze e non era più così sicuro di cavarsela
tranquillamente. E poi a scuola cominciava a non sentirsi più così
superiore e rispettato e avevamo l'impressione che anche alcuni dei
compagni un po' più sfigati (ma che si stavano rassicurando) ogni
tanto gli rivolgessero qualche occhiata ironica, anche se in fondo di
lui avevano ancora un po' paura.
Allora sono successi alcuni piccoli incidenti: S. ha commesso
qualche mossa falsa e ha cominciato a mettersi un po' in urto con
diversi prof.: probabilmente si sentiva un po' una bestia in gabbia e
il conflitto è stato inevitabile. Non che avessimo pianificato
tutto, ma le cose andavano come volevamo: abbiamo parlato con i
genitori, con lui, con lui e i genitori insieme, e la cosa sembrava
potesse funzionare. Gli abbiamo fatto notare che oltre al bastone che
stavamo usando, la carota era lì, lo era sempre stata, bastava
prenderla e mangiarla: sapevamo benissimo che era in possesso di
un'intelligenza già matura e potenzialmente brillante e gli abbiamo
fatto vedere che l'uscita dalla gabbia in quella direzione era
aperta, cercando di convincerlo che la cosa non sarebbe neanche stata
troppo faticosa, una volta presa l'abitudine di lavorare un po'
seriamente. E lui quella strada l'ha presa: non con grande decisione
ma anche senza vere resistenze: si è messo a investire un po' di
più, ha ottenuto qualche risultato onesto e tranquillo e ha fatto
vedere che in quel momento il suo limite era che non era abituato a
studiare (in quel campo sì era ancora un po' ingenuo...). Certo, la
sua motivazione in quel momento non era l'interesse autentico per le cose
che studiava, ma la sua volontà di non perdere la sfida con noi, il
suo desiderio di non fallire là dove comunque non gli era stato
possibile batterci a suo modo. Ma, come tutti sanno, se studi e
ottieni risultati l'interesse spunta fuori, dove più dove meno, e
quindi era solo questione di tenere e aspettare, e continuare a
fargli capire, come già stavamo facendo, che credevamo in lui e che
eravamo certi che ce l'avrebbe fatta e che quello era il modo in cui
si sarebbe guadagnato stima e credibilità universali e avrebbe anche
potuto sfruttare davvero la sua maturità umana, comunque notevole. Alla fine il risultato è stato accettabile anche senza sconti: un paio di materie a settembre, non un problema insuperabile, e poi
ci vediamo a ottobre per riprendere il lavoro e per portare a termine
la sfida.
Invece
a ottobre S. non c'era, se n'era andato in un'altra scuola, non so se
cambiando anche indirizzo (di studi) o no. Una volta che credevamo di aver
cavato (lo si può proprio dire...) il ragno dal buco, questo si era
trasferito altrove a tessere le sue tele: paradossalmente noi non eravamo stati abbastanza
polverosi e stantii da costituire per lui un habitat ideale.
Vabbè, pazienza: un problema in meno. Ma anche una delusione. E, per
me, la convinzione che il rischio che S. da grande faccia malegrazie
adesso è sicuramente un po' più grande che se fosse restato da noi.
Non so più niente di lui, ma S. è un ragazzo intelligente e spero
che ce l'abbia fatta da solo a capire almeno in parte che cosa
serve per diventare grandi senza essere la peste dell'umanità.
P.S.
Naturalmente in tutta questa storia i veri protagonisti sono tre:
Platone, Callicle e Protagora. E naturalmente io faccio Protagora.
P.P.S.
Ecco, per concludere con una cosa che non c'entra: immaginiamo che
S. fosse riuscito, in alcune materie e/o in alcune occasioni, a copiare
dei compiti e a farla franca. Di tutta questa grossa e seria
operazione niente sarebbe rimasto più in piedi. Immaginiamo che uno dei prof.
non avesse tenuto botta e non fosse riuscito a reggere la sfida sul piano personale e
si fosse lasciato intimorire o avesse regalato delle sufficienze facili perché non aveva
abbastanza voglia di combattere. Come si fa a lavorare bene in casi
così difficili se non si è persone serie, disposte a
combattere e a reggere questo tipo di sfide, così dure e
impegnative? Questo ci potrebbe riportare alla questione somma e radicale
della selezione degli insegnanti. Ma non ora e non qui.
Varda che ghe xera n'altro camin sun che no'l xe mai riva'
RispondiEliminaNo me ricordo, a go da verlo scanceà. Ti te ricordi cossa che gèra?
RispondiEliminaUhm forse mi sono sbagliata non lo trovo più
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