Citran e Mirko Artuso alla casa sul Piave la sera di Mazzacurati |
Volevo
bene a Mazzacurati. Col cinema parrocchiale gli eravamo stati dietro
più o meno da quando ha cominciato. Ci era sembrato da subito uno
bravo a rendersi conto di cosa galleggiava per aria, di come
cambiavano la densità e la direzione dei rapporti tra le persone, e
bravo a metterlo giù con una specie di semplicità rarefatta,
allusiva, scegliendo di raccontare sempre storie di gente decentrata, attraverso le quali di riflesso era possibile vedere quello che c'era in mezzo, come dire nel cuore delle cose: roba che magari se si prova a cercare di guardarla direttamente non si può o non si riesce.
L'ho sempre seguito, mi sono perso solo un film che la critica non aveva trattato troppo bene ma che soprattutto non ero riuscito a trovare in dvd, altrimenti l'avrei visto comunque. So di aver voluto bene al Prete bello, a Un'altra vita e a Vesna (anche se mi rendo conto adesso che nella memoria questi due ultimi film mi si confondono e dovrei rivederli, ma in distribuzione c'è solo il secondo). Ho rivisto di recente Il toro, e ho potuto rimettere qualche immagine vicino a quella che mi era rimasta meglio in mente: Citran che cerca di far guadare il fiume alla bestia prendendola per l'anello al naso. Adesso la seconda che mi torna se ci penso è quella della casa delle slave e della specie di strana inattesa pace che si trova in un posto in cui la guerra è vicina tanto che gli uomini son tutti via a combattere. Che insomma magari a volte alla fine è meglio perdersi che trovarsi.
Non
sapevo che stesse male: non era vecchio, non ci pensavo. Anzi,
siccome era di Padova mi coltivavo da tempo l'idea che magari prima o
poi saremmo riusciti a farlo venire una sera al circolo parrocchiale
a parlare di cinema, o magari si poteva mettere in piedi una cosa più
grossa, una cosa di tre giorni da ripetere ogni anno, tipo sul cinema
italiano, tipo due giorni di roba nuova, quasi solo produzioni di
quelle che fanno fatica a trovare posto in sala, e una giornata
magari più mondana con qualche personaggio. Una roba di quelle che
penso non succederà mai e non solo per i soldi che, si sa, non ci
sono. Che stava male l'ho saputo a un certo punto, ma cose vaghe. Poi sono usciti, non
mi ricordo in che ordine, il documentario sul CUAMM
(1) e quello su Venezia, che non ho ancora visto, nessuno dei due. Ma
comunque anche per questo pensavo che insomma allora non aveva robe
gravi visto che continuava a lavorare. Così poi quando hanno detto
che era morto la cosa mi ha sorpreso. Naturalmente son rimasto male.
Una di quelle volte non frequenti in cui la cosa ti tocca come
personalmente e ti dispiace davvero. (2)
allusiva, scegliendo di raccontare sempre storie di gente decentrata, attraverso le quali di riflesso era possibile vedere quello che c'era in mezzo, come dire nel cuore delle cose: roba che magari se si prova a cercare di guardarla direttamente non si può o non si riesce.
L'ho sempre seguito, mi sono perso solo un film che la critica non aveva trattato troppo bene ma che soprattutto non ero riuscito a trovare in dvd, altrimenti l'avrei visto comunque. So di aver voluto bene al Prete bello, a Un'altra vita e a Vesna (anche se mi rendo conto adesso che nella memoria questi due ultimi film mi si confondono e dovrei rivederli, ma in distribuzione c'è solo il secondo). Ho rivisto di recente Il toro, e ho potuto rimettere qualche immagine vicino a quella che mi era rimasta meglio in mente: Citran che cerca di far guadare il fiume alla bestia prendendola per l'anello al naso. Adesso la seconda che mi torna se ci penso è quella della casa delle slave e della specie di strana inattesa pace che si trova in un posto in cui la guerra è vicina tanto che gli uomini son tutti via a combattere. Che insomma magari a volte alla fine è meglio perdersi che trovarsi.
Citran e il toro |
Ieri
sera ho visto La
sedia della felicità
alla casa di Parise nella golena del Piave a Ponte. Prima letture
ricordi discorsi, con in mezzo abbastanza Parise, poi il film,
divertente, volutamente surreale nell'impianto e in diversi passaggi,
una mezza favola in cui, come ognuno vede, probabilmente ha salutato
gli amici e il mondo cercando di farli andare via allegri. Altre
volte ha lavorato più di fino, ma penso (e non per indulgenza
postuma) che magari stavolta la preoccupazione di farsi vivo fino
alla fine (e anche dopo) sarà stata prevalente. Con me ha
funzionato: anche e forse soprattutto le cose più assurde, come il
prete Battiston che prima viaggia enorme in piedi sul retro dell'apecar e poi
(spoiler)
salta nel burrone con la moto da cross di fronte all'apparizione
improvvisa dell'orso. Ma hanno funzionato anche l'astuzia disperata
di Mastandrea e il viso bianco e l'espressione tesa e affilata di
Isabella Ragonese, e ho pensato che Mazzacurati fino alla fine è
riuscito a rimanere a tempo col tempo.
Marina Zangirolami e Roberto Citran |
Ieri
sera c'era anche Marina, la moglie, che diverse volte gli ha fatto da
aiuto. E' scritto in rete che si conoscevano da quando avevano 14
anni e sono quelle cose per cui io mi chiedo sempre: chissà che
amore. Mi sono fatto dire qual era da qualcuno che lo sapeva: una
bella signora bionda, che, mi pare, stava abbastanza da parte. Poi ho
scoperto di averla presa col telefono mentre parlava con Citran. Prima della proiezione mi
sono avvicinato e le ho detto che mio figlio si chiama come si chiama
anche (non solo) perchè è nato nell'estate del 2000 e mentre stava
arrivando avevamo visto L'estate
di Davide.
Non mi ricordo bene tutto il film (3), ma ho presente perfettamente
il ragazzo magro a cui la vita affida il compito di crescersi e che
per farlo affronta con un certo coraggio e poca consapevolezza un
percorso accidentato e pericoloso. Me lo ricordo che gira in motorino
da solo in mezzo ai campi e sugli argini, prima di cacciarsi nei guai
andando dietro a qualcosa che non è neanche l'avventura. Mi ha detto
Marina che secondo lei a Carlo la cosa del nome avrebbe fatto
piacere, poi non ho insistito perchè ho sempre paura di essere
inopportuno e ho avuto appena l'impressione che fosse più addolorata
o amareggiata che commossa o contenta e che non volesse rotture.
Queste cose (i film i libri
le serate i ricordi le letture eccetera) si fanno per darsi, da vivi,
l'impressione che qualcosa conti qualcosa. Ma a me è sembrato di
vedere in faccia a Marina, assieme a quel ritorno di una punta di
sofferenza, la cognizione momentanea ma chiara del fatto che niente
conta niente. Cognizione che poi passa e ci permette di tornare
abbastanza ingenuamente a fare quello che facciamo.
(1)
Quelli del CUAMM sono bravi, mi sembra, fanno cose importanti e
guardano in prospettiva e quando do via qualche soldo, diciamo quello
che riesco, il più delle volte li do a loro, che tra l'altro
spiegano sempre per bene come e dove li usano. Questo da un po' prima
di Mazzacurati, diciamo dai tempi di Rumiz.
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