Seconda
storia recente (la prima era
questa).
Il titolo si giustifica con il fatto che la protagonista, di cui
stavolta possiamo indicare esplicitamente almeno il nome, si chiama
Alice. E poi con il fatto che, a parte qualche particolare non
proprio insignificante, la storia che racconta e che riporto
integralmente sembra davvero meravigliosa per una serie di aspetti.
Probabilmente non dipende solo e sempre da passione, intelligenza,
coraggio e volontà, ma l'ipotesi è che se cercassimo sul serio di
sviluppare queste qualità potremmo rendere più facilmente possibili
e meno inconsuete storie come questa.
Dopo
un sacco di tentativi, ce l’ho fatta, caro prof.: complice una
brutta influenza, sono riuscita a scriverle quanto le avevo promesso,
con delle novità che non le anticiperò in queste “tre” righe di
introduzione per evitare di rovinarle la sorpresa!
Spero
di essere ancora in grado di scrivere un testo in italiano in maniera
decente. Purtroppo studiare per 5 anni solo formule e testi in
inglese ha fatto sì che perfezionassi altre capacità intellettive.
Le assicuro che non sono l’unica ad avere questo tipo di problema:
scrivere in inglese è più facile e scrivere in maniera scientifica
ancora di più, una volta entrati nel mood è difficile uscirne.
Spero mi giustifichi e di non andare sottozero nella sua valutazione
(chiaro riferimento ai compiti a crocette).
La
mia passione per tutto ciò che è quadrabile nasce quando avevo tre
anni. Domandavo sempre il perchè delle cose: i miei perchè erano
sempre talmente tanti che a fine giornata il mio babbo non sapeva più
cosa rispondere. Ricordo ancora che alle elementari mettevo in crisi
la maestra di scienze con i miei perchè. Grazie ai miei genitori che
me l’hanno permesso ho avuto la fortuna di poter viaggiare,
conoscere delle realtà diverse dalla, per carità bellissima, realtà
veneta fondata sul “mettiti a testa bassa e lavora, anca se non te
capisse cossa te si drio far”: questo mi ha aiutato ad arricchire
la mia cultura generale in primis ma anche ad aprire gli occhi.
Studiare una delle scienze per eccellenza è una passione che è nata
in quarta liceo: il voler fortemente intraprendere quella strada è
stata una cosa più forte di me. Dopo aver letto “Il Sistema
Periodico” di Primo Levi mi si è aperto un mondo. Per inciso, lo
conosco a memoria e c’è una frase che ha segnato per puro caso
(come accade sempre quando fai ricerca) la mia carriera scolastica e
lavorativa: “Era proprio idrogeno, dunque: lo stesso che brucia nel
sole e nelle stelle, e dalla cui condensazione si formano in eterno
silenzio gli universi”.
Una
volta concluso il liceo io già sapevo dove mi sarei iscritta
all’Università, già sapevo la mia destinazione per i successivi 3
anni: chimica industriale, Università Ca’ Foscari di Venezia.
All’inizio tutto sembra difficilissimo, insormontabile, ci sono
solo 6 esami al primo anno, ma penso siano stati i più difficili
perchè oltre alla difficoltà dovuta alle materie bisogna tener
conto di un sacco di altre variabili come per esempio il fatto che
non c’è più nessuno che ti dice che devi metterti a studiare e la
presenza di innumerevoli fonti di distrazione. La passione e la
voglia di fare, ma soprattutto di finire tutto in tre anni hanno
fatto si che arrivassi al momento della tesi. Scegliere l’argomento
della tesi per uno studente alla triennale è una cosa difficile, nel
senso che la maggior parte delle volte ci si affida al proprio
relatore che ha in piedi sempre 3 o 4 rami di ricerca su cui farti
lavorare. Bisogna aver la fortuna di scegliere bene e di scegliere la
persona giusta con cui lavorare in team tutti i giorni. Io sono stata
fortunata. Immediatamente mi è stato proposto un lavoro totalmente
nuovo che avrei sviluppato da sola fin dall’inizio... beh, niente
male, ho notato subito una grande fiducia nei miei confronti (in
genere per le tesi triennali si opta per continuare dei lavori già
incominciati e ben avviati). Il caso volle che il mio lavoro di tesi
riguardasse proprio un’idrogenazione, cioè sfruttassi proprio
quell’idrogeno che mi aveva colpito 5 anni prima nella lettura del
libro di Primo Levi. I risultati ottenuti dal mio lavoro sono stati
più che soddisfacenti, anche perchè, invece che lavorarci per i
canonici 3 mesi, ho scelto di continuare e perfezionare il mio lavoro
per ben 7 mesi: avevo iniziato e volevo finire.
