Billy Wilder e Audrey Young |
In realtà è passato
qualche anno prima che si conoscessero meglio. In quel periodo lei
doveva andare in tournée con un'orchestra. E' partita, ma dopo
qualche giorno lo ha chiamato chiedendogli 200 dollari per tornare
indietro, e lui glieli ha mandati. Dopo meno di due mesi erano
sposati e lo sono rimasti. Era il 1949 (1). Sono rimasti insieme per
53 anni, fino a quando lui è morto, nel 2002. Lei era nata nel 1922,
tra di loro c'erano 16 anni di differenza. Lei è morta lo scorso
giugno 2012 a Los Angeles.
Lui dice che è stato un
grande amore, che dopo cinque anni era ancora innamorato come il
primo giorno, che lei era “perfetta all'80%”. Mi fa sempre un po'
di impressione quando qualcuno dice queste cose, specialmente se è
uno come lui, straordinario per intelligenza e senso dell'umorismo.
Si ha la tentazione di crederci e insieme il dubbio che queste
dichiarazioni pubbliche nascondano sacche più o meno grandi di
sofferenze e infelicità, che non sono mai da una parte sola. Ma non
si sa.
Difficile dire se possa
essere una verifica seria ma, se si guarda quello che lui racconta
dell'amore nei suoi film, vengono da pensare parecchie cose. Prendo
quattro tra i più famosi e tra i miei preferiti, limitandomi alle
commedie in cui il lieto fine è obbligato e, anche dati i tempi,
sono banditi l'amarezza e il cinismo, almeno in forma troppo
esplicita e definitiva e in dosi eccessive: si tratta di Sabrina (Sabrina,
1954), L'appartamento (The Apartment, 1960), Uno,
due, tre! (One, Two, Three!, 1961), e Baciami stupido
(Kiss Me, Stupid, 1964). In tutti e quattro i casi c'è
l'amore di mezzo, anche se non sempre è proprio il tema centrale. In
tutti e quattro i casi la sopravvivenza dell'amore è il risultato di
una dura lotta contro circostanze avverse di calibro differente. Non
entro nel merito della trama, non solo per non rovinare un eventuale
tentativo di vedere i film, ma anche perchè non è necessario. Mi
basta dire che comunque, perchè l'amore resista e rimanga vivo, i
protagonisti, uomini e donne, sono sempre costretti a trasformazioni
impegnative, a compromessi che toccano in profondità l'immagine che
avevano di sé, con una contorsione esistenziale che minaccia di
spezzarli ma di fronte alla quale si rendono elastici abbastanza da
lasciarsi piegare senza morire. E la nuova forma, alla quale si
adattano, alla fine si rivela una possibilità di vita che apre
prospettive prima certamente insospettate, ma che diventano praticabili dopo
che si è stati costretti (o portati) dalla situazione ad accettare
proprio quello che prima si credeva insopportabile per ragioni
profonde, dopo aver attraversato una specie di piccolo inferno
passando per il quale ci si sente cambiati nella sostanza. E quando ci si guarda indietro, dopo che se ne è usciti,
quell'inferno non sembra poi così spaventoso alla luce della vita
che si ha e dell'amore che si gode. Anche se a un certo punto della
storia si pensa di aver toccato qualche fondo irrimediabile di
meschinità o umiliazione, poi invece il rimedio si trova e la vita
riaffiora e l'amore, ammaccato, malconcio, ma tutto sommato quasi
intero, sta lì e cammina, senza trionfare ma anche senza portarsi
dietro, sembra, rimpianti pesanti abbastanza da schiacciarlo un po'
alla volta.
Dunque si può passare oltre. Dimenticare, diciamo. C.C. Baxter, il
protagonista di L'appartamento, spiega a miss Kubelik, che
ancora non lo ama, come si è sparato al ginocchio tentando di
suicidarsi per amore: era in macchina al parco e cercava il coraggio
di farla finita. Ma era in divieto di sosta e, quando si è
avvicinato un agente, ha cercato di nascondere la pistola sotto la
gamba e gli è partito un colpo. Il ginocchio ci ha messo un anno a
guarire – spiega – ma la ragazza l'ha dimenticata in tre
settimane. A parte la torta di frutta che lei, per senso di colpa o
per ricordo o per altro, gli manda tutti gli anni a Natale. E, visto
che c'è, lui allora propone a miss Kubelik di dividerla con lui. Una
torta di frutta: tanto basta.
Più che Almodovar, che
mette in scena volentieri amori estremi, andandosi a cercare le
ipotesi su cui lavorare tra le forme più curiose e impensabili di
marginalità umana, a me qui viene in mente Jacques Audiard, regista
francese cattivo ma onesto, che concede poco ma a me sembra davvero
capace di toccare il nucleo pietrificato della nostra incapacità di
voler bene, combinando coppie del tutto improbabili, fatte di
elementi che si direbbero del tutto inadatti a comunicare l'uno con
l'altra, tra i quali però, senza intenzione, anche qui con il
concorso di forze cosmiche e/o pulsioni insopprimibili, si stabilisce
qualcosa di potente e apparentemente solido. Così si materializzano
in modo inatteso amori dalla consistenza minerale, come quello tra
l'impiegata sorda e l'ex-carcerato affidato ai servizi sociali di
Sulle mie labbra (Sur mes lèvres, 2001), quello tra il
picchiatore da sgomberi immobiliari e la pianista cinese che parla
solo cinese di Tutti i battiti del mio cuore (De battre mon
coeur s'est arreté, 2005), quello tra l'addestratrice di orche
mutilata e il campione di uno strano, brutale e illegale genere di
lotta in Un sapore di ruggine e ossa (De rouille et d'os,
2012). In mezzo alla solitudine e alla violenza spunta come un fungo
questo sentimento irragionevole e tenace: “Non riattaccare. Ti
amo”.
La vita è davvero
sporca, nel senso che non è mai davvero pulita. Il lavoro,
l'amicizia, naturalmente l'amore: non sono cose che si possano aprire
e chiudere senza sbavature, senza lasciare residui, con tutto
chiarito e senza niente di incompiuto. “Non si può essere maniaci
dell'igiene - sembra che ti vengano a dire questi qui - altrimenti
non vivi”. Abbastanza ovvio, tutto sommato, come però è ovvio
anche che non c'è un livello di sporcizia e di compromesso che si
può considerare a priori accettabile. E che anche se si passa sopra
a tutto lo sporco del passato dicendo che è passato e che la vita
comincia adesso che ci amiamo, dato che ci amiamo, è proprio per
questo che d'ora in poi cercheremo di tenere pulito. Quindi, d'ora in
poi, quanto sporco riusciremo ad sopportare che ci sia tra di noi che
ci amiamo?
Io non so preparare torte
di frutta e non saprei se consigliare di imparare a farlo. Mi piace
molto quest'idea incoraggiante che l'amore vero ti permette di
passare sopra a tante cose anche brutte restando vero e sopravvivendo
miracolosamente. Ma poi io non so cosa succede davvero; non so come
vanno a finire queste storie dopo la fine del film.
(1) Quasi tutti i dati
sono ricavati da Conversazioni con Billy Wilder, la lunga
bellissima intervista-libro fotografico fatta a Wilder dal regista
Cameron Crowe nel 1998, pubblicata nel '99 e uscita in Italia presso
Adelphi nel 2002
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