Far
vedere i film a scuola è sempre un rischio. Naturalmente non si usa
mai il film come surrogato di una lezione, salvo vere
emergenze. Occupare semplicemente l'ora con un dvd è una scelta per
cui si paga un prezzo non proprio indifferente, è uno di quei mille
possibili errori quotidiani che contribuiscono sia a trasmettere a te
e ai fioi il senso della tua inutilità come prof. sia a dare l'idea
che un film è una specie di frivolezza che ci si può permettere in
modo leggero, con la licenza di buttare via senza pensarci quello che
si riceve.
Non
sto a farla lunga su come bisogna prima preparare la proiezione e poi
trovare il tempo per ragionarci un po' sopra. Sta di fatto che la
cosa è sempre impegnativa. Per questo il più delle volte si arriva
a decidere che, facendo lezione normalmente, non è il caso di
investire così tanto tempo per un film intero: se proprio serve si
scelgono due spezzoni per un totale di 15 o 20 minuti e ci si attacca
a quelli col discorso. Sapendo che anche per questa sola operazione
ti tocca prima vedere il film, scegliere le parti da mostrare,
prendere confidenza con lettore, telecomando e schermo, per non
perdere tempo dopo, mentre sei in classe e li devi tenere
concentrati.
Altra
cosa sono le volte in cui ne hai tanti, magari comunque in un tempo
un po' limitato, e devi provare a dar loro da vedere qualcosa che
siano in grado di accettare, che non dia loro solo l'impressione
della solita cosa pallosa che si fa a scuola e che si subisce
passivamente e si respinge interiormente, potenziando l'effetto
“mucchio di rifiuti” che già tante delle cose che gli insegni
rischiano di produrre. E allora devi scegliere con attenzione,
pescando non troppo lontano dalle loro acque e trovando una cosa che
parli almeno un po' la loro lingua. E comunque mettendogliela giù in
modo che evitino di sentirsi autorizzati a buttare via quello che gli
dai. Il che non è mai facile.
L'altro
giorno. Niente in programma per la giornata della memoria e spiace
lasciar passare così la faccenda. Io so di non avere in testa quasi
neanche un angolino per pensarci, ma qualche collega si muove e
pensiamo cosa fare, una cosa semplice ma qualcosa, anche perchè è
la settimana dei recuperi, le lezioni regolari sono sospese e chi non
ha recuperi da fare fa altro. Per esempio? Per esempio legge la
Lettera sulla tolleranza di Locke in quarta e una cronaca
dell'assedio veneziano a Padova del 1405 in terza (in realtà un
saggio di Dario Canzian da Fontanelle, prof. di Storia Medievale a
Padova). Tanto per proporre qualcosa di sensato senza doversi
spaccare la testa per inventare attività meravigliosamente
didattiche e ludiche insieme.
Alla fine per la faccenda della memoria ci orientiamo sul vecchio Arrivederci ragazzi di Louis Malle, pensando che almeno è una cosa che probabilmente i fioi non conoscono e che è talmente bello e fine che dovrebbe funzionare, anche se ha la forma un po' retro del racconto di formazione classico. E dopotutto funziona: due botte da 150 studenti prima e 200 poi si mandano giù il film tranquillamente e, in parecchi casi, con qualche frutto, almeno si direbbe, a sentire alla fine un po' dei loro commenti, sostanzialmente spontanei.
Alla fine per la faccenda della memoria ci orientiamo sul vecchio Arrivederci ragazzi di Louis Malle, pensando che almeno è una cosa che probabilmente i fioi non conoscono e che è talmente bello e fine che dovrebbe funzionare, anche se ha la forma un po' retro del racconto di formazione classico. E dopotutto funziona: due botte da 150 studenti prima e 200 poi si mandano giù il film tranquillamente e, in parecchi casi, con qualche frutto, almeno si direbbe, a sentire alla fine un po' dei loro commenti, sostanzialmente spontanei.
Va
detto che prima del film a scanso di equivoci decidiamo di minacciare
con una certa fermezza un provvedimento semplice: chi rompe anche
solo un poco viene portato fuori e invece di vedere il film sta in
un'aula fermo e buono con un prof. che lo sorveglia-assiste. Una
presentazione abbastanza rapida, una scheda che non si sa quanti
abbiano fatto lo sforzo di leggere, riciclata da una proiezione
simile di qualche anno fa, ma scritta con cura, con taglio didattico
e linguaggio abbastanza semplice (1). Poi si va e si spera che il
film faccia la sua parte.
