Non
è questione di premiare l'impegno. Questa cosa dell'impegno vale
allo stesso modo per ragazzi e ragazze e ha una logica precisa: se uno,
studente o studentessa che sia, arriva almeno a uno standard vicino al livello stabilito per la
sufficienza, se almeno riesce a fare dei passi avanti significativi e
si ha la ragionevole certezza che il suo impegno sia notevole, ce lo (la) si tira dietro,
spiegandogli con cortese chiarezza che, anche se ha dei limiti, si è
riconosciuto il lavoro che ha fatto, ma che non basta e che andando
avanti così rischia di non arrivare da nessuna parte.
Il
punto invece è dove portiamo le ragazze, specialmente in certe
scuole, specialmente quando ci sono solo ragazze o quasi.
Sotto
l'atteggiamento di interi consigli di classe, forse di interi collegi
docenti, mi pare e ho paura che in fondo resti presente un'idea,
ancora radicata nel costume del nostro mondo (o forse solo
territorio) più di quanto si potrebbe credere. Si tratta dell'idea
che in fin dei conti per le donne la cultura abbia una funzione
fondamentalmente accessoria e ornamentale, che costituisca un
complemento della naturale delicatezza e sensibilità dell'animo
femminile, un po' come un orecchino o una borsetta, e che quindi ne
vada somministrata alla studentessa una modica quantità, con larga
prevalenza della componente umanistica su quella scientifica, con
proporzioni importanti di arte e poesia. Molto importante è
trasmettere il senso della gratuità di tutto questo, corrispondente
alla gratuità della presenza nel mondo della ragazza stessa, la
quale non deve servire a niente ma deve invece essere bella e gentile
e porsi come piacevole diversivo rispetto alla durezza
dell'esistenza.
Non
ci si preoccupa di far capire alla ragazza che ci potrebbe anche
essere (ovviamente c'è) un legame tra quello che studia e quello che
sarà, le cose che potrà fare da sola e liberamente: tendiamo ad
allevare maestrine e segretarie preparate ad assistere discretamente
e senza interferire a quanto di veramente rilevante si fa da parte
degli altri. Invece dovremmo farle vedere, alla ragazza, che in prospettiva la sua
libertà dipende non tanto da quanto è diligente e buona e compiace
i profi, ma da quanto usa le cose che studia per svegliarsi fuori,
per farsi un'idea realistica del mondo senza per questo assorbirne le
dosi massicce di cinismo che l'esperienza è in grado di trasmettere.
E dovremmo farle vedere che da lei ci si aspetta che si prepari a
svolgere un ruolo, a occupare un posto importante quanto può ed è
capace. Tutto questo naturalmente non vale solo per le ragazze, ma ai
fioi maschi questa cosa la trasmettiamo più spesso e
facilmente col nostro atteggiamento, la trasmette il mondo fuori,
molto spesso proprio assieme alle iniezioni di disincanto e
diffidenza che ben conosciamo. Invece le ragazze ci va bene se
restano ingenue, le accontentiamo se ci chiedono di lasciarle restare
bambine ancora per un po' o magari anche a lungo, purchè siano
brave e gentili e ripetano la lezione. E questo si vede quando poi
all'esame si presentano infilade su da un'ansia che rischia
sempre di traboccare nel frigno o nella punta di isterismo e, anche
se sono volonterose e magari intelligenti, stanno lì ipnotiche e
sparano fuori a nastro un discorso imparato, interrompendo il quale
si rischia sempre di provocare lo smarrimento e magari il tracollo.
Da
tanto tempo penso che abbiamo bisogno di donne brave a cui affidare
cose importanti e che non possiamo limitarci a trattarle da educande
per tirar su delle signorine. Cerco anche di far capire questa cosa
che per me è verissima ma temo per molti (anche miei colleghi, anche
gente in buona fede ma senza dubbio miope) ancora no, cioè che la
donna intelligente è bella di suo, che il carattere e le capacità
sono importanti almeno quanto le tette eccetera. Questo è vero
sempre, in tutti gli indirizzi e ordini di scuole, ma dovrebbe
esserci forse anche un qualche orientamento generale che venga dalle
istituzioni, dalla classe dirigente, da chi ci progetta intorno il
mondo, che faccia capire bene a chi lavora nelle scuole frequentate
soprattutto da ragazze che a noi, a tutti deve interessare che
diventino delle donne e che tra l'ingenuità e la consapevolezza c'è
una certa differenza e distanza, ma nessun fossato o steccato che
impedisca di passare dalla prima alla seconda. E se non ci sono
steccati o fossati, facciamo bene attenzione a non scavarli o tirarli
su noi dove non serve.
Ecco hai detto benissimo, ma proprio benissimo, quello che come sai penso anche io (io lo penso in modo come sempre un po' incazzoso).
RispondiElimina"Si tratta dell'idea che in fin dei conti per le donne la cultura abbia una funzione fondamentalmente accessoria e ornamentale..." etc.
RispondiEliminaOttima riflessione. Sottoscrivo appieno.
Il ruolo secondario della donna ho notato che si esprime nella sua massima chiarezza nel fatto che la maggior parte delle donne neanche si rende conto di esso.
Sì, a tante tose sembra tutto normale. Io penso sempre a John Stuart Mill che, al netto dei sentimenti che si hanno per le donne (per alcune, per poche o molte), fa questo semplice ragionamento: mantenere ignoranti e ottuse metà delle persone che compongono una società priva questa società di un enorme potenziale di risorse, quindi è un errore anche semplicemente da un punto di vista logico, dal punto di vista della razionalità pubblica...
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