La casa della famiglia Mann in Mengstrasse 4 a Lubecca in una foto del 1870 |
Volevo
leggere I Buddenbrook perchè pensavo che fosse un romanzo
storico, ma ho scoperto che non lo è.
O meglio, lo è solo in modo
parziale e indiretto. Il famoso racconto della famiglia di
commercianti di Lubecca attraversa quasi tutto l'800, ma la Storia ci
filtra dentro solo passando per gli interstizi. I personaggi sono
contenuti dalla loro società come da un involucro che (certo,
volutamente) in larga misura li isola, in modo che i cambiamenti che
avvengono fuori, anche se potenti e complessivi, trasmettono
il loro effetto dentro solo in ritardo e in modo molto
mediato. Il '48 a Lubecca sembra essere stato più inconsistente che
a Portogruaro1,
l'unificazione della Germania e la fondazione del Reich saltano fuori
quasi solo di striscio, per esempio quando si discute dei progetti
per la costruzione di linee ferroviarie da Lubecca a Berlino o dintorni, con in mente sempre le ricadute dirette sui costi del
trasporto delle granaglie o di altri beni, infine Bismarck viene
nominato, mi pare, una volta, anche lui di sfuggita, e non al centro
di una discussione politica di qualche respiro.
Naturalmente
non è che per questo non valesse la pena di frequentare questa
celebre dinastia di grossi e ricchi mercanti rompicoglioni: questi
grandi libri che si teme di affrontare per le loro dimensioni e la
loro fama di pesantezza poi si rivelano praticamente sempre i grandi
libri che tutti dicono. D'accordo: non è una cosa rapida e facile da
raccomandare. L'aspetto che forse distanzia di più il romanzo da qualcuno
che lo legge oggi, pur pieno di buona volontà, potrebbe essere
l'estremo scrupolo con cui il giovane Thomas Mann ha voluto
rappresentare gli infiniti particolari della sua esistenza e del
mondo che le ha dato forma, riproducendoli in un dettaglio che, per
esempio, al tipo di lettura che ne ho fatto io può sembrare
esasperato e risultare un po' indigesto. Di prima botta ti pare un
po' come quando uno ti racconta delle sue cose con amore per tutti
(proprio tutti) gli aspetti della sua situazione, anche quelli che a
te pare non servano a capire e a cui lui è affezionato perchè li
sente come propri e originari e inseparabili da sé. Ma al di là di
questo aspetto, che poi avrà certo ragioni che io non mi sogno di
mettere seriamente in discussione, dopo un po' non hai nessun dubbio
sul fatto di avere in mano una cosa potente abbastanza da potersi
presentare come definitiva2.
Tra parentesi: lo scrupolo di verità che Mann ha messo nel ricordo
commosso di questo enorme cumulo di particolari, all'epoca della
pubblicazione del romanzo gli gli ha (pare) procurato un po' di guai
e recriminazioni, perchè i familiari, gli amici e i conoscenti
lubecchesi, con le generazioni seguenti, hanno naturalmente trovato
da dire su come erano stati ritratti, loro e i loro avi. Questo
perchè, come si sa, la gente è stupida.
Dunque,
a parte il grande bellissimo spazio riservato a Tony (Antonie, il –
direi – principale personaggio femminile) col suo principio di vero
grande amore, prontamente estinto dai dispositivi dell'organizzazione
familiare, e col suo invincibile destino/contrappasso di
malmaritaggio, tanto radicato da risultare persino trasmissibile per
via ereditaria, al centro di tutta la faccenda sta Thomas (che è più
o meno il padre di Thomas autore). In Thomas personaggio si consuma la
contraddizione epocale dalla quale, secondo Mann, poi viene fuori lui
stesso, Thomas autore, e tutto il suo tempo e quindi anche tutti noi, suoi epigoni
piuttosto remoti. La parte più bella e potente mi pare – come
spesso accade – quella in cui la Sfiga cosmica inizia a prendere il
sopravvento e ad assumere il dominio degli eventi (poco spoiler
qui, visto che la decadenza è già nel sottotitolo del romanzone:
Verfall eines Familie). Attenzione che comunque siamo già
verso pagina trecentottanta e rotti (su seicentottanta), quando
Thomas personaggio, al culmine della carriera e della fortuna, sente
che in modo oscuro – per gli altri impercettibile ma per lui
tangibile e distinto – le cose gli scappano di mano e niente di
quello che lui si è sforzato di costruire sulla base già imponente
di quanto accumulato dai suoi padri in una coraggiosa e gloriosa
sequenza dinastica, resisterà al tempo e, appunto, al malvagio
influsso distruttore della Sfiga cosmica. E questo non solo in
termini di ricchezze: l'erosione del patrimonio è solo l'aspetto più
evidente del fallimento di un modello di civiltà che Thomas
personaggio pensava naturalmente di incarnare e di aver portato alla
massima magnificenza.
