Partigiani di Bassano impiccati il 26 settembre 1944 |
Perchè il fatto di non essere riusciti a metterci
d'accordo sul senso di questo racconto è una delle cose che per tutti
questi anni hanno reso la nostra vita più difficile di quanto poteva
essere – certo non la più importante, ma non la sottovaluterei. E
la responsabilità di chi non ha raccontato onestamente e per tempo
le ombre della morale e della politica dei partigiani ci sono, ma a
me sembrano molto più grosse quelle di chi ancora ipocritamente non
accetta che se un senso possibile c'è è quello della libertà, e
non ammette che sulla libertà il fascismo ha pesato per tanto tempo
come una pietra e qualche peso lo esercita ancora. Una delle
responsabilità più gravi di chi non ha raccontato per tempo le
ombre della resistenza per me sta proprio nell'aver con questo
fornito argomenti alla sopravvivenza sotterranea del fascismo.
Dunque: continuare a
raccontare, come tutte le storie hanno bisogno che si faccia, senza
tacere niente, neanche le cose spiacevoli, con la fondamentale
convinzione (che sta nei fatti, nella verità con la v minuscola) che
potrà variare un poco l'angolo da cui le luci si proiettano sulle
vicende e si potrà spostare un po' la linea delle ombre, ma la somma
complessiva dei torti e delle ragioni non potrà cambiare se restiamo
dentro il punto di vista della democrazia liberale, che è l'unico in
cui possiamo metterci. Se partiamo da qui e premettiamo questo, poi
possiamo discutere di tutto e magari anche capirci: non vedo altra
base possibile per una storia condivisa se non condividere questa
storia, andare in questa direzione. E quelli che hanno più strada da
fare ho detto per me chi sono: è a loro che prima di tutto vanno
chieste revisioni che li riportino dentro i termini dell'onestà
intellettuale. Poi d'accordo che a tutti quelli a cui ne manca è
sensato chiedere di averne di più.
Allora basta con le
celebrazioni? Sì e no: il fatto che il registro da usare sia più
quello del dramma e della tragedia che quello dell'epica non implica
che non ci sia nessuno che va trattato da eroe: ci sono esempi di dignità su cui
non ci deve piovere. Possiamo pure valutare le storie individuali e
trovare anche tra i fascisti esempi di sincerità di ideali e di
comportamenti disinteressati, ma il fatto che quegli ideali non li puoi condividere fa una certa differenza (2). E poi mi è capitato un paio
di volte di scambiare qualche parola con ex repubblichini e di
sentire le loro ragioni, ma queste ragioni non sono andate più in là
del richiamo all'onore alla lealtà alla parola data, il che per me è
decisamente poco. Se hai dato la parola a un mostro perchè poniamo
non ti eri accorto di quanto mostro era, quando te ne accorgi poi ti
devi spostare. Uno mi ha detto che era giovane e che non capiva e che
quella era la sua giovinezza e ci pensa sempre con affetto, e fin qui
(sperando che non mi raccontasse balle) ci arrivo tranquillamente:
per esempio penso (spero) che se negli anni cinquanta fossi stato un
fervente comunista rivendicherei di non aver fatto del male e di non
aver usato violenza, ma riuscirei, forse con qualche esitazione, ad
ammettere di aver dedicato me stesso a un errore e che avevano
ragione quelli che avevano capito per tempo che il comunismo
realizzato non era una possibilità. E ancora: al di là dei singoli,
quale poteva essere storicamente la giustificazione per chi ha
provato a mettere e tenere in piedi Salò? Una giustificazione,
intendo, che regga dal solito punto di vista della democrazia
liberale. Anche De Felice, che ha provato talmente tanto a capire il
punto di vista del fascismo e di Mussolini da assumerlo con estrema
facilità, dice che anche rispetto agli obiettivi dei fascisti la RSI
è costata più di quello che ha ottenuto (3). E se si legge, per
esempio, Carlo Mazzantini (4) non si trova quasi altro che
sentimenti, ma un tentativo di analisi di dove si intendeva portare
l'Italia, una prospettiva razionale di dove stava andando la storia,
quello non c'è. Si trovano racconti di fascisti buoni e partigiani
cattivi, che ci saranno anche stati, entrambi, ma non fanno la
differenza rispetto agli Agosti, ai Bianco, ai Revelli, ai Pintor e
ai tanti altri che per me restano e devono restare il punto di
riferimento.
