P.S. Nella mia copia di La vita istruzioni per l'uso (prima edizione BUR, 1989, 15.000 lire), dopo qualche anno che non la prendevo in mano, ho trovato tre cose.
La prima è una
cartolina, evidentemente usata come segnalibro, credo in occasione
della seconda lettura. Era il 2007, la cartolina è stata comprata a
Ferrara durante una gita in primavera, ho controllato, mi sembra di
ricordare la classe e la situazione. C'era una mostra a Palazzo dei
Diamanti: Il Simbolismo da Moreau a Gauguin a Klimt (18/2-20/5 2007).
Mi ricordo di aver visto delle cose interessanti anche se poi qualche
collega mi ha fatto riflettere su come l'idea e l'allestimento
fossero discutibili. Mi ricordo di aver comprato tre cartoline, la
seconda era un Munch che si intitolava tipo “Sul ponte”, la terza
non mi ricordo. Quella che c'è nel libro è una Conversazione
di Gauguin del 1899 con un giovane tahitiano di spalle, non si vede
il viso, e due donne ai lati. Di fronte ai tre c'è un orizzonte
giallo con nuvole grigie e una (forse) fronda verde in alto. La donna
a destra porta una specie di pareo che la copre fino alla vita, ma
sopra è nuda, anche se tiene in mano dei fiori e le braccia coprono
quasi del tutto le tette. Guarda verso il giovane la cui testa però
è rivolta a sinistra, verso l'altra donna, che porta un vestito
rosso che le lascia completamente scoperta una spalla. La mano
sinistra è alzata e tiene un frutto verde e lo sguardo è
decisamente, come si direbbe al cinema, in macchina, rivolto verso
chi guarda il quadro. La grande superficie scura della schiena nuda
del giovane ingombra il centro del quadro, ma l'occhio segue e cerca
quasi di intercettare gli sguardi incrociati delle due donne.
L'impressione è che la passione e i suoi misteri possano anche non
risultare devastanti in un mondo in cui tutto accade senza essere
forzato e anche la sofferenza e la gioia sono naturali come i
fenomeni meteorologici.
La
seconda cosa sono due ritagli di quaderno a quadretti. Il primo è
fatto di altri due ritagli tenuti insieme con lo scotch a formare una
specie di striscia poi piegata in tre a fisarmonica. Lo scotch è
vecchio e secco, si sta staccando dalla carta ingiallita. E' lo
schema di un lavoro a maglia, forse un maglione, risalente
evidentemente al tempo in cui L. ha letto il libro e faceva questo
tipo di cose. La striscia di carta è piena di crocette e puntini che
formano aree omogenee ma anche rombi e altre decorazioni, come per
esempio una di quelle fasce ritorte che hanno un nome che adesso non
mi viene in mente. L'altro foglio riporta dati relativi al lavoro,
alternanze di dritti e rovesci, tipo: 2d. 2r. 4d. 2r. 6d. 9r. 6d.
9r. 1d., con al massimo varianti tipo: (passa 2 dietro, 2dr.).
La
terza è una verifica di latino mia, che risale, credo, ai primi mesi
della quarta ginnasio. Si chiamavano esercitazioni ed
erano una specie di simulazione prima del compito vero e proprio:
potrebbe essere addirittura la mia prima traduzione di latino in
classe delle scuole superiori. Forse l'ho tenuta per questo. E' un
foglietto piegato in due di quaderno ad anelli di formato piccolo,
quello dei quaderni di appunti che usavo all'epoca. La prova
consisteva in una versione dal latino più due frasi dall'italiano.
La versione si initola Coraggiosa franchezza di una vecchia
siracusana e sarà un adattamento da non so chi. Parla del solito
bieco tiranno Dionigi di Siracusa che, informato che una vecchia
prega per lui tutti i giorni e sapendo di essere generalmente molto
odiato per la propria crudeltà, la fa chiamare e viene a sapere che
in realtà la vecchia teme solo che alla sua (del tiranno) morte gli
succeda qualcuno di ancora più pestifero, visto che ogni successore
è stato peggio del predecessore e lui è il più cane di tutti. La
vecchia è spiritosa ma si limita a salvare la pelle, senza (pare)
riuscire a convertire il tiranno, che immaginiamo in seguito ancora
dedito a efferatezze assortite. La versione è andata bene: è
segnato a matita che ho consegnato alle 10.35, quindi suppongo di
aver fatto tutto (frasi dall'italiano comprese) in un'ora e mezza
circa. Ci sono solo due mezzi errori (segno rosso e blu: un miror
tradotto con ammirare anziché con meravigliarsi e un
quando al posto di un dopo che) e qualche imprecisione
nella resa (segno rosso più o meno leggero). Il giudizio, in blu, è
un Bene!. Le frasi dall'italiano invece le avevo sbagliate
tutte e due, infatti il giudizio è Insuff (in rosso).