Dunque
un romanzo a lungo apparentemente iperottocentesco: ma dentro il
quale poi si trova come ripieno una dose velenosa di nichilismo
assolutamente sufficiente ad ammazzare (nello spirito) tutti i bovini
nordeuropei necessari a dimostrare – a sé e all'Occidente tutto –
come sia esaurita e spenta l'illusione moderna che ci ha fatto
pensare per qualche secolo di avere una prospettiva e di essere in
grado di fare ordine nel Mondo e nella Storia. Non a caso Thomas
personaggio a un certo punto trova casualmente in giro un volume del
Mondo di Schopenhauer e si mette a ridere di sé e di tutti
pensando pressappoco che – straminchia – questo tipo, tedesco del
nord come lui, aveva già capito tutto e ci aveva avvertito già da
tempo che darsi da fare tanto dietro allo sviluppo e
all'amministrazione, per produrre ricchezza e prosperità per tutti,
significava cascare con tutti e due i piedi nella trappola della
Sfiga cosmica che prima ci fa correre dietro a robe inutili e poi ci
prende per il culo quando ci accorgiamo di questa inutilità. “Non
è ogni uomo un errore, un passo falso?” è la simpatica consolante
conclusione cui Thomas autore fa arrivare Thomas personaggio grazie
alla lettura del cattivissimo pensatore di Danzica. La consolazione
poi è resa più calda e intensa dal fatto che questo errore la morte
lo correggerà, così siamo a posto. E una delle tante cose belle del
romanzo è il fatto che comunque questa illuminazione folgorante non
cambia la vita di Thomas personaggio, che mette via il libro senza
più andare avanti perchè ha troppo da fare e si avvia, cieco benchè
consapevole e comunque senza più alcuna quiete interiore, ai suoi
affaccendati e tristissimi ultimi mesi di vita.
Dunque,
penso che leggere I Buddenbrook mi abbia aperto un mondo. Io,
che avevo letto Der Tod in Venedig un sacco di tempo fa, senza
neanche apprezzarlo moltissimo, visto che la dose di veleno decadente
lì è talmente abbondante da affiorare in superficie e rendere da
subito tutto molto molto amaro, adesso penso che ho una certa voglia
di leggere Tonio Kröger e Der Zauberberg e Felix
Krull e magari anche Joseph und seine Bruder. E penso
anche che dovremmo trovare il modo di fare leggere queste cose a più
gente, per quanto, certo, siano cose a cui non è semplice
avvicinarsi. Questo è naturalmente un vecchio problema: uno dei
tanti a cui cerco e cercherò abbastanza inutilmente soluzione negli
anni che mi restano da lavorare a scuola. Intanto penserò appunto se
provare a fare altri passi dalle parti di Thomas autore o se, per
esempio orientarmi verso Shakespeare, che non ho mai letto e che mi
fa comunque molta voglia e che chissà poi se ci riesco. Adesso ci
penso.
1 Non
è un riferimento del tutto casuale. Il comune di Portogruaro ha
affidato a qualche esperto di storia locale una piccola sezione in cui si dà conto di vari passaggi
tra cui, appunto, il '48. In confronto a quello che Mann racconta
essere accaduto a Lubecca, a Portogruaro il Risorgimento pare sia
passato molto più seriamente, lasciando qualche traccia sensibile.
2 Occhio
che da qui in poi scatta un significativo allarme spoiler.
Cerco di non esagerare casomai. Per quanto poi sia improbabile che
qualcuno dei pochissimi che passa di qui decida di mettersi
realmente a praticare la famiglia Buddenbrook...
La Buddenbrookhaus oggi, ricostruita dopo i bombardamenti della II Guerra mondiale |
...G. mi ha passato il tuo numero, ma poi ho dovuto mandare a riparare il telefonino...quindi te lo scrivo qui: grazie, grazie e ancora grazie, da parte di entrambi!
RispondiEliminamaria
Pas de quoi. Che Iddio o chi ne fa le veci vi tenga la mano sulla testa.
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