Nell’ultimo
periodo il mio relatore, una persona fantastica e un ricercatore
dalla grande professionalità, mi ha lasciato carta bianca: un giorno
gli ho chiesto se potessi effettuare una modifica alla reazione che
stavo studiando per osservare se si formasse paracetamolo (principio
attivo della Tachipirina), lo speravo perchè sulla carta poteva
formarsi... le mie teorie dicevano che era una cosa molto possibile.
Magari in piccola quantità. Chiaramente dopo il suo consenso ho
provato: ho ottenuto il 97% di paracetamolo come prodotto finale. Un
risultato che ci ha lasciato a bocca aperta. A quel punto il mio
relatore mi ha detto testuali parole in dialetto moglianese: “Ragassa
mia, ti sta està te vien a Glasgow al Congresso dea cataisi, sto
lavoro lo pubbliche a to nome”. Beh niente male direi, non mi ero
ancora laureata alla triennale. Due giorni prima della discussione
della tesi, momento in cui si decide il voto di laurea, un membro
della commissione, pezzo grosso e molto conosciuto per la sua
severità, ha chiesto al mio relatore se avesse preparato la lettera
per la domanda di lode. Il mio relatore ridendo e conoscendo la mia
situazione di media, gli ha risposto, sempre in dialetto moglianese:
“Professore non posso, la tosa la gà accettà do voti bassi che i
ghe rovina la media de quasi 4 punti”. Penso che questa richiesta,
conoscendo quel pezzo grosso sia stata la più grande soddisfazione
provata nella mia carriera universitaria: più grande della
presentazione di Glasgow e dell’articolo pubblicato a mio nome: il
mio lavoro era stato apprezzato da un professionista che ha capito
tutto l’impegno che ci ho messo e ha capito che quello non è stato
solo un semplice lavoro del tipo “fa quel che i te dise anca se no
te capisse nient”.
Una
volta laureata (Febbraio 2011) a causa del cambiamento interno
dell’Università causato dalla riforma Gelmini non sono riuscita a
iscrivermi a anno in corso, quindi ho dovuto attendere Settembre. Tra
Febbraio e Settembre ci sono ben 8 mesi di attesa: cosa faccio in
questi 8 mesi? Ripetizioni, d’accordo... ma nonostante sia
un’attività gratificante e che mi piace tanto non potevo certo
fare 8 ore di ripetizioni al giorno. Così dopo una settimana di stop
forzato voluto dai miei genitori, sono andata da mio papà e gli ho
detto:”Senti babbo, io non so cosa fare a casa!”. E lui per tutta
risposta: “C’è l’orto da zappare! Visto che te piase i radicci
te compre na vanga nova e te cominzia a darme na man in tel camp”.
Per carità, è un bellissimo lavoro, ma io speravo che mio papà mi
dicesse di provare a vedere se qualcuno avesse avuto bisogno della
mia professionalità, in fin dei conti mi ero appena laureata e
potevo essere un libro bianco da scrivere, magari qualche azienda
sarebbe stata interessata. Ho preso coraggio e ho detto al mio babbo:
“Io provo a cercare lavoro!”. Mio papà, con sulle labbra il
sorriso di chi non si aspettava un’affermazione del genere da una
ragazza che poteva permettersi di non fare niente anche per un anno
intero mi ha detto: “Non ti aspettare niente, sarà difficile, la
crisi che c’è in giro fa paura!”. Beh io ci ho provato: ho
iniziato a caricare il mio curriculum vitae nei siti delle grandi
agenzie.
