Ho
incontrato N.L. dal casolin.
Il casolin
quello cavà su,
quello che ha le cose particolari e raffinate, che costano
abbastanza. Era tipo l'anno scorso, sotto Natale: N.L. è a casa in
ferie, mi spiega salutandomi, perché da un po' vive e lavora in una
grande città. Vive con la morosa, che è là con lui: ragazza
piccola, carina e occhialuta, con l'aria sveglia e vitale. In questi
casi io domando senza troppi scrupoli: non per farmi i fatti degli
altri, ma per avere un'idea di cosa succede e magari trasmetterla ai
fioi
a scuola. (qui: Un giorno dopo l'altro)
N.L. ha una laurea in economia e lavora per un'impresa che si
occupa di trasporti internazionali per ferrovia: persone, più che
merci: vagoni letto e simili, mi pare, anche se non ricordo con
precisione le spiegazioni. Tipo lui programma la composizione dei
convogli in base a regioni periodi flussi eccetera: roba di
logistica, insomma. Quanto basta per capire che N. sta dentro quei
settori che muovono risorse, che possono aumentare la ricchezza di
cui disponiamo, che stanno dentro il tessuto produttivo che in
sostanza consideriamo “vero”, a ragione o a torto, magari a
prescindere dal fatto che poi sia capace davvero di migliorarci la
vita. Anche la morosa è laureata e lavora, non ricordo in quale
altra fibra dello stesso tessuto, vitale e pulsante.
Ebbene,
loro due, giovani e belli, intelligenti e attivi, rotelle ben oliate
e funzionanti dentro il grande congegno, devono subaffittare la
seconda stanza da letto del già piccolo appartamento in cui vivono
nella grande città, perché altrimenti non ce la fanno: i due
stipendi insieme non bastano, mi pare di capire che sono
significativamente più bassi del mio (che naturalmente non è un
gran che...) in un posto in cui la vita costa ovviamente molto di
più. Sempre nientissimo di nuovo, ma qui si tocca con mano come
stanno le cose di questi tempi per ragazzi di trent'anni circa, come
loro: qualificati, bravi e poveri. Nel senso che non ne hanno
abbastanza neanche per (volendo) sposarsi, mettere in programma un
paio di figli, vivere senza troppe preoccupazioni immediate e con un
po' di prospettiva.
Evidentemente
essere bravi non basta. N.L. lo è, credo: per quello che mi ricordo
non stento a crederlo e quello che mi racconta pare darmi conferma:
dice che sta per cambiare lavoro, lo vuole la concorrenza ed è sul
punto di accettare e andare via. Dice che gli dispiace, che gli
piaceva stare dov'era, ma ha parlato ai suoi capi e loro lo hanno
pregato di restare, ma pregato e basta, così. Di là gli danno
qualcosa di più, non molto ma qualcosa. E poi servono altre persone
e vogliono che si porti dietro qualcuno dei suoi, quelli che lavorano
con lui. E lui lo farà, lo ha chiesto e loro ci stanno. Lo ha fatto
presente ai suoi capi, ma loro più che manifestare rincrescimento
non fanno: non possono aumentargli lo stipendio, dicono.
Non
so bene di che fenomeno si tratti: potrebbe sembrare uno dei tanti
movimenti che in tempo di crisi avvengono nel mercato del lavoro: vai
dove ti pagano di più, ma visto che c'è poco margine spunti poco di
più rispetto a prima. E se è così c'è una certa miopia strategica da parte
della prima impresa, quella che lascia andare pur di non pagare,
rispetto all'altra che è più capace di far conto del capitale
umano. Ma potrebbe anche essere una logica diversa, che io
naturalmente stento a capire e/o non condivido: una logica per cui
questa scelta di lasciar andare gente brava pur di non spendere di
più nell'immediato è il risultato di un calcolo che alla fine
funziona. Spero di no, spero che chi è capace di capire il valore
(anche il valore in primo luogo economico) di un'intelligenza, della
capacità di lavorare di un uomo, una donna, ed è capace di avere
per questo (anche solo per questo) attenzione alla persona che c'è
sotto (intorno, dietro, davanti) sia destinato a sopravvivere più
facilmente, a resistere. Magari anche ad avere qualche genere di
successo, ma di questi tempi sopravvivere è già importante. Questo
è quello che spero.
Quello che temo è che la natura del lavoro si sia talmente modificata, nel nostro piccolissimo mondo (quello grande che è diventato piccolo), da rendere tutti sostituibili, anche la gente preparata e che deve affrontare problemi complessi, con la stessa facilità con cui una volta si sostituiva un operaio non specializzato. E in questo caso non ci sarebbe nessun rimedio a questa tendenza a fare di ragazzi giovani e belli delle pure pedine senza nessun rilievo in un gioco che le usa e basta. Ma il caso di N.L. è uno di quelli nei quali, col tempo, ho avuto modo di vedere, almeno in parte, cosa è stato. E se ripenso a cos'era N.L., vedo che la corrispondenza tra il prima e il poi è sostanziale. Con un elemento in più, non essenziale a questo discorso, ma curioso... (continua)
Quello che temo è che la natura del lavoro si sia talmente modificata, nel nostro piccolissimo mondo (quello grande che è diventato piccolo), da rendere tutti sostituibili, anche la gente preparata e che deve affrontare problemi complessi, con la stessa facilità con cui una volta si sostituiva un operaio non specializzato. E in questo caso non ci sarebbe nessun rimedio a questa tendenza a fare di ragazzi giovani e belli delle pure pedine senza nessun rilievo in un gioco che le usa e basta. Ma il caso di N.L. è uno di quelli nei quali, col tempo, ho avuto modo di vedere, almeno in parte, cosa è stato. E se ripenso a cos'era N.L., vedo che la corrispondenza tra il prima e il poi è sostanziale. Con un elemento in più, non essenziale a questo discorso, ma curioso... (continua)
Che bello trovare il link a una delle mie canzoni preferite..
RispondiEliminaIl poro Gigi era un genio
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