Quando
poi qualcuno dice che per molti la scelta della Resistenza è stata
opportunistica, faccio veramente fatica a capire: se io penso prima
di tutto a salvarmi mi imbosco e aspetto gli americani, non vado a
patire fame e freddo in montagna male vestito e male armato o a
rischiare di essere arrestato dai tedeschi con dei volantini in tasca
quando scendo dal tram in città; se cerco vantaggi immediati è
chiaro che arruolarmi nell'esercito repubblichino me ne offre di più
a fronte di rischi, almeno in apparenza, piuttosto remoti: come si fa
a breve termine a mettere a paragone la convenienza di aiutare i
tedeschi col pericolo di combatterli? Dire che nella Resistenza
c'erano tanti che lo hanno fatto per calcolo mi sembra difficile da
spiegare e da credere se consideriamo rischi e sofferenze che toccava
affrontare subito. Dire che la Repubblica Sociale era nata per
difendere l'onore (solita parola) dell'Italia e che non era un
governo fantoccio nelle mani dei tedeschi, come ho visto fare in tv qualche
anno fa dall'attore Giorgio Albertazzi, sottufficiale
dell'esercito repubblichino, mi sembra una balla evidente se anche
solo si considera che già dall'autunno del 1943 le province di
Trento, Bolzano, Belluno, Udine (Pordenone compresa), Trieste e
Gorizia (più Pola, Fiume e Lubiana) erano state di fatto annesse al
Reich tedesco con la creazione della Zona
d'operazioni del Litorale adriatico
(OZAK - Operationszone
Adriatisches Küstenland)
e della Zona
d'operazioni delle Prealpi
(OZAV - Operationszone
Alpenvorland)
sottoposte all'amministrazione dell'esercito occupante. A me pare
evidente che, con tutti i limiti e le difficoltà, quelli che in quel
momento difendevano l'Italia per dare a tutti una possibilità di
futuro erano i partigiani.
Comunque
intanto continuo a leggere e rileggere e ragionare. E fra le tante
cose che leggo e rileggo e do da leggere a scuola ai fioi
c'è questo (scaricare e leggere), un altro bellissimo racconto del dottor Piero Sanchetti che racconta
la cattura e morte per mano dei tedeschi del suo amico Giovanni
Girardini insieme a Bruno Tonello nel settembre del 1944. Il dottor Piero si
tiene al di qua della maggior parte dei ragionamenti che ho provato a
fare, sulla storia e sulla politica e sulle ideologie e sulla violenza, e lascia affiorare soprattutto
una grande compassione dietro la quale tutto il resto un po'
sbiadisce. Forse questa è la reazione più umana, quella che sarebbe
più sensato avere se si riuscisse a vivere credendo che prima di
tutto siamo sotto l'occhio di Dio che ci guarda. Ma noi, che di
questa cosa ci dimentichiamo spesso, proviamo sempre ad andare oltre
e a porre questioni che poi non sappiamo risolvere. Anche questo,
però, è molto umano.
Un'ultima cosa: spesso mi
chiedo, come credo che venga da fare a chi ci pensa, cosa avrei fatto
in quei tempi, in quelle circostanze: che coraggio avrei avuto di
dire e di fare e di mettermi da qualche parte. Non lo so, ovviamente.
Spero che ne avrei avuto (5) abbastanza per dare una mano a quelli
che stavano dalla parte migliore e che volevano fare le cose che a
noi oggi sembrano fondamentali, la faccenda della libertà, in
sostanza. E spero anche che sarei riuscito a non usare la forza,
almeno non in modo ingiusto. Il dubbio rimane su tutto: spesso oggi
penso che chi ha un atteggiamento radicale e si sdegna e protesta e
si straccia le vesti è un esagerato incapace di comprendere la
complessità del mondo e dei problemi e di prendersi le proprie
responsabilità. Ma forse allora avrei saputo anch'io essere
esagerato abbastanza. Voglio pensare che mi sarebbe risultata e mi
risulterebbe chiara la differenza tra il mio (oggi) evitare la
discussione con un avversario politico che non stimo senza però
minimamente azzardarmi a toccarlo per fargli del male e il tentativo
(ieri) di combattere in qualche modo (in qualsiasi modo) i tedeschi e
i loro mitra e le loro stragi. Quanto poi a quanta violenza usare e a
riuscire a non commettere ingiustizia usandola, l'abisso dei dubbi si
spalanca ed è grande che non ne vedo il fondo.
A
pochi giorni dalla morte di Giovanni Girardini, tra il 20 e il 27
settembre 1944, viene messa in atto a Bassano del Grappa una grossa
operazione di rastrellamento che mette in fuga e costringe a
disperdersi tutte le bande nascoste sulla montagna. Ci sono alcuni
scontri, con qualche vittima, ma per lo più le bande sono male
armate e in inferiorità numerica e si sganciano per salvarsi. Attivo nel rastrellamento in quei giorni è anche, tra gli altri, il sottufficiale Giorgio Albertazzi, che fa parte della Legione Tagliamento. Poi
tedeschi e fascisti riescono a far arrendere molti partigiani
promettendo loro che non avrebbero subito conseguenze troppo pesanti
se si fossero arresi, ma quelli che si arrendono il più delle volte
fanno una brutta fine: centinaia di morti tra impiccati e fucilati,
circa altrettanti deportati. Il 26 settembre 31 partigiani vengono
impiccati agli alberi di tre viali della città di Bassano: mettono
loro al collo un cappio fatto con un cavo del telefono e li appendono
grazie a un camion che spostandosi li solleva.
