Dopo
Perec, Pennac. Di padre in figlio. Se fosse sempre vacanza uno
avrebbe il tempo sia per leggere che per rileggere, tutte e due
operazioni essenziali. Ma le vacanze sono finite e la rilettura no:
proseguirà ai ritmi consentiti dal lavoro e dal resto.
Ma intanto ha
dato i soliti frutti bellissimi, nel caso specifico la ricognizione
incredula del meraviglioso amore di Benjamin e Julie, casuale e
fatale, improbabile e necessario, fragilissimo e incrollabile. E tu
pensi e sai che ovviamente è finto ma che in quello vero ci dovrebbe
essere a tutti i costi una briciola di qualcosa del genere.
“É
questa tutta la fiducia che hai in Julie? Ma che razza di innamorato
sei, Ben? E che razza di uomo?”
Thérèse
continua a sgranare il suo rosario di domande assassine, ma io sono
già sulle scale salendo i gradini quattro a quattro verso la mia
Julia, volando verso la mia Corrençon,
come il bambino già perdonato, sì mia Thérèse, sono un innamorato
pieno di dubbi, ho il cuore che dubita. E perchè mi si dovrebbe
amare? Perchè io invece di un altro? Puoi rispondere a questo
Thérèse? Ogni volta è un miracolo quando constato che sono proprio
io! Tu preferisci i cuori muscolosi, Thérèse? I grossi cuori che
pompano certezze? (1)
(1)
Daniel Pennac, La fata carabina, Feltrinelli, Milano 1992, p.
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