Un
venerdì sera ho ricevuto una mail in cui mi si richiedeva la
presenza il martedì successivo in un’agenzia opitergina. Mi sono
presentata, diciamo che la ragazza era abbastanza supponente, una
miss sotuttoioetustaizitta. Ho iniziato a vagare con la mente, senza
più ascoltarla: ho sentito solo le sue ultime parole: “a Motta di
Livenza ci sono aziende che cercano persone che hanno il tuo
profilo”... A quel punto ho pensato: “Ottimo, Clarabella, io non
ho più bisogno di te, io mi arrangio!”. Sono andata a casa, ho
aperto il mac, google, aziende chimiche Motta di Livenza. Ecco, ce
n'è una che tratta i rifiuti, interessante: spedisco il curriculum
via mail. Guardo il sito per curiosità e scopro che quest’azienda
è a capo di un gruppo di aziende tra cui un laboratorio di analisi
ambientali: ottimo spedisco il curriculum, guardo l’orologio: ore
16.30. Alle 16.50 ricevo una telefonata dal Responsabile di
Laboratorio che voleva avere un colloquio con me. Alle 19.00 avevo un
lavoro. Giorno: 15 marzo 2011, non mi ero laureata da un mese.
L’idillio
è durato un anno e mezzo (e qui inizia la novità). Ho imparato
tanto, soprattutto l’arte del pararsi il culo e ho imparato che ad
essere troppo diligenti e impegnati e preparati non paga sempre o
meglio paga con le persone che non vedono te come un nemico da
sconfiggere perchè ti può portar via il lavoro. Mi hanno dato la
possibilità di studiare: studiare e lavorare avendo anche l’obbligo
di frequenza all’università nei corsi di laboratorio non è
proprio una cosa facile e salutare, ma mi piaceva quel lavoro e
finire l’università era ed è una priorità. Però il connubio mi
dà la possibilità di aggiungere voci al campo esperienza del
curriculum e poi è tutta formazione personale professionale che dà
la possibilità, a differenza di uno studente che non hai mai
lavorato nel campo in cui ha studiato, di scegliere e non di essere
scelto. Purtroppo a settembre, quando qualcuno ha capito che avrei
potuto iniziare a mettere i piedi in testa a qualcun altro, mi è
stato dato il ben servito. Ci sono rimasta malissimo, non si termina
una collaborazione dicendo “tu sei troppo brava per rimanere
qui...”.
Diciamo
che la mia disperazione è durata l’attimo di fare le scale per
comunicare questa scelta ai miei colleghi. Infatti, l’ultimo
periodo mi sono occupata di qualità che è l’aspetto più
importante di un laboratorio di analisi in quanto dà la possibilità
di allargare il mercato dell’azienda, hai la possibilità di
dimostrare che quello che fai, lo fai bene, seguendo tutti gli
standard adeguati. Il responsabile della qualità è esterno e quel
giorno era lì. Quando ha sentito la storia non c’ha pensato due
volte e mi ha detto: ”Vieni a lavorare per me”. E così è stato.
Ora lavoro in un’azienda a Quarto d’Altino che fa consulenza
nell'ambito della qualità, della sicurezza e dell’ambiente e che
ha anche un laboratorio di analisi aperto da un anno e mezzo, che si
avvale però di un responsabile con potere di firma esterno. A giugno
sosterrò l’esame di stato per l’abilitazione della professione
chimica (albo b) in modo da diventare a tutti gli effetti
responsabile di laboratorio. La formazione è dura, ma la cosa mi
piace e mi dà un sacco di soddisfazione. So che a giugno la
responsabilità sarà tanta e devo essere pronta ad ogni evenienza.
Chiaramente, i miei studi proseguono... e a breve finirò anche la
laurea magistrale.
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