Il
primo Soriano che ho conosciuto è quello che faceva da assistente a
Philip Marlowe in un'indagine per conto di Stanlio (1). Il secondo è
quello che pensava con i piedi e del quale a molte classi nelle ore
di supplenza ho letto prima la storia di Obdulio Varela che spiega
come l'Uruguay battè il Brasile nella finale dei mondiali del 1950
al Maracanà, ma poi anche la storia del rigore più lungo del mondo
e del mitico “Gato” Diaz, portiere della Estrella Polar (2). Ho
voluto bene a tutti e due.
Ma
il Soriano a cui penso quando ci penso è quello che racconta gli
spasmi fatali e dolorosi di un mondo che non conosco abbastanza per
capire le ragioni e i torti, per
potermi fare un'idea sensata del se e del come quella regione lontanissima, qui dietro l'angolo, si poteva risparmiare il sangue e il fuoco di tanti anni: anni che forse si sono conclusi ma forse no (3).
potermi fare un'idea sensata del se e del come quella regione lontanissima, qui dietro l'angolo, si poteva risparmiare il sangue e il fuoco di tanti anni: anni che forse si sono conclusi ma forse no (3).
Dell'Argentina
mi sono arrivati in mano, da diverse parti, non molti pezzi diversi. Che
non vanno insieme, che non combaciano, ma che se li guardo ad uno ad
uno mi sembrano bellissimi e che mi fanno sospettare un insieme
ancora più bello ma nello stesso tempo pericoloso e capillarmente
pieno di una tristezza invincibile. Mi hanno detto che è un mondo
che poteva essere fortuna pura e pienezza di vita e che per colpe
proprie e altrui ha attraversato calvari scoscesi, il luogo di uno
dei più grandi e gratuiti e insensati sprechi che la storia
dell'umanità abbia mai conosciuto. E' un mondo che probabilmente non
vedrò mai anche perché mi spaventa un po'. Ma mi attira enormemente
la sua apparente combinazione di estrema profondità e di
irreparabile cialtroneria.
Il
Soriano a cui voglio più bene è quello che racconta una giornata
sanguinosa in un ipotetico posto perso nella provincia argentina: una cosa che divampa
improvvisamente,
incomprensibile e orribile quanto fatale e eroica, in una specie di villaggio idealmente semidimenticato. Da
un giorno all'altro, di colpo, le due microfazioni che esauriscono il panorama politico locale si scontrano l'una
con l'altra, all'ultimo sangue, con in palio una posta che è un
pezzetto piccolissimo di potere, insieme al riconoscimento
dell'autenticità della propria variante del peronismo. E per questo
nonnulla politico-ideologico due pugni confusi di uomini altrettanto
decisi quanto annebbiati si giocano la vita e la buttano via con una
brutalità inaudita, tanto che alla fine la vittoria e la
sopravvivenza (come quasi sempre del resto in guerra) non sono in
nessun senso un premio sufficiente a giustificare l'epidemia di
distruzione che è stata scatenata.
Soriano
scrive questa cosa da fuori, da lontano, guardando con tristezza la
propria casa dilaniata da un fanatismo ignorante che si presenta
ipocritamente come una specie di destino. E a me sembra che comunichi
il disincanto più radicale che può verso questo eroismo del tutto
vano al quale sono comunque tenuti i suoi personaggi, che già
all'inizio della storia hanno perso il poco che avevano accettando di
partecipare all'incendio collettivo e di alimentarlo e che una volta
cominciata la guerra non vedono (e forse non hanno) altra possibilità
se non quella di andare fino in fondo.
E
ringraziare se si ha la possibilità di un gesto, come tocca a
Cerviño, pilota del piccolo aeroplano
che porta il nome di Torito (Torello?) con il quale in genere si
irrorano i campi: Cerviño che si
alza in volo durante la battaglia, confortato da una bottiglia di
tequila, e passando e ripassando
sopra il nemico gli sgancia sopra prima il serbatoio
dell'antiparassitario, poi quello del liquame. Gesto eroico quanto
squallido quanto inefficace, per il quale il personaggio di Cerviño
forse si guadagna un po' di più la nostra simpatia, ma che alla fine
resta del tutto inutile e non riscatta proprio niente.
(1)
Osvaldo Soriano, Triste, Solitario y Final (1973,
tr. it. Vallecchi 1978, oggi da Einaudi 1991)
(2)
I racconti di Soriano a cui mi riferisco sono stati pubblicati da
Einaudi sia nella raccolta Pensare con i piedi,
sia nella raccolta Fùtbol (Einaudi
1995 la prima, 1998 la seconda)
(3)
Osvaldo Soriano, No habrà mas penas ni olvido (1979,
tr. it. Mai più pena né oblio,
Einaudi 1979)
Non lo ho mai letto forse dovrei perché il titolo 1) mi è sempre piaciuto.
RispondiEliminaComunque la mamma di Jorge è in questo momento in Argentina tipo da tre giorni e ci starà tipo due mesi on the road.
Una punta di invidia ce l'ho...
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