La
maestra Egle se n'è andata. Solo da grande ho considerato la
stranezza del suo nome così poco comune e mi sono chiesto da dove
venisse e come gliel'avessero dato.
Per me il suo nome era
naturalmente suo così come lei era inevitabilmente lei, come se
fosse sempre esistita: un fatto della natura, come la maestra Pia di
Meneghello, come i genitori e i nonni per il bambino che li ama. La
maestra Egle era un elemento del paesaggio interiore, un albero alto
vicino a casa o una curva del terreno sulla strada per arrivarci, una
realtà indiscutibile che non richiedeva spiegazione e i cui
comportamenti non era concepibile che potessero essere diversi da
com'erano, perchè erano sempre come dovevano essere, tanto da
rendere impensabile la possibilità di porsi il problema: il tipo di
presenza che ispira quella fiducia cieca di cui i bambini hanno
bisogno.
La
casa in cui abito è stata costruita dai miei insieme a un'altra
decina di famiglie che più o meno si conoscevano bene o erano in
amicizia e tutte insieme avevano costituito una cooperativa edilizia,
come a quel tempo era realisticamente possibile fare. Tra queste
famiglie c'era la maestra Egle con suo marito. Così quando era la
mia maestra abitava giusto sopra di me, qui, a cento metri dalla
scuola. Così era un pezzo della mia vita probabilmente un po' più
che per i miei compagni di classe: la incontravo sulle scale, a volte
la sentivo camminare, a volte tornavo a casa con lei.
Rivederla
un paio d'anni fa, quando i compagni delle elementari hanno
organizzato la cena di classe, è stato bello e commovente ma anche
naturale e semplice. Invecchiata ma cambiata pochissimo, parlava
spesso con il tono un po' pensoso di chi ha a cuore le cose. Quella
sera ho pensato che non ricordavo di aver mai sentito da lei una
parola che non fosse gentile. Quella sera ho riesaminato rapidamente
gli anni e ho cercato di ricordare, ma mi è sembrato di non trovare
nella memoria tracce di un momento di collera o di una parola più
pesante di quelle, sempre cariche di affetto, che ci rivolgeva.
Prima
di andarsene la maestra Egle ha preparato tutto, se ho capito bene.
Nei
tanti anni in cui non l'ho quasi più vista e ne ho avuto soltanto
notizie, più o meno regolari ma altrettanto superficiali, non è
capitato che un rapporto personale si mantenesse (o si costruisse).
Sarebbe anche stato possibile, forse, ma non è capitato. Così solo
alla fine ho avuto modo di accorgermi almeno un po' di quanto fosse
consapevole, di quanto la sua intelligenza di donna si fosse
trasformata in quella specie di saggezza che possiede chi pesa le
cose con sicurezza e non lascia spazio, nella propria vita, neanche a
un briciolo di vanità. Questa invece è l'impressione che ho avuto
sentendo di come negli ultimi anni avesse riempito quaderni su
quaderni di pensieri, con la sua scrittura regolare che, ho potuto
vedere, era diventata solo un po' incerta, facendo girare i propri
ragionamenti intorno a quello che aveva vissuto e visto. Questa
l'impressione che ho avuto sentendo che aveva passato il tempo che la
avvicinava alla fine con la stessa calma responsabile con cui ci
tranquillizzava in classe, che aveva deciso tutto
personalmente per la messa del funerale, che aveva scritto ai nipoti
una breve lettera. Che è questa:
PARTENZA
(ai miei nipoti A., F. e C.)
Vorrei
andarmene così: sottovoce, delicatamente, con la stessa silenziosità
di una foglia che, smossa dal vento d’autunno, si stacca dai rami
dell’albero. Con la leggerezza di un fiocco di neve che,
volteggiando, cade dal cielo, si posa a terra, si scioglie.
Ora
una brezza dolce mi spinge dove ho sempre desiderato giungere, dove
mi attendono tante persone care. Porto con me le fatiche di una vita
vissuta lavorando per gli altri, di corse in bicicletta, di compiti
corretti, di registri compilati, di assistenze, di pianti, di dolori
simili a lacerazioni.
Con
me vola via un piccolo mondo antico fatto di affetti, di voci, di
paure e di speranze, di preghiere e di suppliche, di tanti fogli
scritti, pieni di ritratti di famiglia, di incontri, di ricordi che
non mi stancavo di raccontare come fotografie stampate in bianco e
nero.
Vorrei
che la mia voce, i miei silenzi, i miei rimproveri, la mia mania
dell’ordine rimanessero vivi nella vostra giovane vita, impressi
come un marchio, a dirvi sempre che sono esistita lasciandovi
qualcosa.
Vorrei
che l’immagine di questa Nonna forte nello spirito, generosa nel
dare amore, paziente nell’accettare gli altri, non scolorisse nel
tempo, ma mantenesse, intensi, i colori della sua esistenza.
Un
tenero saluto a voi che lascio ma non abbandono. Tenetemi nel cuore.
Nonna
Egle
Quando
si dice dell'importanza di andarsene bene, di mostrare coraggio per
fare coraggio o almeno per fare che chi resta non lo perda. Eppure di
questi tempi quanto sembra inafferrabile la speranza, quanto è più
difficile il coraggio. Non posso che ringraziare la maestra Egle per
il suo tentativo nobile quanto sincero, ma oggi (un oggi esteso,
naturalmente) pare uno di quei giorni in cui si sente che il caos ci
sta per sommergere e che tutto è inutile perchè non sappiamo più
accettare e mandar giù, e vorremmo avere quello che vogliamo invece
di consumare tutta la vita alimentando la pazienza e restando al
nostro posto, come ha fatto la Egle e come forse solo una fede di
legno stagionato come la sua riuscirebbe a farci stare. Così
nutriamo dubbi (perchè i dubbi mangiano...): sul perchè dovremmo
lasciare tutte le tracce che lasciamo, sulla consistenza e funzione
della memoria, sull'amore, su tutto il resto.
L'unica
cosa che una volta ho pensato per il mio funerale è che mi
piacerebbe che in chiesa fosse possibile che una donna con una bella
voce cantasse per me che non ci sono questa canzone. E sono sicuro sia che non sarebbe facile realizzare
questo desiderio piccolo ma sempre troppo complicato per tutto il
dolore che comunque si provoca morendo, sia che, anche se qualcuno lo
realizzasse per me, non servirebbe a niente, non avrebbe neanche quel
poco di utilità che ha la lettera della Egle. E poi di certo
qualcuno si chiederebbe:“E che cazzo c'entra la bandiera
genovese?”. Niente, appunto.
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