Di
N.L. ho un ricordo particolare, preciso, durante una gita. Notte,
corridoio dell'albergo, momento in cui, dopo essere rientrati da
qualche dopocena, provi a organizzare la nottata in modo che sia
tranquilla il più possibile, anche se ti prepari comunque a girare
fino a tardi per i corridoi, con la tua tuta da ginnastica addosso e
il tuo romanzo in mano. Anche loro sono lì che girano, si guardano e
parlano, si mettono d'accordo per trovarsi, chi in camera di chi
eccetera.
Tu dai un occhio in giro, cerchi di vedere che non ci siano
bottiglie strane o altro: gliel'hai raccomandato mille volte ma sai
che non puoi mai fidarti del tutto. Gli ricordi che c'è sempre un
rappresentante di Bergamo che dorme al piano di sopra o di sotto e
che domani ha un importante appuntamento d'affari e che tu non vuoi
essere chiamato nel cuore della notte dal concierge
perché c'è casino. Minacci squartamenti, torture navajo,
rappresaglie didattiche. Accetti l'inevitabile: gruppi di studenti in
pigiama si concentreranno in alcune camere, che cercherai di
individuare e di tenere sorvegliate, bussando ogni tanto per
ricordare che sei là in giro, che si deve
parlare sottovoce e che non sono ammesse grida e risate. Sai che se
c'è qualche coppia storica gli altri congiureranno per assicurare ai due
piccioni la tranquillità necessaria, sai che qualche coppia potrebbe
formarsi più o meno estemporaneamente: perché il clima di libertà
toglie un po' di inibizioni, o perché qualcuno aspetta da tempo
l'occasione per fare un tentativo capitale. A volte con l'animo
leggero e volante, a volte col cuore ingombro di un intasamento
emotivo frutto di lunghi spionaggi quotidiani da banco a banco
nell'ora di fisica o di inglese. A volte in cerca di un episodio da
segnarsi e da raccontare, a volte con l'ambizione di mettere insieme
una di quelle storie che magari poi ti attraversano tutto il triennio
delle superiori e vanno avanti ancora, magari non per molto ma non si
sa mai.
E'
mentre faccio questo giro che vedo N.L. sulla soglia di una delle
camere delle ragazze. E sulla soglia di fronte a lui c'è la sua
compagna di classe R.R. Alta, bionda, carina, forse bella. Soprattutto
alta. Parlano piano guardandosi. Si guardano fisso, parlando: dentro
gli occhi, direi. Questione di pochi secondi, mentre passo davanti a
loro e sbircio con la coda dell'occhio. Loro mi vedono ma non mi
vedono. Io penso ecco, questa è la coppia che si forma questa volta.
Passo avanti senza rallentare per non avere l'aria di farmi gli
affari loro, ma faccio comunque in tempo ad avere, come ultima
immagine che mi si stampa sulla retina, quella di lei che da appena
dentro la stanza fa un passo indietro, verso l'interno, e con la mano
pizzica il davanti del maglioncino di N.L. tirandoselo vicino. Poi non
vedo più ma, solo per un minuto, penso ancora ecco. Poi li lascio
soli anche spiritualmente e vado a pensare all'altro che ho da
pensare: i loro compagni più o meno stalla e pollaio. Buonanotte a
loro.
Ho
avuto il tempo di ricordare a N.L. la cosa: dal casolin
la fila era lunga e c'è stato modo. E lui mi ha spiegato, forse con
una punta di rimpianto ma senza segni di sofferenza, neanche
ricordata, in volto, che in realtà l'apparenza ingannava, che allora
lui era stato dietro
a R.R. per un po', ma senza che poi le cose fossero andate avanti, a parte
quella gita e quella notte, nel merito della quale ovviamente, in
quella conversazione breve ma non troppo, tra insaccati appesi e
terrine di olive, non si è entrati. A lei, a R.R., la cosa non
interessava: non più di tanto, almeno. E un dispiacere ideologico
l'ho provato anch'io, di fronte a questo microamore sfumato, pur così
tanto a posteriori e pur con la normale consapevolezza che di queste
combinazioni mancate è piena la storia di tutti senza che in effetti
di dolore se ne possa spremere in tutto più di mezzo bicchiere. E'
stato un dispiacere che neanche sapeva di esserlo, come è giusto di
fronte a queste curiose e forse vane curve del destino.
Ma
il punto è che poi, qualche giorno fa, ho visto R.R. Per caso, dopo
molti molti anni senza il minimo segnale, cosa tutto sommato
abbastanza rara perché quasi di tutti vieni a sapere qualcosa almeno
indirettamente per strade più o meno storte. Passo sotto il portico
e supero camminando veloce due donne giovani. Intravvedo il loro
profilo mentre sono al loro fianco e penso che una delle due la
conosco. Mi giro e faccio due passi all'indietro e lei mi riconosce e
mi saluta, jeans e stivali, sempre abbastanza bella, sempre alta. Faccio segno che non mi ricordo bene il suo nome e me lo ricorda lei. In pochi secondi chiedo come sta, chiedo lavoro. Dice agenzia
di lavoro temporaneo. Chiedo dopo cosa. Dice dopo studi di marketing
e comunicazione pubblicitaria. Dico col facciale che le due cose non
c'entrano molto una con l'altra. Dice vero e fa capire che il lavoro
è quello che è, ma dice che almeno non ci si annoia, sottintendendo
che capita un po' di tutto. Chiedo famiglia, dice marito. Dico bene, auguro buone cose e, mezzo per scherzo mezzo sul serio, dico di fare
figli, come direbbe una qualsiasi zia Elvira. Poi mi giro e mi
allontano.
Dunque
tutto normale: il tempo fa i suoi giri e le esistenze gli vanno
dietro. N.L. e R.R. stanno ognuno dalla propria parte e neanche sappiamo
se e come lei si ricorda di lui o se mai lo pensa o almeno lo ha
pensato in passato. Ma io sono contento di averli visti tutti e due
per poter avere alla fine almeno un'idea di cosa ne è stato (o non
ne è stato) di quel gesto, di quel maglioncino che una mano di
ragazza ha tirato verso di sé tanti anni fa in un corridoio
d'albergo, e che mi resta nella memoria come una specie di dolce ala della giovinezza.
Bella lì profio! Peccato non essere mai stati in gita con lei, si potrà mai recuperare?
RispondiEliminaMah, non porto più gente in gita da quella volta che un gruppo di schizzati si fece venire in camera d'albergo della gente che andando via aprì l'estintore di servizio nella tromba delle scale. Possiamo organizzare un giro a Vicensa nel periodo delle sagre del bacalà...
RispondiEliminaAlberto ha aperto un estintore a polvere nella camera di un suo compagno di collegio causa rappresaglia e la cosa non mi è sembrata tanto grave, forse è ora di superare questo trauma di molti anni fa... Dico bene Vicensa ma se fanno poenta e costa!
RispondiEliminaQuella volta il concierge mi risvegliò con odio (e con piena ragione), la cosa fu sgradevole. Poenta e costa tanto vale Kavaìr. Vicensa è grande e il bacalà è il suo profeta.
RispondiEliminaIo ricordo il mitico consiglio: "Meteve su e zavatee..." non so se è ancora di moda...
RispondiEliminaCiao Alice. Sì, potrei avere detto questo: nel senso che vi esortavo a ritirarvi ordinatamente nelle vostre camerette, immagino...
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