Speravo di riuscire a buttare giù tutta questa pigna per il 25 aprile scorso e fare una specie di piccola personale festa della liberazione, ma sono passati i mesi e ci riesco solo adesso, non riuscendo neanche a rispettare di preciso l'anniversario dei martiri di Bassano, che era tre giorni fa. Ma non ha importanza: basta riuscire prima o poi a leggere e mettere in circolazione le cose per chi altro voglia farlo. Del massacro di Bassano nel 2007 ha scritto Sonia Residori in questo altro libro che spero di procurarmi presto (un'intervista e la prefazione del libro le ho caricate qui se qualcuno che passa di qua le vuole). Sul rastrellamento del settembre 44 passa anche una cosa di Alberto Scapin, costruita a metà tra documentario e finzione, credo nel tentativo di renderla potabile per gente giovane che ne sa poco. E poi ho cominciato a leggere la tesi di Dario (al link ne trovate naturalmente solo un abstract).
Ma di roba in giro ce n'è parecchia, basta cercare libertà tra rupe e rupe, contro la schiavitù del suol tradito.
Speravo di riuscire a buttare giù tutta questa pigna per il 25 aprile scorso e fare una specie di piccola personale festa della liberazione, ma sono passati i mesi e ci riesco solo adesso, non riuscendo neanche a rispettare di preciso l'anniversario dei martiri di Bassano, che era tre giorni fa. Ma non ha importanza: basta riuscire prima o poi a leggere e mettere in circolazione le cose per chi altro voglia farlo. Del massacro di Bassano nel 2007 ha scritto Sonia Residori in questo altro libro che spero di procurarmi presto (un'intervista e la prefazione del libro le ho caricate qui se qualcuno che passa di qua le vuole). Sul rastrellamento del settembre 44 passa anche una cosa di Alberto Scapin, costruita a metà tra documentario e finzione, credo nel tentativo di renderla potabile per gente giovane che ne sa poco. E poi ho cominciato a leggere la tesi di Dario (al link ne trovate naturalmente solo un abstract).
Ma di roba in giro ce n'è parecchia, basta cercare libertà tra rupe e rupe, contro la schiavitù del suol tradito.
(1) Colgo l'occasione per
spiegare uno dei tag sotto cui raggruppo i post, per esempio quelli
di questo tipo: io sono certamente dell'idea che la storia siamo noi
o che, nonostante tutto, quantomeno non possiamo non credere di
esserlo in qualche misura. E' un po' l'imperativo categorico della
collettività, la scommessa sulla libertà. Ma si sa appunto che in
realtà alla fine lo sviluppo degli eventi prevede e implica
parecchie porcherie, non meno porche per il fatto di essere
complessivamente inevitabili. Allora bisogna ricordarsi che la
scommessa sulla libertà non è leale se non ci ricordiamo che questo
“complessivamente” non basta a giustificare neanche una sola
delle singole porcherie che poi a posteriori in qualche modo la
storia di chi è vivo giustifica in base al fatto che chi è morto è
morto e tace. Prima che la porcheria si compia tu non puoi decidere
di averne parte invocando a tua discolpa il fatto che poi
complessivamente chi è vivo giustificherà. Insomma devi fare tutto
il possibile: il solito Kant che gioca a tressette con madre Teresa.
Poi tutto il possibile tu non sai qual era e quindi le porcherie
scappano fuori e tu in parte ti giustifichi e in parte ti senti in
colpa. Ma prima no, non puoi, non dovresti, devi meno che puoi. Allora il fatto che, come si diceva, nel complesso le porcherie
inframmezzano allegramente gli eventi come il lardo negli spiedini,
lo esprimo istituzionalizzando uno degli errori di battitura più
frequenti e significativi: scrivendo la parola “storia” molto
spesso mi viene fuori “stroia”. E' successo anche adesso, alla
prima occorrenza del termine in questa nota. E' certamente
meccanico e casuale, ma insieme non può non essere anche fatale e
gettare simpaticamente un'ombra fosca sul nostro sguardo d'insieme su
quello che quindi è appunto il puttanaio degli eventi e dei
processi.
(2) Di come e quanto
possiamo o non possiamo condividere gli ideali dei comunisti ho detto
sopra e non ci torno.
(3) De Felice, Rosso e
Nero, Baldini e Castoldi, Milano 1995, p.109-120
(4) Io in realtà ho letto
solo A cercar la bella morte, Marsilio, Venezia 1995, al quale
si riferisce il mio breve giudizio. Prima o poi magari mi procuro
anche un paio degli altri (come I balilla andarono a Salò e
L'ultimo repubblichino) che forse sono più espliciti e vedo
se c'è un ragionamento storico-politico di respiro più ampio.
(5) Questa costruzione, il
verbo sperare che regge un condizionale passato, mi sembra un
ossimoro sintattico, ma mi pare l'unico modo corretto per esprimere
il mio dubbio.
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