Ma
non basta. Lo studente N.S., seduto in fondo alla sala, dopo trenta
secondi di proiezione, sulle immagini del protagonista Julien che
saluta la madre in stazione partendo per tornare in collegio, ad alta
voce commenta pressappoco che è proprio un bel film. Cosa si fa? E'
come l'arbitro che in un secondo deve decidere se fermare il gioco o
concedere il vantaggio. Decido di intervenire e vado lì dicendogli
di venire fuori con me. Ci metto un po' perchè si rifiuta abbastanza
a lungo. Insisto senza gridare ma facendo capire che sto per
incazzarmi. Dopo qualche minuto esce e lo affronto, con l'aiuto della
collega T. Lui insiste che ha detto sul serio, che il film lo ha
visto in passato e che gli era piaciuto e che non era ironico, ma non
argomenta, non spiega, ripete solo le stesse frasi. Gli chiediamo
quando lo ha visto e cosa se ne ricorda per poter dire che è bello e
gli facciamo osservare che per essere credibile dovrebbe poter dire
qualcosa in più. Lo teniamo fuori qualche minuto, poi lo rimandiamo
dentro sperando che si sia spaventato abbastanza da stare zitto.
Torniamo dentro tutti a seguire il film e la cosa, come si diceva,
funziona. L'intervento su N.S. è stato determinante per tenere gli
altri tranquilli? Non so, non credo. Non sono neanche sicuro di aver
fatto bene. Ma a scuola ti capitano ogni giorno due o tre di questi
problemi e la tua efficacia e credibilità si costruisce e/o si perde
un po' ogni volta che a queste situazioni reagisci nel modo giusto o
sbagliato. Ci vuole equilibrio e mestiere. E non sai mai se ne hai
abbastanza.
Poi
io credo che il film faccia la sua parte in misura sostanziale, che
la qualità della cosa che proponi alla fine sia decisiva. Però a
volte è capitato che anche cose veramente belle non funzionassero:
non sai mai bene come reagiscono finchè non li vedi lì a guardare e
ti rendi conto che si stufano e si perdono e parlano e rompono,
oppure seguono con gli occhi puntati e in punta di sedia. Il racconto
di Au revoir richiede solo un minimo di pazienza, ma poi entra
dentro da solo man mano che va avanti. In fin dei conti sono due
ragazzi che si incontrano e che, in modo naturale e quasi ovvio,
attraversano uno dopo l'altro i passaggi che portano a conoscersi
meglio e a diventare amici. L'umanità non è una faccenda
complicata: basta restare lì e fare le cose insieme agli altri, con
quel po' di attenzione e rispetto che serve a non offenderli, a farli
sentire accettati. Se racconti una storia presentandola in questo
modo, come un evento semplice, come un fenomeno naturale, proprio
come racconteresti la pioggia che cade o il vento che muove le foglie
degli alberi, è chiaro che poi, quando quasi di colpo metti a
confronto questa umanità con l'odio cieco, questo ti risulta
completamente incomprensibile.
In
più, sopra a tutto il racconto è sempre stesa l'ombra della memoria
e dell'affetto per il proprio passato, un'ombra che copre e protegge
anche tutta la scuola, i frati e le figure dei prof., a ciascuno dei
quali è riservato un ricordo specifico che a ciascuno riconosce una
consistenza autentica e a tutti riserva un rispetto sincero. Di
questa statura morale l'impronta originaria si trova in Padre Jean,
il direttore, il primo responsabile del clima di rigorosa e severa
fratellanza che, al di là di tutto, i ragazzi respirano in
quell'ambiente. Il suo saluto finale, asciutto quanto doloroso, è un
titolo perfetto per il film. Ma di lui io penso soprattutto alla
sorprendente e durissima predica contro la ricchezza, rivolta a
genitori borghesi che, durante la guerra, in un paese occupato dai
nazisti, possono permettersi di parcheggiare i loro figli in
campagna. E penso anche alla frase che si lascia sfuggire durante la
confessione di Julien, quando a sua volta confessa, per dissuadere il
ragazzo dal miraggio di una vocazione religiosa velleitaria, che il
suo “è un mestiere d'inferno”. E penso che mi fa davvero
peccato.
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