Nella prima un banale errore di morfologia: bellis civilis
invece di civilibus; nella seconda invece sono
evidentemente caduto nel trabocchetto ovviamente predisposto: ho
usato la costruzione dell'ablativo assoluto (hortatis suis) in
una frase in cui il soggetto della reggente e quello della
subordinata coincidono e il verbo è un deponente transitivo,
situazione che quindi richiedeva la costruzione con cum e il
congiuntivo (cum suos hortatus esset). Roba da vero
principiante quale ero.
I
segni rossi e blu sono del prof. Enrico Vendramin, da Paese, mio
insegnante di Italiano Latino Greco Storia, Geografia, quasi un maestro unico,
come ai tempi accadeva, in quarta e quinta ginnasio. Vicino alla
valutazione c'è anche una specie di monogramma circolare che fatico
a ricondurre a EV, le iniziali del prof.
Il
prof. Vendramin ha fatto certamente un buon lavoro, per l'epoca. A me
piaceva molto perchè aveva una gran passione per la grammatica e la
traduzione che piacevano anche a me e nelle quali andavo bene. Le mie
compagne, quasi tutte tose, come succede al classico, sostenevano che
per questo lui aveva un occhio di riguardo per me, ma a parte 'sta
cosa credo che tutti gli riconoscano di aver fatto un buon lavoro.
Ricordo bene che diverse di loro si lamentavano un po' per
l'impostazione secondo loro troppo tradizionale, per il fatto che si
teneva accuratamente lontano dai rischi dell'attualità. Dicevano che
era un po' troppo inquadrato, a loro pareva noiosamente
democristiano, perchè sembrava preoccupato di fronte a qualsiasi
opinione un po' eterodossa e nelle scelte didattiche restava molto
ancorato a un orientamento classico. Io vedevo anche un po'
queste cose, ma non mi pareva un grosso problema, forse perchè a me
piaceva tanto tradurre e lo facevamo parecchio. Magari era un po'
vero, forse avremmo potuto avere qualche stimolo in più, noi che
stavamo in provincia ed eravamo così lontani dalle correnti
sicuramente intense e magari pericolose che attraversavano quegli
anni (siamo nel '77, un anno prima del sequestro di Moro, mi ricordo
l'assemblea...). Forse il prof. Vendramin intendeva la formazione
classica un po' anche come protezione dal presente e dalla sua
violenza, fiducioso nel valore, come appunto si dice sempre,
universale della classicità. Ma è un'ipotesi. Non so se la
pensava davvero così e, in caso, non saprei dargli del tutto torto.
Io in un certo senso cerco di fare lo stesso, anche se poi cerco di
tener conto anche dell'urgenza di cose e della voglia di presente che
ha uno di 16-18 anni e perlomeno cerco di attaccarmi a quello che
succede in giro tutte le volte che ce n'è un'occasione utile, dove
per utile intendo: che mi permetta poi di tornare alle cose da
studiare con un dubbio una curiosità una domanda in più. In ogni
caso dico grazie davvero al prof. Vendramin, per merito del quale
(prima che di altri) ho cominciato a imparare quanto sia importante,
appassionante e sostanzialmente umana questa cosa di tenere insieme
il discorso, di articolare le parole soppesandole una a una con
precisione e, in questo modo, di ricostruire (disfare e rifare) il
mondo. Grazie prof. (e grazie ancora, Georges).
Come CAZZO fai a ricordarti quelle robe del latino, feega
RispondiEliminaMah, studiato tanto, fatto tante ripetizioni... Nonsò. Quando la prof. C.S. mi manda in classe sua a fare supplenza di latino tengo ancora botta.
RispondiEliminaKristo.
RispondiEliminaG. Kristo.
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