Questo
post è strano e di certo non facile da seguire. E' un tentativo di
dare forma alle suggestioni di quest'altro
(commenti compresi)
e di un
altro lungo post
ad esso linkato. Per capirci qualcosa bisognerebbe fare tutto il giro
e seguire il ragionamento, sempre che un filo ci sia. Non so se ne
vale la pena...
Finalmente
l'altro ieri ho trovato il tempo (non ne avevo, ma l'ho trovato, come
accade quando si ha molto bisogno di qualcosa di superfluo...).
Ho
trovato il tempo e ho letto cosa significa secondo WuMing 1 pensare
di dover (finalmente) “diventare i
genitori”.
Dirò, forse con un briciolo di presunzione e non solo perché da una
quindicina scarsa di anni sono abbastanza genitore, che ho pensato
che lo sapevo da un sacco di tempo. Ma neanche solo per il fatto che
sto a scuola e devo affrontare quotidianamente un furore iconoclasta
e negativo non travolgente ma costante, capillare e spesso
decisamente privo di ragioni che non siano delle scariche
paraormonali o delle rabbie e frustrazioni familiari. Non sto
schiacciando la critica sociale e politica dei movimenti antagonisti
sulla mia banale esperienza di piccolo prof. Mi limito a riprendere
la metafora che WM1 prende da un'intervista del 1993 a David Foster Wallace, in cui si trattano da adolescenti quelli cui la posizione di critica
radicale impedisce di avere un qualche genere di progetto, di
“immaginare un futuro”, rendendosi conto che a volte bisogna
prendere sul serio le cose e che è pericoloso sottomettersi sempre
al “dispotismo dell'ironia”.
Il
problema del postmodernismo è che ha generato un esercito di seguaci
e imitatori, e presto si è ubriacato di se stesso, si è intossicato
della propria ironia, del proprio sarcasmo e disincanto. L’ironia
si è fatta sempre più fredda e anaffettiva, il che era perfetto per
il nuovo spirito dei tempi: il disincanto ha invaso e impregnato
l’intero paesaggio artistico e mediatico, finché a un certo punto,
probabilmente durante gli anni Ottanta, è diventato il sentimento
dominante nella cultura occidentale. Nulla andava più preso sul
serio. Se prendevi qualcosa sul serio, facevi la figura del
seccatore. (1)
Mi
pare di aver sempre pensato che l'ironia è un'arma efficace e utile
quanto crudele e facile, che tutto e tutti visti da qualche lato
risultiamo seriamente ridicoli, quindi chiunque può essere preso per
il culo con sufficiente facilità, cosa che potenzialmente ci espone
tutti alla distruzione. Mi pare di aver sempre pensato che in giro
non c'è abbastanza gente responsabile e che il pericolo di
giustificare ingiustizie con la scusa di dover tenere in piedi le
cose non è più grave del pericolo di disfare con leggerezza e
incoscienza (appunto) adolescenziale cose che sono costate sangue e
fatica e che potrebbero servire ancora anche se sono un po’ vecchie
e malandate, specie se per il momento non c’è altro che le possa
sostituire. Mi viene sempre in mente il bambino che in spiaggia ti
calpesta con allegra perfidia il castello di sabbia appena finito,
per pura crudeltà infantile, e mi viene in mente quell’episodio
dell’infanzia di G. Cristo in cui lui ha modellato degli uccellini
di fango e un bambino cattivo glieli calpesta proprio così, per
cattiveria gratuita. Al che Gesù dà vita alle bestiole di terra,
che volano via con grave disappunto del cattivo (2).
Mi
pare di aver passato parecchi anni, specie gli ultimi, a stare al mio
posto in diversi ambiti nonostante tanto, senza stare mai zitto,
senza guadagnarci niente, ma calcolando sempre cosa convenisse,
diciamo, all'umanità e decidendo molto raramente che valeva la pena
di buttar giù quello che c'era perchè le alternative possibili in
caso di distruzione e ricostruzione sembravano il più delle volte
peggiori o inconsistenti. Ma non è una questione personale: quando
dico senza stare mai zitto e
senza guadagnarci niente,
mi riferisco ai due aspetti che
secondo me possono, tipo anche in politica, rendere credibile la
scelta di un (chiamiamolo) compromesso costruttivo da parte di chi
prende le cose sul serio e si rende responsabile di esserci sempre e
di tappare i buchi e di accettare il possibile o pensarne uno che sia
almeno un po' plausibile, invece di protestare a vuoto e di
disnotarsi da
qualsiasi impegno come tanti usano fare. Se vedi che non ci guadagno
niente non puoi accusarmi di essere un ladro o un corrotto. Se vedi
che comunque parlo e che quando qualcosa non mi convince vado lì e
lo dico con l'energia che serve, non puoi accusarmi di essere una
pecora. Allora, se non accetto il cambiamento che tu mi proponi, è
perchè non mi fido abbastanza di te, magari perchè non ti vedo
ragionare nello stesso modo, non ti vedo prenderti abbastanza la
briga, quando serve, di dire: “Ok, questa cosa che nessuno vuole fare
la faccio io”. Capisco non farsi prendere per coglione, ma anche
chi ti dice che accetti l'inaccettabile non risulta credibile se
prima non si è fatto vedere abbastanza ad accettare l'accettabile.
Ripeto: non si tratta di me. E' che da qui mi pare si debba tirare
fuori un criterio generale per giudicare, un'idea di quello che si
deve fare in base al senso di quello che succede. Dunque mi pare
sensato credere di più a chi si prende la briga. Non anyway,
non lasciando correre cecità errori e meschinità, ma di più. Agli
altri, a quelli che non accettano di diventare genitori, che chiedono
di poter restare bambini ancora un po' (oppure per sempre), di meno.
(1)
D.F. Wallace in: WuMing 1: Noi dobbiamo essere i genitori
(2)
Attacco a questo
link
i riferimenti che ho trovato in rete su questo Gesù piccolo e
terribile che non solo anima bestiole di terra ma anche fulmina senza
pietà coetanei un po' stronzi ma che dovrebbero secondo me essere resi automaticamente
innocenti o, alla peggio, preterintenzionali, dall'età: si tratta di due passi
dei vangeli apocrifi (il Vangelo
arabo dell'infanzia e
il
Vangelo dell’infanzia di Tommaso)
e di un raccontino evidentemente ispirato a questi passi e al quale
la scrittrice svedese Selma Lagerlof, premio Nobel 1909 e da me mai
coverta,
dà un tono saccente e moralistico veramente fastidioso.
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